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Gli altri blocchi erano gli otto moduli abitativi. Ciascuno di essi era un prisma triangolare retto alto 90 metri, con una base della stessa larghezza e uno spessore di 30 metri. A ciascuna delle quattro facce dello stelo che emergeva dal disco era attaccato un modulo, e la stessa disposizione era riprodotta specularmente nella porzione di stelo sottostante al disco. Di profilo, la nave sembrava un diamante nel quale qualcuno avesse piantato una sbarra; dall’alto assomigliava a un cerchio, con i moduli abitativi che formavano una croce al centro.

Ciascun modulo, suddiviso in 30 ponti, poteva essere rimpiazzato per dare alloggio a una nuova razza o ad apparecchiature speciali, oppure poteva essere lasciato a se stesso come base autonoma per esplorazioni a lungo termine in un nuovo settore.

Nel corso del primo anno dopo il lancio, le missioni della Starplex non avevano portato a scoperte significative. Ma adesso, finalmente, c’era una situazione di primo contatto a portata di mano. Adesso, finalmente, tutto ciò che la grande nave aveva da offrire sarebbe stato messo alla prova.

Una seconda sonda, più attrezzata, fu inviata nel settore appena aperto. Anch’essa rilevò le stelle tremolanti, ma i suoi telescopi iperspaziali localizzarono anche una massa che poteva appartenere a un sistema solare; per ottenere informazioni più precise sulla distribuzione della massa servivano però telescopi più grandi, come quelli installati alle estremità dello stelo centrale della Starplex.

A quel punto Keith ordinò l’invio nel nuovo settore di una sonda con a bordo un umano e un ib dello staff di Jag, per una ricognizione più accurata. Ma la navetta non si recò nella regione delle stelle tremolanti. Infatti, vista l’impossibilità di effettuare comunicazioni in tempo reale da un lato all’altro della scorciatoia, nel caso di incidente sarebbe stato impossibile per la Starplex intervenire in tempo. La navetta si limitò quindi a scandagliare la regione in tutto lo spettro elettromagnetico, facendo una completa ricerca multidirezionale di segnali radio artificiali. Quando tornò alla Starplex comunicò che dall’altra parte non c’erano segni di pericolo, anche se la causa del tremolio stellare rimaneva più elusiva che mai.

Keith attese finché i dati delle due sonde e della ricognizione intelligente non furono valutati da tutti i reparti. Infine, convinto che il rischio fosse limitato, ordinò a Thor di portare la stessa Starplex oltre la scorciatoia, nel settore di spazio appena aperto.

Di tanto in tanto qualcuno parlava di wormhole o di cunicoli, riferendosi alle scorciatoie, ma in entrambi i casi si trattava di un errore. Non c’era infatti alcun tratto di spazio fra l’entrata e l’uscita della scorciatoia. Erano piuttosto come porte interne di una casa che avesse le pareti sottili come carta: durante l’attraversamento ci si trovava un po’ in una stanza e un po’ nell’altra. Il concetto era identico, a parte il fatto che le stanze erano separate da molti anni luce.

A poco a poco il Commonwealth aveva compreso come navigare nella rete delle scorciatoie. Nello spazio normale, una scorciatoia dormiente è un punto. Nell’iperspazio, invece, quel punto è circondato da una sfera rotante di tachioni, che si spostano lungo milioni di linee orbitali polari, tutte alla stessa distanza come i meridiani del mappamondo. Con un’eccezione: un’orbita è dimezzata, e il suo tachione va avanti e indietro lungo una semicirconferenza. Questa fettina libera da tachioni è nota come “meridiano zero”, e consente di trattare la sfera di tachioni proprio come un globo planetario, dotato di un sistema di coordinate di longitudine e latitudine.

Per viaggiare attraverso una scorciatoia, si imposta una rotta in linea retta che attraversi il centro della sfera. Nell’avvicinarsi a quel punto, si buca la sfera in un punto di longitudine e latitudine date, e sono questi due numeri a stabilire da quale altra scorciatoia si uscirà: dove si sbuca nella galassia dipende cioè dalla direzione con la quale ci si avvicina alla scorciatoia locale.

