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«Chi dovrebbe portare a termine la missione?» chiese Keith.

«Gli esseri del futuro… i discendenti delle razze del Commonwealth. L’hai detto tu stesso, Lansing: tu sei destinato a diventare enormemente vecchio, a vivere per miliardi di anni. In altre parole, sarai immortale. Be’, delle creature che siano veramente immortali devono prendere in considerazione, primo a poi, la morte dell’universo. Resterebbe il solo evento in grado di porre fine alla loro esistenza.»

«E l’entropia?» domandò Lianne.

«Be’, sì, il secondo principio della termodinamica predice una morte calda per qualunque sistema chiuso. Forse però l’universo non è completamente chiuso. Dopo tutto ci sono buone ragioni teoriche per credere che il nostro universo faccia parte di una serie di infiniti universi. Potrebbe rivelarsi possibile trarre energia da un’altra dimensione, o semplicemente conservare l’energia disponibile producendo una quantità minima di entropia, cosicché questo universo possa ospitare la vita virtualmente per sempre. In ogni caso, loro avranno triliardi di anni prima di dover fronteggiare questo problema, triliardi di anni a disposizione per trovare una risposta.»

«Ma… ma è un progetto inconcepibile» esclamò Keith. «Voglio dire, se adesso siamo sotto la densità critica del cinque per cento, quante stelle dovrebbero essere spedite indietro? Anche se ne arrivasse una da ogni scorciatoia, ancora non basterebbero, vero?»

«No» confermò Jag. «La nostra stima è che ci siano quattro miliardi di scorciatoie nella nostra galassia. Supponiamo pure che questo dato sia tipico, che cioè sia stata costruita una scorciatoia ogni cento stelle non soltanto nella Via Lattea, ma in ciascuna galassia dell’universo. Resta il fatto che le stelle costituiscono grosso modo il dieci per cento della massa dell’universo, il restante novanta per cento è di materia oscura. Di conseguenza, inviando una stella di media grandezza attraverso ciascuna scorciatoia, la massa dell’universo viene accresciuta soltanto di un millesimo, rispetto al valore attuale. Per aumentare la massa di un ventesimo, cioè del cinque per cento, da ogni scorciatoia dovrebbero arrivare almeno cinquanta stelle.»

«Ma, avendo a disposizione il viaggio nel tempo, che bisogno c’è di salvare l’universo?» si chiese Keith. «Si potrebbe vivere per dieci miliardi di anni, poi tornare al punto di partenza e vivere per altri dieci miliardi di anni, e così via, all’infinito.»

«Oh, certo… e chissà quanti cicli di questo genere i nostri discendenti hanno attraversato, prima di sviluppare il coraggio e la tecnologia per mettere in atto un progetto simile. Il metodo del salto all’indietro ripetuto all’infinito fornisce soltanto una pseudo-immortalità… è chiaramente una possibilità di livello inferiore rispetto a quella di un universo eterno. Significa infatti che edifici e strutture di qualsiasi genere possono avere una durata massima di dieci miliardi di anni, ma anche, cosa più importante, che l’immortalità sarebbe limitata agli esseri che possiedono il viaggio nel tempo.»

«Capisco» disse Keith. «Ma il progetto è davvero enorme!»

«Effettivamente» disse Jag. «E il suo obiettivo potrebbe essere perfino più grande di quanto appare a prima vista. Dimmi: qual è l’età attuale dell’universo?»

«Quindici miliardi di anni» rispose Keith. «Anni della Terra, è chiaro.»

Jag mosse le spalle inferiori. «In realtà, benché questa sia la cifra citata più di frequente, nessun astrofisico ci crede: quindici è un compromesso fra le età dell’universo dedotte seguendo due diverse linee di pensiero. I casi sono due: o l’universo ha dieci miliardi di anni, oppure ne ha venti. Fin dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso, il valore riconosciuto della costante di Hubble (un numero legato al ritmo di espansione dell’universo) è stato di circa 85 chilometri al secondo per megaparsec. Il che significa che l’universo sta tuttora espandendosi a grandissima velocità… finora la gravità ha fatto ben poco per rallentare l’espansione… e quindi non può essere molto più vecchio di dieci miliardi di anni.

