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«Perché oggi, alle tre del pomeriggio, credo, la first lady presiederà una cerimonia teletrasmessa dal vivo, durante la quale il ministro della Sanità farà a una neonata di quattro giorni la prima iniezione ufficiale di Omnivax. Verrà vaccinata al centro sanitario di Anacostia, un quartiere di Washington. Subito dopo quella prima iniezione, i pediatri di tutto il paese inizieranno a somministrare l’Omnivax ai loro pazienti. Hanno già il vaccino nei loro frigoriferi.»

«E probabilmente nessuno di quei bambini si ammalerà immediatamente», commentò cupamente Nikki. «Nessuno si renderà conto che qualcosa non va.»

«Oh, qualcuno si ammalerà», ribatté Ellen. «Una percentuale di bambini vaccinati si ammala inevitabilmente, alcuni di loro gravemente, altri addirittura in modo letale. I pediatri e gli scienziati e le ditte farmaceutiche ci dicono che le loro vite sono un compromesso per il bene di tutti. Mi chiedo come si sentirebbero se si trattasse della vita dei loro figli. Il problema che ha preoccupato me e molti altri da tempo riguarda le inoculazioni: chi mai potrà dire ciò che accadrà dopo cinque o dieci anni che una bambina è stata vaccinata, specialmente adesso che tutte le vaccinazioni sono accumulate nell’Omnivax?»

«Questi tre lo possono dire», rilevò Matt. «Grimes deve avere capito che il vaccino era difettoso. Con tutti quei soldi in gioco, piuttosto che dire la verità sul Lasaject o rischiare che qualcuno come noi vedesse un numero sufficiente di casi da mettere insieme i pezzi, ha deciso di eliminare tutti quelli che avevano sviluppato il morbo dei prioni. Guadagna così dieci anni prima che arrivi la prossima ondata di encefalopatie spongiformi e neurofibromi.»

«Un’ondata, forse», commentò Nikki, «o, con ogni probabilità, uno tsunami.»

«Nikki, mi hai detto che Kathy era convinta che degli uomini la seguissero per ucciderla. Forse aveva ragione. Credo che Grimes abbia rintracciato ogni singolo paziente del gruppo su cui era stato testato il vaccino. I tre che sono qui potrebbero essere gli ultimi con la sindrome.»

«Dobbiamo bloccare il supervaccino!» esclamò Ellen.

«Ellen», ribatté dolcemente Nikki, «Grimes è riuscito in qualche modo a farci assegnare il suo amico Sutcher come guardia del corpo. Sono quasi certa che sia stato lui a fare scattare l’interruttore che ha fatto esplodere le entrate alla caverna. È un miracolo che il soffitto non sia crollato, è evidente che era quello che volevano. Siamo però rinchiusi qui, ben dentro la montagna. Non c’è via d’uscita.»

«C’è, perché deve esserci», replicò Ellen con cupa convinzione.

«Spero che lei abbia ragione», commentò Nikki. «Abbiamo girato per questa caverna, ma non abbiamo visto nulla. Penso che ora possa allentare la compressione.»

Ellen ubbidì. A parte una piccola quantità di sangue che fluiva lentamente, la ferita aperta sotto l’inguine di Carabetta rimase asciutta. In silenzio, Nikki la riempì con della garza sterile e la chiuse in parte con del nastro adesivo. L’investigatore dell’OSHA reagì a quel procedimento doloroso soltanto con un gemito soffocato.

«Ellen ha ragione», esclamò Matt, i pugni stretti. «C’è una via per uscire, perché deve esserci. È troppo pericoloso starcene qui seduti in attesa di soccorsi che sappiamo non arriveranno mai.»

«Vuoi che ci mettiamo a scavare? Matt, alcuni di quei massi pesano centinaia o migliaia di chili. E io non riesco neppure a camminare senza aiuto.»

«Allora lo faremo Ellen e io. Forse la ragazza quando riprenderà conoscenza, e anche Tarzana, se riusciamo a calmarla. Che altra possibilità abbiamo?»

«Forse ce n’è una», ribatté Nikki. «Il corso d’acqua là dietro. Viene da qualche parte e va da qualche parte.»

Matt si attaccò immediatamente a quell’idea.

