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«O è alle prese con un’autopsia o è andato a cena», commentò Nikki. «Non avrei dovuto dirgli quando saremmo arrivati, non ci avrebbe aspettati, ma, avendoglielo detto, sono certa che sarà là.»

Matt sfruttò quella pausa per chiamare la sua segreteria telefonica. Vi erano due messaggi. Il primo, di Mae, riferiva che non si era saputo nulla della sua paziente, la dottoressa Solari, e che lei era preoccupata non avendolo sentito tutto il giorno e sperava che stesse bene e che la sua assenza non fosse causata da nulla di più grave del comportamento stravagante che aveva manifestato ultimamente. Il secondo messaggio era di Hal.

«Buone notizie, Matt. Non fantastiche, ma buone. Fred Carabetta non vuole impegnarsi in alcuna azione concernente la miniera, ma sarà lieto di incontrarci nel suo ufficio. Domani alle tre del pomeriggio. Al 200 di Constitution Avenue. Ovunque tu sia, spero riesca a farcela. Chiama e conferma.»

Matt lasciò un messaggio sulle segreterie telefoniche dello zio a casa e in ufficio, dicendo che ci sarebbe stato, quindi ne lasciò uno sulla sua segreteria telefonica per Mae, dichiarando che stava bene e che si sarebbe messo in contatto con lei. Dopo avere agganciato, raccontò tutto a Nikki.

«Domani riporterò la motocicletta a Washington», concluse. «Vuoi venire con me?»

«Accumuli dei punti per i chilometri su questo coso?»

«Il doppio andando a Washington. È uno shuttle.»

«Grazie. Voglio realmente stare con te, ma per il momento penso di dover rimanere qui. In primo luogo, ho l’impressione che il mio corpo non accetterebbe altri strapazzi; in secondo luogo, questo mio lavoro di fare a pezzi gente defunta è ben pagato, ma solo se lo faccio. È quello che dice il mio contratto.»

«Capisco. Tornerò appena avrò concluso questa faccenda con la miniera.»

Erano quasi le undici quando imboccarono l’autostrada sudorientale verso le luci tremolanti di Boston. Non pioveva più e l’aria era fresca e frizzante.

«Sei mai tornato qui dopo l’internato?» domandò Nikki. «No», rispose senza girarsi. «All’inizio, appena tornato a Belinda, lavoravo come un matto al pronto soccorso, poi come un matto per aprire lo studio medico privato. Ginny si è ammalata poco dopo, e non ha mai avuto un periodo di remissione. Dopo la sua morte, è stato anche troppo difficile per me trovare la forza di alzarmi e andare in ambulatorio, per non parlare di un viaggetto nostalgico a Boston. La città comunque mi era piaciuta, molto.»

Lo studio del medico legale era situato appena fuori dall’autostrada. A parte la bassa illuminazione notturna, l’edificio a tre piani era buio. Nikki suonò il campanello all’entrata una decina di volte, e ambedue sentirono il trillo riecheggiare nell’ampio vestibolo, ma non videro alcun movimento.

«Strano», osservò Nikki, «di solito c’è un guardiano tutta la notte. In ogni caso, Joe lavora spesso fin dopo la mezzanotte. Sapendo che stiamo arrivando, mi riesce difficile credere che sia andato a casa.»

«Forse non si sentiva bene», azzardò Matt. «Forse. La porta d’entrata si apre con una scheda magnetica che purtroppo è nel West Virginia tra le mie cose. Vi è però una porta di sicurezza sul retro con tastierino. Anche l’ufficio di Joe è sul retro, forse sentirà il cicalino.»

Matt la seguì lungo un vialetto fiocamente illuminato fino al retro dell’edificio.

«Vedi, quello è l’ufficio di Joe, quella luce lassù al secondo piano. Sapevo che era qui.»

«Avevi ragione a dire che non ci sentiva. Che edificio lungo, sembra una specie di portaerei.»

