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Le donne ancora impegnate nell’allevamento dei figli piccoli non sono Guerrieri; combattono solo per difesa, salvo il caso che sia stato ucciso un bambino: allora è la madre a guidare le altre donne in un’incursione a scopo di vendetta.

Normalmente, i veksi non invadono gli altri villaggi e non uccidono o aggrediscono intenzionalmente i bambini. Ma, com’è prevedibile, nelle loro furiose battaglie finisce per essere ucciso anche qualche bambino. Le donne non Guerrieri, le madri vendicatrici, entrano allora apertamente nel villaggio degli assassini. Non colpiscono alcun bambino, ma uccidono qualunque uomo o donna che faccia resistenza. I colpevoli si limitano a sedere nella polvere e ad attendere la punizione. I vendicatori li pigliano a calci e pugni, li insultano e sputano su di loro. Di solito esigono un dono di sangue, un bambino che sostituisca quello ucciso. Non rapiscono i bambini e non li costringono ad accompagnarli. Il bambino deve offrirsi volontario o almeno accettare di allontanarsi con loro. Curiosamente, di solito accettano.

Inoltre, i bambini al di sotto dei quindici anni si rifugiano spesso in qualche villaggio vicino, che è come dire nemico. Laggiù sono sicuri di essere accertati in qualche casa. I fuggiaschi possono rimanere finché l’odio nei riguardi dei loro parenti si è spento, o anche in modo permanente.

Una volta chiesi a una bambina «rifugiata», dell’età di circa nove anni, perché avesse lasciato il suo villaggio e si fosse rifugiata ad Akagrak, lei mi rispose: «Ero in collera con mia madre».

Nelle città i bambini cadono spesso vittime, casualmente, delle risse che scoppiano in modo quasi ininterrotto nelle strade. Ci si può vendicare della loro morte, ma i vendicatori non godono dell’immunità, diversamente da quanto accade nei villaggi, perché nelle città il codice morale è decaduto o è scomparso del tutto. Le tre grandi città dei veksi sono così pericolose che è raro vedere in strada persone di più di trent’anni. Eppure sono continuamente ripopolate da gente che lascia i villaggi.

I figli dei veksi sono trattati piuttosto brutalmente dall’infanzia alla maggiore età. Non c’è dubbio sul fatto che i veksi amino appassionatamente i figli e che sentano forti responsabilità verso tutti i bambini: lo testimonia il fatto che i fuggiaschi sono sempre accolti nelle famiglie e sono trattati altrettanto bene (o male) quanto i bambini del villaggio.

I neonati ricevono attenzioni e cure ininterrotte da parte dei genitori e dei parenti. È un affetto feroce e impaziente, privo di tenerezze. Schiaffi, scrolloni, urla e minacce sono il pane quotidiano di questi piccoli. In ogni caso, con i bambini fino a quindici anni, gli adulti cercano di frenare il loro temperamento collerico.

Un genitore che percuota il bambino sarà percosso a sua volta da tutti gli altri adulti e un solitario che faccia male ai bambini sarà sbattuto fuori a calci dal villaggio.

I bambini si comportano in modo guardingo nei confronti di tutti gli adulti. Stare con i coetanei non costituisce un problema: gran parte del loro comportamento litigioso sembra essere imitativo. I neonati veksi sono silenziosi, attenti e stoici. Quando non sono presenti gli adulti, i bambini veksi lavorano e giocano tra loro in modo del tutto pacifico.

Questo comportamento cambia quando si avvicinano all’età del Guerriero, quindici anni. Allora, spinti dai cambiamenti fisiologici o dalle aspettative culturali, cominciano a litigare, a rispondere con ferocia a ogni offesa, si abbandonano a lunghi periodi di mutismo e isolamento che danno poi origine a esplosioni di collera e aggressività.

Quando si va a fare visita a una grossa omedra piena di gente incollerita, si ricava l’impressione che i veksi adulti non facciano altro che urlare, rimproverarsi tra loro, imprecare e litigare, ma la vera regola della loro vita consiste nell’evitarsi.

