Le domande ripresero a scorrergli nella mente.
Avevano un altro modo, un’altra ragionevole possibilità di salvarsi? Se rimaneva incastrato, dopo quanto tempo avrebbe perso i sensi? Per quanto tempo riusciva a trattenere il fiato? Come ci si sentiva ad annegare?
Il revolver che aveva preso al grosso compare di Grimes era infilato nella tasca dei pantaloni della tuta. L’arma avrebbe potuto risultare utile, se fosse riuscito a uscire e poi fosse finito nei guai. Ne sapeva abbastanza di pistole da sentirsi sicuro che l’arma avrebbe sparato anche dopo essere stata immersa per un breve periodo, a patto che si ricordasse di togliere l’acqua dalla corta canna prima di premere il grilletto. Fosse rimasto intrappolato, dubitava che avrebbe avuto la possibilità di usarla contro se stesso.
Altre domande…
C’era qualcos’altro di utile da portare con sé? Meglio togliersi le scarpe o no? Trarre profondi e prolungati respiri o partire e basta?
Matt sapeva che stava indugiando. Si stimolò immaginando la tremenda perdita di vite che sarebbe avvenuta se i loro sospetti sul Lasaject e la malattia spongiforme fossero stati veri. Con quel pensiero fisso nella mente, scivolò oltre il bordo roccioso nell’acqua gelida. Nikki si chinò e gli toccò la punta delle dita con le sue.
«Ci vediamo presto», mormorò.
Lui camminò piegato in due verso l’apertura nella roccia. Una volta arrivato, trasse parecchi respiri profondi e lanciò uno sguardo dietro le spalle.
«Puoi scommetterci», gridò.
Inspirò un’ultima volta, si tuffò sotto la superficie dell’acqua nera e si spinse nella corrente diretta a valle.
33
Il petto di Matt cominciò a bruciare: la prima sensazione di mancanza d’aria, dopo appena quindici o venti secondi sotto la superficie di quell’acqua gelida e nera come la pece. La sua sghemba nuotata divenne ancora più scoordinata. Temendo di sbattere contro il soffitto della sua tomba, se avesse cercato di emergere, avanzò per altri venti secondi. Il fuoco nei polmoni stava diventando insopportabile. Atterrito, allungò le braccia sopra la testa. Le mani emersero dall’acqua, ma, quasi immediatamente, con i gomiti ancora piegati e i piedi che rasentavano il fondo, le dita toccarono la roccia. C’era uno spazio d’aria sopra di lui, anche se non poteva dire quanto ampio.
Lottando contro una sensazione orribile, asfissiante, si strinse il naso, inclinò il più possibile all’indietro la testa e si tirò su. Il volto era all’altezza dell’avambraccio quando emerse. Non c’era abbastanza spazio per mettersi eretto, ma ben dieci, dodici centimetri d’aria. Con la fronte contro la roccia, inspirò per cinque o sei volte aria pesante e viziata. Si abbassò, lasciando emergere solo gli occhi dalla superficie dell’acqua e lentamente si girò di centottanta gradi. L’oscurità alle sue spalle era profonda e assoluta. Difficilmente Nikki ed Ellen si erano già allontanate dal ponte, per cui o lui aveva nuotato più lontano di quanto avesse creduto, oppure il fiume aveva svoltato in modo deciso. L’acqua fredda gli scorreva lungo il viso. Si girò di nuovo, per avere la corrente dietro, quindi si inclinò per poter respirare ancora una volta.
Pur tenendo ben chiuso il naso e la fronte premuta contro il soffitto, l’acqua gli entrò ugualmente in bocca, rendendogli difficile respirare con continuità. Dita di panico, infinitamente più fredde dell’acqua, gli strinsero la gola. Era vivo, ma quasi immobilizzato dalla paura. La sensazione opprimente e claustrofobica era peggiore di quanto avesse previsto, molto peggiore. Era assolutamente impossibile continuare. Doveva tornare, tornare dove avrebbe potuto drizzarsi, dove ci sarebbe stato più spazio per respirare, dove c’era Nikki. Tentò, senza riuscirci, di girarsi, ma sembrava avere perso ogni energia.