Nikki batté il codice ed entrarono sul pianerottolo della scala in cemento, lugubremente illuminato dalla rossa scritta USCITA. L’aria era imbevuta del tipico, anche se non forte, odore di formaldeide. Con Matt alle sue spalle, Nikki salì al secondo piano e aprì la porta che dava in un corridoio coperto di moquette con uffici a entrambi i lati.

«Joe, siamo noi», gridò.

Bussò alla porta contrassegnata JOSEF KELLER, CAPO MEDICO LEGALE, quindi l’aprì. L’ufficio era illuminato da un impianto fluorescente sul soffitto e una lampada da tavolo. Joe Keller era alla sua scrivania, le spalle rivolte alla porta.

«Joe», iniziò Nikki, «Perché non hai…?»

S’interruppe nel vedere il sangue sulla moquette. Corse alla sedia e lanciò un urlo. La scrivania era schizzata di sangue scuro e coagulato, come pure il viso e i vestiti di Joe Keller. La testa era china sul petto, Nikki la sollevò dolcemente, mostrando un volto malconcio con un foro di proiettile appena sopra il naso. Gli occhi di Joe erano spalancati e resi vitrei dalla morte. Da un orecchio penzolavano gli occhiali dalla montatura in filo metallico.

«Guarda», esclamò Matt, indicando la mano destra di Keller, poggiata sul grembo dell’uomo morto.

L’indice era stato troncato di netto all’altezza della nocca mediana.

«Oh, mio Dio!» gridò Nikki, barcollando all’indietro, gli arti contratti.

Matt le cinse le spalle e la strinse a sé.

«Tesoro, non toccare più niente», la implorò.

«Chi farebbe una cosa simile? Perché? Era un uomo tanto dolce e caro. Perché? Gesù. Oh, merda! No.»

Non riusciva a stare ferma, continuava a dondolare da un piede all’altro, a battere i pugni contro le cosce. Matt la trascinò via dal corpo del suo maestro, cercando contemporaneamente di confortarla, di valutare la scena e di restare vigile, qualora il killer fosse ancora nell’edificio. Pensò all’arma nella borsa sulla moto e si maledisse per non averla portata con sé quando Keller non aveva aperto la porta. Aveva sospettato vagamente che potessero esserci dei problemi, ma non aveva prestato sufficiente attenzione al suo intuito. Non aveva il minimo dubbio che il torturatore e assassino del medico legale fosse in qualche modo collegato a Kathy Wilson. C’era forse Grimes nelle vicinanze, o i suoi scagnozzi?

A un’estremità dell’ufficio c’era un tavolo da conferenze rotondo. Matt fece accomodare Nikki su una sedia rivolta dalla parte opposta di Keller.

«Nikki, mi spiace veramente, sono dispiaciuto e nauseato.»

«Pensi che abbia a che fare con Grimes?» singhiozzò.

«Sto tentando di capire come, ma sì, ne sono certo.»

Decise di non porle altre domande su ciò che poteva avere detto a Grimes durante la funzione religiosa in memoria di Kathy o nella casupola.

«V… voglio aiutarti», mormorò lei.

«Tra un attimo. Nik, puoi rimanere qui seduta mentre io mi guardo in giro?»

«Sì.»

«Bene. Tieni le mani sulle ginocchia. So che vi è una logica spiegazione per la presenza delle tue impronte in questo edificio, ma non vorrei fossero le uniche impronte fresche di un dipendente di questo ufficio.»

«Capisco. Matt, lo hanno torturato.»

Matt camminò attorno alla scrivania ed esaminò tutto l’ufficio. Nessuna pistola, nessun coltello, nessun dito. Si accovacciò e studiò il volto contuso e alterato di Keller. Il setto nasale era sicuramente rotto e vi era probabilmente una frattura dell’osso orbitale sopra l’occhio sinistro.

Al calare della sera avevano discusso di nuovo se rivolgersi o no alla polizia e avevano deciso di aspettare.

«Nikki», chiese Matt, «puoi dire quando è stato ucciso?»

«Dovrei esaminarlo per essere precisa, ma da ciò che ho visto, direi un paio d’ore fa.»

«Possiamo quindi aspettare prima di chiamare la polizia.»

«E forse farlo da un telefono a gettoni.»