Gran parte degli adulti — anche in una famiglia, e ben di più i solitari — trascorre molto del proprio tempo a mantenere bellicosamente le distanze e l’indipendenza; è una delle ragioni per cui trovano tanto facile ignorare noi «fantasmi»: si ignorano tra loro in tutte le occasioni.

È poco consigliabile, per un veksi, portarsi a meno di qualche palmo di distanza da un altro veksi senza un espresso invito. E avvicinarsi alla casa di un solitario è pericoloso per tutti, parenti ed estranei. Se hanno bisogno di comunicare, si fermano a una distanza di sicurezza e lanciano alcune grida rituali di avvertimenti e di pacificazione. Anche in tal caso, però, il solitario può ignorare i nuovi venuti o uscire con espressione truce e con in mano una spada per cacciarli via.

Le donne solitarie sono famose per avere ancor meno pazienza degli uomini e per essere ancor più pericolose.

Nonostante la collera che nutrono l’uno verso l’altro, i veksi sono perfettamente in grado di lavorare insieme. Gran parte della loro agricoltura è in comune ed è condotta in modo assai efficiente; è praticata in base a costumi invariabili e altamente produttivi. Su qualche particolare della tradizione sorgono sempre feroci discussioni e litigi, ma il lavoro va avanti.

I tuberi e i cereali da loro coltivati sono ricchi di proteine e carboidrati; non mangiano carne, a parte vari generi di bruchi e le larve di insetti allevati sulle piante da loro coltivate, usate per insaporire e come condimento. Con uno dei loro cereali fanno una birra dalla gradazione molto alta.

A parte i genitori, quando fermano i figli e danno loro ordini (incontrando quasi sempre una forte resistenza, silenziosa o alquanto vocifera), nessuno rivendica la propria autorità su un altro. Non ci sono capi nei villaggi né padroni nei campi e nelle fabbriche delle città. Non ci sono gerarchie sociali.

Nessuno accumula ricchezze, dato che i veksi sono contrari al predominio economico come lo sono a quello sociale. Chi giunge a ottenere proprietà molto superiori a quelle del resto della comunità si affretta a dare via tutto o lo impiega per i bisogni della comunità: effettuare riparazioni, procurarsi attrezzi e armi.

Gli uomini spesso regalano armi alle persone che odiano, o per farle vergognare o per una sorta di sfida. Le donne, che hanno il comando della casa, dei giovani e gli infermi, hanno il diritto di costituire riserve di cibo per i brutti tempi; ma se una casa ha un raccolto eccezionale, lo condivide il più in fretta possibile, regalando i cereali e organizzando una grande festa per l’intero villaggio. In quel genere di feste si beve molta birra.

Mi aspettavo che l’alcol portasse i veksi a fare una carneficina, e la prima volta che mi capitò di osservare una festa di villaggio ero molto allarmata; ma la birra sembra alleggerire la collera dei veksi, che invece di litigare tra loro finiscono per tendere al sentimentale e passare la notte a parlare dei vecchi morti e dei vecchi litigi, a piangere insieme e a mostrarsi le cicatrici.

I veksi sono rigidamente monoteisti. Immaginano il loro Dio come una forza della distruzione, e contro di essa nessuna creatura resiste a lungo. Per loro, l’esistenza è una ribellione contro la legge. La vita è una breve sfida contro la morte inevitabile. Le stelle medesime sono mere faville |della fiamma che tutto annulla. Nei vari canti e nei vari riti dei veksi, i nomi di Dio sono: il Terminatore, il Grande Devastatore, lo Zoccolo Ineluttabile, il Vuoto che Attende, la Pietra che Spacca il Cervello.

Le immagini della divinità sono costituite da pietre nere, alcune naturali, altre lavorate e lucidate fino a diventare globi o dischi. Le funzioni del culto — privato o comunitario — consistono principalmente nell’accendere un fuoco davanti a una di quelle pietre e nel cantare o gridare parole e versi di qualche rito. Nello stesso tempo prendono furiosamente a calci, con gli zoccoli, tamburi di legno, con un rumore terribile. Non esiste un sacerdozio, ma gli adulti si assicurano che i giovani imparino le cerimonie.