«Ma gli studi spettrali di stelle estreme di prima generazione, in particolare di quelle che si trovano negli ammassi globulari, suggeriscono che in queste stelle avvengano processi di fusione nucleare da un tempo lungo almeno il doppio. Noi fisici abbiamo sempre dato per scontato che uno dei due sistemi di calcolo fosse sbagliato. Forse invece sono entrambi corretti. Forse ciò che si osserva adesso non è che la prima fase di un progetto a più stadi. Forse sono stato troppo sbrigativo, qualche tempo fa, quando ho scartato l’idea di Magnor che parlava di spingere ammassi globulari dentro le scorciatoie. Forse questi ammassi, ciascuno dei quali contiene decine di migliaia di stelle, sono stati spinti qui dal futuro. È possibile che, in origine, questo universo contenesse una quantità di materia molto, molto inferiore al 95 per cento della densità critica, e che ormai il progetto sia arrivato nella fase della sintonizzazione fine.»

«Ma il raddoppio della massa dev’essere per forza temporaneo» osservò Lianne. «Per tornare al tuo esempio originale, se tu viaggi all’indietro da domani a oggi, oggi ci saranno due Jag, ma domani uno di loro svanirà per andare nel passato.»

«Forse è vero» disse Jag. «Ma per tutto il periodo che intercorre tra il punto di partenza nel futuro e il punto di arrivo nel passato, la massa viene effettivamente raddoppiata. È se i due punti sono separati da dieci miliardi di anni, allora la massa resta raddoppiata per un tempo molto lungo… abbastanza lungo perché i suoi effetti mettano un freno all’espansione dell’universo. Se si calcolano i tempi con precisione, non c’è bisogno che l’incremento di massa sia permanente: è sufficiente che duri abbastanza a lungo da permettere all’attrazione gravitazionale di fermare il ritmo di espansione imposto dall’esplosione originaria. Se i tempi sono studiati bene, anche senza un incremento permanente della massa si può ottenere un universo che nel lontano futuro sia esattamente bilanciato… un universo che vivrà per sempre.»

Jag si interruppe per riprendere fiato. «Si tratta del più gigantesco progetto di ingegneria che sia mai stato preso in considerazione» disse. «Ma di sicuro batte la sua alternativa, ovvero quella di permettere che l’universo muoia.» Lanciò uno sguardo a tutti i membri dell’equipaggio che si trovavano sul ponte. «E siamo stati “noi” a metterlo in atto. Noi creature di materia normale, noi creature con le “mani”! Alla fine… mi correggo, “per impedire” la sua fine, l’universo avrà bisogno di noi!»

La cerimonia, brevissima, si tenne nel loro ristorante waldahud preferito. Gli astanti erano molto più numerosi di quelli che avevano presenziato alle loro originali nozze in famiglia, a Madrid: a bordo della Starplex ogni celebrazione era la benvenuta.

Per quel giorno Thorald Magnor era stato promosso direttore vicario, perché potesse celebrare legalmente il servizio nuziale. «Vuoi tu Gilbert Keith» disse «prendere nuovamente in sposa Clarissa Maria, per amarla, onorarla e proteggerla, in salute e malattia, in ricchezza e povertà?»

Keith guardò sua moglie. Ricordò quel giorno di vent’anni prima, il giorno in cui avevano compiuto per la prima volta quel rito: era stato un giorno felice, bellissimo. Il loro era stato un buon matrimonio, stimolante intellettualmente, emotivamente e fisicamente. E oggi lei era, se possibile, ancora più bella di allora, e costituiva una sfida ancora più interessante. La guardò nei grandi occhi castani e disse: «Sì.» Thor si rivolse a lei, ma prima che iniziasse a parlare, Keith strinse la mano di sua moglie e aggiunse ad alta voce, perché tutti sentissero: «Finché morte non ci separi.»

Rissa gli sorrise, raggiante.

Dopo tutto, pensò Keith, in vent’anni c’era appena il tempo di scalfire la superficie…