La corrente, sebbene non forte, continuava a spingerlo verso valle, sollevandogli i piedi dal fondo e trascinandolo sott’acqua. A fatica riusciva a incunearsi tra il fondo sassoso e il soffitto della galleria, e solo per una decina di secondi alla volta prima che la corrente la spuntasse. Consapevole quasi soltanto della sua tremenda impotenza, continuò a galleggiare. Un affioramento di roccia gli colpì la mano e la fronte con una forza sorprendente, stordendolo momentaneamente. Le pareti del canale gli graffiarono le braccia. L’energia spesa per tenersi nella posizione giusta lo fece ben presto ansimare.
Non ce la faceva più.
Doveva mettersi in posizione eretta.
Maledizione a te, Grimes.
Matt si fece forza e chiuse gli occhi. La vista qui era in ogni caso inutile. Si calmò un poco immaginando che poco più avanti ci fosse una caverna… una grande caverna… un sacco di aria… spazio per muoversi… spazio per girarsi e stare in piedi… spazio per pensare.
Lentamente, con la testa che toccava il soffitto, abbassò bocca e naso sotto la superficie dell’acqua e fece un passo verso valle… poi un altro, e un altro ancora. Sentì il battito rallentare e i pensieri mettersi a fuoco. Le dita ghiacciate allentarono la presa. Ogni sei o sette passi, si fermava per inclinare la testa e inspirare alcune boccate d’aria. Imbaldanzito, si tuffò sotto la superficie dell’acqua e fece alcune bracciate a rana. Questa volta, però, quando emerse, riuscì a drizzarsi ancora meno di prima e lo spazio d’aria si era ridotto della metà, cinque, sette centimetri al massimo. Riuscì a inspirare un paio di boccate prima che la corrente lo spingesse di nuovo avanti. Un altro metro e lo spazio scomparve del tutto. Con poca riserva d’aria nei polmoni, si lasciò cadere, si mise in posizione orizzontale e iniziò a nuotare, questa volta disperatamente e con tutte le sue forze. Per due volte cercò di infrangere la superficie, per due volte trovò solo roccia.
Era la fine.
La corrente ora era aumentata e la turbolenza un problema in più. Freneticamente, artigliò l’acqua agitata, cercando di stabilizzare il corpo. I polmoni erano di nuovo in fiamme e ogni battito cardiaco un proiettile che gli scoppiava nel cranio. Ebbe l’impressione che le pareti della galleria si unissero, tirandolo mentre precipitava tra loro.
Non respirare!… Resisti!…
Nel momento in cui dovette inalare, la sua faccia emerse dall’acqua. Tra colpi di tosse e conati di vomito, lottò per adattarsi alla corrente che si era fatta ancora più forte, tentando di mantenersi eretto mentre inalava un po’ di quell’aria densa che proveniva da quella che pensò fosse una piccola grotta o addirittura una caverna. La debolezza e la tosse gli resero impossibile riprendere il controllo.
Il fiume si era allargato ed era diventato più basso. Profondo non più di novanta centimetri, scorreva agitato a grande velocità attraverso uno spazio nero. Matt cercò di raggiungere la riva destra, ma l’acqua ribolliva attorno a lui, tirandolo sotto, per poi capovolgerlo come una bambola di pezza. Per due volte sbatté contro le rocce che spuntavano dal fondo. Nel corso degli anni, aveva percorso su gommoni da rafting alcuni fiumi del West Virginia, attraversando decine di rapide a forza di remi o nuotando. L’obiettivo era sempre stato quello di evitare i massi e la tecnica di nuoto richiedeva di avanzare con i piedi in avanti, in una posizione mezzo seduta, usando le braccia come remi. Urtando continuamente le rocce, cercò di assumere quella posizione, ma nel buio, senza alcun indizio visivo e senza nulla che lo avvertisse che si stava avvicinando a un masso, era molto difficile.
Sputacchiando acqua inspirata, scivolò impotente lungo una ripida scarpata. Il fiume ribollente e vorticoso sembrava scorresse sempre più in verticale e ora sentì un rombo echeggiare dalla roccia, il rombo dell’acqua che precipitava. Continuò a ruzzolare, sbattendo contro il fondo roccioso e i massi. Le braccia, che usava per riparare testa e faccia, stavano subendo uno spaventoso bombardamento. Non aveva più fiato, stava perdendo i sensi e i polmoni si stavano riempiendo d’acqua. All’improvviso, ciò che era stato un pendio, divenne un salto. Senza peso e lanciato in aria, volò oltre il precipizio. Atterrò malamente e con grande forza nella bassa pozza in fondo. Scagliato in avanti, colpì con la fronte una roccia frastagliata. Il dolore gli esplose nel cervello.