«Torna, allora, con me alla motocicletta.»
«Non vuoi guardarti in giro e cercare di scoprire perché lo hanno fatto?»
«Oh, sì. Ma c’è qualcosa nella mia borsa che vorrei recuperare, caso mai fossero ancora qui in giro.»
Pochi minuti dopo, con Matt che teneva imbracciato il revolver a canna mozza di Larry, iniziarono una ispezione sistematica dell’edificio.
«Presupponendo che ciò abbia a che fare con Kathy», domandò Matt, «cosa pensi volessero?»
«Non lo so. Iniziamo dalle nostre schede. Sono in una stanza chiusa a chiave dietro la sala delle autopsie.» Coprendosi le punte delle dita con la camicia, Nikki compose il suo codice su un tastierino, aprendo la porta che dava nella lunga e stretta stanza dell’archivio. «I dossier sugli scaffali sono sistemati secondo il numero del caso», spiegò, dirigendosi verso uno stretto armadio a sei cassetti. «Questo schedario è alfabetico.»
«E?»
«Non riesco a trovare la sua scheda. Vi sono sette Katherine Wilson, ma nessuna è quella giusta.»
«Guarda», esclamò Matt, indicando una chiazza scura sull’angolo della lunga tavola al centro della stanza.
Nikki scrutò la macchia. «Avevano portato qui Joe.»
Fece scorrere di nuovo le cartelle, quindi tirò fuori tutte le Wilson e le pose sul tavolo. Matt le passò una a una, poi scosse la testa.
«Nada.»
«Abbiamo una copia di tutte le schede.»
Nikki si sedette al terminale del computer, batté alcuni tasti, quindi scrisse un numero.
Anche lì mancava la scheda di Kathy Wilson e, con quella, tutti i dati dell’autopsia.
«Usate un servizio di trascrizione dei dati?»
Nikki era già tornata al terminale.
«Ne abbiamo uno interno. La registrazione è stata cancellata dal database. Hanno pensato a tutto tranne che alla lista di riserva delle schede. Joe è riuscito in qualche modo a non parlarne. Andiamo giù a istologia. È proprio sotto la sala delle autopsie.»
Chiusero l’archivio ed entrarono nella grande sala delle autopsie con i suoi tre tavoli in acciaio inossidabile. Il tavolo centrale era occupato. Un uomo dalla pelle color rame, che indossava ancora stivali da lavoro e una tuta macchiata, giaceva serenamente, i pollici agganciati alle bretelle, gli occhi che non vedevano, fissi sul controsoffitto. Dove prima c’era l’occhio sinistro, vi era ora una densa macchia di sangue coagulato e tessuto. Sotto il sangue coagulato non poteva esserci che un foro di proiettile.
«Oh, Cristo», borbottò Nikki, girando la testa.
«L’addetto alla manutenzione?»
Lei annuì. «Santiago.»
«Un tocco carino avergli agganciato così i pollici.»
«Le scale per istologia sono laggiù.»
Non sorprese nessuno dei due scoprire che i vetrini di Kathy Wilson e tutti i campioni di tessuto non sezionato erano scomparsi.
«Niente», ammise Nikki dopo avere controllato l’ultimo posto dove potevano esserci tessuti di Kathy.
«Due uomini sono morti affinché qualcuno potesse garantirsi proprio questo.»
«Matt», esplose Nikki, «andiamocene di qui. Voglio andare di corsa a casa.»
«Non credo sia una cosa saggia.»
«Non m’importa. Tu hai una pistola. Se non te la senti di usarla, ti assicuro che io sono più che pronta a farlo. Voglio andare a casa. Voglio sedermi e bere una tazza di tè nella mia poltrona e studiare la prossima mossa.»
«D’accordo, d’accordo. Indicami la strada.»
«Grazie.»
«E, Nikki?»
«Sì?»
«Mi spiace veramente per Joe.»
«Lo so, lo so.»
In silenzio, lungo strade per lo più deserte, percorsero i pochi chilometri verso South Boston e parcheggiarono a un isolato di distanza dall’appartamento di Nikki. Matt infilò il revolver nella cintura e lo coprì con la camicia, tenendo la mano sul calcio. Cautamente camminarono lungo la pittoresca serie di villette bi e trifamiliari, una attaccata all’altra, stando ben attenti a qualsiasi movimento provenisse dalle macchine posteggiate lungo la strada.
«Come faremo a entrare?» chiese Matt.