Ovviamente doveva esserci stata almeno una scorciatoia attiva fin dall’inizio, pur senza essere associata ad alcuna razza… altrimenti non ci sarebbe stato nessun posto dove emergere per la prima civiltà che avesse attraversato la propria scorciatoia. Quella iniziale, la Prima, era evidentemente un bonus concesso dai fabbricanti di scorciatoie. Si trovava nel cuore della Via Lattea, in vista del buco nero centrale. Le prime esplorazioni terrestri in quel settore non avevano portato alla scoperta di nessuna forma di vita locale, proprio come ci si aspettava, perché il nucleo galattico era di gran lunga troppo radioattivo.

Nel momento della fondazione del Commonwealth esistevano solo quattro scorciatoie attive: Tau Ceti, Rehbollo, Flatlandia e la Prima. A mano a mano che altre uscite venivano attivate, si riducevano le angolazioni d’approccio accettabili per ogni potenziale uscita. Quando si arrivò a una dozzina di scorciatoie, fu chiaro che per ritornare a quella di Tau Ceti si doveva infilzare la sfera tachionica a circa 115 gradi di longitudine est e a 40 gradi di latitudine nord, più o meno le coordinate della città di Pechino sulla Terra. Fu da questo che nacque il soprannome di Nuova Pechino per la colonia terrestre su Silvanus, quarto pianeta di Tau Ceti.

Quando una nave tocca la scorciatoia, il punto che la costituisce si espande… ma soltanto in due dimensioni. Esso forma un buco nello spazio, perpendicolare alla direzione di movimento della nave. E la forma del buco è identica alla sezione della nave che in quel momento lo sta attraversando. L’apertura è contornata da un anello violetto di radiazione Soderstrom, causato dai tachioni che sprizzano dai suoi bordi e si tramutano in particelle più lente della luce.

Un osservatore che guardasse la scorciatoia di fronte vedrebbe la nave scomparire in un’entrata dai bordi violetti. Da dietro, invece, vedrebbe soltanto una nera assenza sullo sfondo stellato, e la sagoma dell’assenza sarebbe quello dell’oggetto in via di sparizione.

Una volta che la nave ha completato il transito, la scorciatoia si chiude in altezza e in larghezza, collassando nuovamente nel nulla… in attesa del successivo viaggiatore galattico.

Thor attivò l’allarme di pretrasferimento: cinque rulli di tamburo elettronici di intensità crescente. Keith sfiorò alcuni tasti e il suo monitor numero due si divise a metà. Una parte mostrava lo spazio normale, nel quale la scorciatoia era invisibile; l’altra era una simulazione computerizzata basata su scansioni dell’iperspazio e mostrava la scorciatoia come un luminoso punto bianco su uno sfondo verde, circondato da una luccicante sfera arancione di linee di campo.

«Va bene» disse Keith. «Passiamo.»

Thor azionò i comandi. «Come vuoi, capo.»

La Starplex percorse i 20 chilometri che la separavano dalla scorciatoia e toccò il punto bianco, che si allargò adattandosi alla sagoma a diamante della nave: ardenti labbra color porpora che mimavano la forma della gigantesca astronave. Mentre la Starplex passava, la bolla olografica intorno al ponte mostrò i due discontinui panorami stellari, e il movimento da prua a poppa della tempestosa linea di confine che li separava. Non appena la nave fu dall’altra parte, la scorciatoia si ridusse a nulla.

E furono là, nel Braccio di Perseo, dopo un balzo pari ai due terzi della lunghezza della galassia, che li aveva portati a decine di migliaia di anni luce dai loro mondi d’origine.

«Il passaggio è stato normale» comunicò Thor. Il piccolo ologramma del suo viso fluttuava sopra il computer di Keith, proprio in linea con l’autentica nuca di Thor, e la mescolanza tra la massa olografica di capelli rossi e la criniera autentica dava l’impressione di un gran mare arancione dove galleggiavano lineamenti sbozzati con l’ascia.