«Credo entri proprio vicino al crepaccio da dove siamo entrati», disse, un pizzico di eccitazione nella voce, «ma è un percorso dannatamente lungo sottoterra e, da qui, per la maggior parte in salita. Non credo che qualcuno possa farcela.»

«Allora, forse la via d’uscita è dall’altra parte.»

Matt guardò da una all’altra donna come se cercasse di immaginare come sarebbe stato quel viaggio e come sarebbe finito. Ricordò il panico provato strisciando lungo le basse gallerie. Che cosa avrebbe provato facendosi portare attraverso un canale stretto, buio come la pece e pieno d’acqua? E se fosse rimasto incastrato? E se il passaggio fosse diventato troppo piccolo e non lui riuscisse più a indietreggiare? Poteva esserci un modo peggiore di morire dell’annegare, bloccato tra pareti di roccia in un fiume sotterraneo? Quanto ci avrebbe messo a perdere finalmente conoscenza?

«Andiamo a dare un’occhiata», si sentì dire.

Senza chiedere permesso, si chinò e sollevò Nikki tra le braccia. Poi, con Ellen che portava una lanterna, e un’altra lasciata accesa per confortare e orientare gli altri, si diressero, tra i detriti e i bidoni, verso il fiume. Nikki cinse le braccia attorno al collo di Matt e premette la guancia contro la sua.

«Grazie per il passaggio, straniero», scherzò, mentre lui la metteva a terra sulla gamba sana e lei si sosteneva alla ringhiera del ponte.

«Di niente, signora.»

Diede un colpetto alla tesa di un immaginario cappello, quindi s’inginocchiò e scrutò l’acqua nera come l’inchiostro e ribollente. Alla loro sinistra il fiume entrava nella caverna attraverso una stretta apertura, al massimo una cinquantina di centimetri tra la superficie dell’acqua e la roccia. A tre metri da loro vi erano i resti dell’altro ponte. A destra, nella direzione della corrente del fiume, l’apertura era ancora più piccola, forse non più di trenta centimetri. Allungò la mano e trovò conferma di ciò che già sapeva, l’acqua era dannatamente fredda.

Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa con cui misurare la profondità e prese una delle assi della ringhiera del ponte rotto. L’asse, lunga circa un metro, toccò il fondo appena prima di scomparire sott’acqua, un buon segno.

«Lo posso fare», disse, conscio del nodo di paura che si stava materializzando nel suo petto.

«Dovrei farlo io», ribatté Ellen. «Sono molto più piccola e vado a nuotare all’YMCA quattro volte alla settimana.»

L’aveva conosciuta da poco, ma Matt non dubitò affatto che Ellen Kroft avesse la tenacia di portare a termine con successo quel tentativo di fuga. Lui, tuttavia, era più giovane e più forte e non meno motivato di lei.

«Questi boschi e la gente di montagna possono essere piuttosto inospitali», ammise, «specialmente nel bel mezzo della notte. Forse dovrà comunque provarci. Se non mi sentite tra tre, quattro ore, potrebbe provare a seguire l’altra via. Dipenderà da lei, ma le voglio comunque dire che non deve preoccuparsi. All’YMCA facevo il bagnino.»

«In questo caso, aspetterò», concesse Ellen. «Ce la farà.»

«Ne sono sicuro.»

Matt abbracciò Nikki e la tenne stretta a sé.

«Vuoi che ti riporti dai tuoi pazienti?» chiese.

«Ellen e io ce la faremo da sole», rispose lei, tirando su col naso alcune lacrime. «Matt, ho paura. Io… non voglio che tu te ne vada.»

Matt la baciò, dapprima dolcemente, poi con fervore.

«Vengono in mente anche a me alcune cose che preferirei fare», sussurrò. «Ma, come ha detto Ellen, ce la farò perché devo farcela.»

Intuì di non avere dato alla sua voce il tono di convinzione che avrebbe voluto. Il nodo di paura sotto lo sterno stava diventando grande come una palla da bowling. Fissò prima il fiume, poi il sottile spazio sopra la superficie dell’acqua dove rientrava nella montagna. All’università, lui e i suoi compagni di stanza si erano chiesti, di tanto in tanto, cosa avrebbero fatto, quali sarebbero state le loro sensazioni se avessero saputo esattamente quando sarebbero morti. A quanto pareva, ora si sarebbe forse trovato nella situazione di poter rispondere.