«C’è una chiave di riserva in una piccola scatola calamitata dietro il pluviale. Kathy perdeva di continuo la sua.»
La chiave era proprio dove aveva previsto fosse. Con cautela, salirono le scale fino al secondo piano. Matt estrasse il revolver e lo tenne puntato mentre Nikki infilava la chiave nella serratura, la girava silenziosamente e apriva la porta.
«Oh, no.»
Il suo appartamento era a soqquadro. Vi erano libri sparsi dappertutto, scaffali svuotati. Le lampade erano state rovesciate, ogni cassetto aperto e svuotato, ogni cuscino e ogni quadro incorniciato gettato in mezzo al pavimento. Statuine e piatti per dolci rotti. Senza pensare che quegli uomini potessero trovarsi ancora in casa, Nikki cadde sulle ginocchia e si mise a singhiozzare istericamente. Matt s’inginocchiò accanto a lei e fece l’unica cosa che gli parve sensata, chiuse la porta con un calcio, le cinse le spalle con il braccio e la lasciò piangere.
Quindici minuti dopo erano ancora nello stesso punto. Alla fine, intontita, Nikki si alzò e si trascinò in camera da letto. Ne uscì poco dopo con uno zaino di media grandezza pieno di vestiti.
«Usciamo di qui e andiamocene da Boston», disse con voce piatta. «Mi sembra di essere stata violentata.»
Matt la seguì fuori da quell’appartamento saccheggiato, giù per le scale e fuori dalla porta verso la motocicletta.
«Non la faranno franca», disse Matt. «Te lo prometto.»
«Ora andiamo alla polizia», dichiarò con fermezza Nikki, girandosi di colpo, un’espressione che era un miscuglio sconvolgente di rabbia e disorientamento. «Questa volta non mi convincerai a non farlo. Se ci fossimo andati quando l’avevo detto, forse Joe sarebbe ancora vivo.»
«Nikki, questa è…»
«Non dirmi che è una sciocchezza!» sbottò. «Forse lo è e forse no. Io voglio solo andare alla polizia.»
Matt si guardò attorno rapidamente per vedere se la sua esplosione avesse svegliato qualcuno.
«Adesso?» chiese. «Ma…»
«Maledizione, Matt, un mio caro amico è morto ed è stato Grimes a ucciderlo! Non m’interessa la tua fottuta miniera di carbone o… o le tue teorie sui rifiuti tossici o il tuo dannato folle paese. Joe Keller era l’uomo più gentile al mondo. Perché diavolo hanno fatto una cosa simile? Perché?»
Riprendendo a singhiozzare disperatamente, gli gettò le braccia al collo e nascose il volto nel suo petto.
Matt la strinse a sé. Andare alla polizia voleva dire andare in cerca di guai, ne era più che certo. Joe Keller era morto già da un paio d’ore quando l’avevano trovato, e non sarebbe stato più facile prendere quelli che l’avevano ucciso e che avevano distrutto l’appartamento di Nikki in questo momento di quanto lo sarebbe stato se avessero aspettato un’ora per fare una telefonata anonima. Denunciare il rapimento di Nikki, voleva dire avere la loro parola contro quella di Grimes ed esporsi allo scoperto in un momento in cui libertà e mobilità erano gli unici elementi a loro favore.
«Senti», disse, «mettiamoci in moto. Ci fermeremo tra un po’ a un telefono a gettoni e chiameremo la polizia di Boston. Spero di riuscire a convincerti almeno a non presentarti di persona in una stazione di polizia o in un ufficio dell’FBI, ma questo alla fin fine dipenderà da te.»
I singhiozzi di Nikki diminuirono gradualmente. Alla fine, senza dire una parola, saltò in sella alla Harley e attese che lui salisse.
Matt rimise il revolver nella tasca della giacca, montò davanti a lei e avviò la moto. Se andare alla polizia fosse stato ciò di cui lei aveva bisogno, lì l’avrebbe portata. Ne aveva sopportate troppe. Partì, sentendola seduta rigidamente dietro di lui, gli occhi fissi nella notte. Era contento che fosse andata in camera da letto e avesse radunato le sue cose, contento di avere avuto il tempo di girare per il soggiorno prima che lei tornasse, contento di avere dato per caso un’occhiata sopra la mensola. Da qualche parte entro la prossima mezz’ora, avrebbe fermato la Harley su una spalletta e, appena si fosse accorto che lei non prestava attenzione, avrebbe lanciato nel bosco ciò che aveva trovato sulla mensola.