Выбрать главу

«Non sopporto i cani parlanti. Il mio barbone gigante, Rover, non dice mai una parola, povero caro. E gli uomini! Non riusciremo mai a sbarazzarci del premier. È un Salubre, un maledetto PAGA. Ormai ha novant’anni e ne dimostra trenta e continuerà a dimostrarne trenta e a essere il primo ministro per altri quattro secoli. È un ipocrita che fa il santarellino, un prevaricatore avido, gretto, stupido e malvagio. Proprio il tipo adatto a mettere al modo figli, per cinquecento anni… e il Bando non lo riguarda.

«Con questo, non voglio dire che il Bando sia stato uno sbaglio. Occorreva fare qualcosa. La situazione era davvero terribile, cinquant’anni fa. Quando hanno scoperto che gli hacker genetici si erano infiltrati in tutti i laboratori, che metà dei tecnici erano fanatici bio-ingegneristi e che la Chiesa dei Figli di Dio aveva tutti quei laboratori, nell’emisfero orientale, e che metteva volutamente in circolazione tutte quelle mescolanze genetiche… naturalmente, gran parte dei loro prodotti non erano vitali. Ma molti lo erano… Quegli hacker erano davvero bravi. Gli uomini-pollo, ne ha mai visti?»

Non appena mi disse il nome, compresi di averli visti: persone piccole e tozze, che correvano in cerchio, in mezzo agli incroci, starnazzando per lo spavento. Per non investirle, si formavano enormi ingorghi.

«Se penso a loro, mi viene voglia di piangere», disse Ai Li A Le, con l’aria di chi ha voglia di piangere.

«Il Bando, allora, ha impedito ulteriori esperimenti?» domandai io.

Lei mi rivolse un cenno d’assenso.

«Sì. In realtà hanno fatto saltare per aria i laboratori. E mandato i bio-ingegneristi nel Gubi a rieducarsi. E messo in prigione i padri della Chiesa dei Figli di Dio. E buona parte delle Madri, mi pare. E fucilato i genetisti. E distrutto tutti gli esperimenti in corso. E i prodotti, se erano ‘troppo lontani dalla norma’.»

Si strinse nelle spalle. «La norma!» ripeté, aggrondata, anche se il suo viso solare non era fatto per aggrondarsi. «Non abbiamo più una. norma. Non abbiamo più specie. Siamo un semolino genetico. Quando piantiamo il mais cresce un trifoglio repellente per le erbacce che puzza di cloro. Quando piantiamo una quercia, cresce un cespuglio di quercia velenosa, ma è un cespuglio alto quindici metri, con un tronco di tre. E quando facciamo l’amore non sappiamo se nascerà un bambino, un puledro o un anatroccolo, o addirittura un albero. Mia figlia…» Qui si interruppe, dovette battere gli occhi e stringere le labbra prima di continuare.

«Mia figlia vive nel Mare del Nord. Mangia pesce crudo. È bellissima. Nera, col pelo che sembra seta, snella ed elegante. Ma l’ho dovuta portare sulla costa, quando ha compiuto due anni. L’ho dovuta mettere in quelle acque gelide, in mezzo a quelle enormi onde. E lasciarla nuotare via, lasciare che fosse quello che è. Ma anche lei è umana! Lo è, è umana!»

A questo punto piangeva, e piangevo anch’io.

Più tardi, Ai Li A Le continuò e mi spiegò come il Collasso del Genoma avesse portato a una profonda depressione economica, peggiorata dagli Articoli di Purezza del Bando, che limitavano gli impieghi statali e l’iscrizione, agli albi professionali a coloro che risultassero umani al 99,44 per cento, eccettuati naturalmente i Salubri, i Moralmente Corretti e gli altri PAGA (Prodotti d’Alterazione Genetica Approvati dal Governo di Emergenza). Per questo lei doveva lavorare come cameriera. Era mais per il 4 per cento.

«Una volta, il mais era la pianta sacra di molte popolazioni, nel luogo da cui provengo», le dissi, senza sapere bene che cosa stessi dicendo. «È una pianta bellissima. A me piace tutto quello che si fa con le sue pannocchie e la sua farina: polenta, focacce, pane di mais, tortillas, mais bollito, fiocchi col latte e con la zuppa, paste di meliga, grissini, tagliatelle di mais, whisky di mais, pannocchie arrostite e persino il pop corri, se non è troppo unto. Tutti cibi ottimi, tutti gustosi, tutti sacri. Spero che non le dia fastidio, se parlo di mangiare il mais!»

«Santo cielo, no!» mi rispose Ai Li A Le, sorridendo. «Di cosa crede sia fatto il cledif?»

Qualche minuto più tardi le chiesi degli orsacchiotti. Il termine non le era noto, naturalmente, ma quando le descrissi l’animale della mia libreria mi rivolse un cenno d’assenso.

«Ah, certo! Gli orsi dei libri. All’inizio, quando i progettisti genetici si riproponevano di migliorare tutto, deve sapere, hanno ridotto le dimensioni degli orsi, per farne animali da compagnia per i bambini. Come se fossero giocattoli, bambolotti impagliati, con la differenza che erano vivi. Programmati per essere passivi e affettuosi. Ma alcuni dei geni usati per la riduzione venivano da insetti: forbicine e quegli altri con la coda lunga, che vivono in mezzo alle foglie cadute, i collemboli. Così, gli orsi hanno cominciato a mangiare i libri dei bambini. La notte, mentre si supponeva che dormissero con i bambini, raggomitolati sotto le coperte, si alzavano e andavano a mangiargli i libri. Amano la carta e la colla. E quando li hanno fatti accoppiare, la nuova generazione aveva una coda lunga, che sembrava fil di ferro, e un muso un po’ da insetto, e non era più adatta ai bambini. Ma ormai erano già scappati nei muri, nelle intercapedini tra una parete e l’altra. Qualcuno li chiama orsi di biblioteca.»

Torno spesso a Islac, a trovare Ai Li A Le. Non è un piano particolarmente felice, e neppure rassicurante, ma sarei disposta ad andare in luoghi ancora peggiori, per vedere un sorriso così aperto, una cascata di capelli così dorati e per bere la mia tazza di mais in compagnia della donna di granturco.

IL SILENZIO DEGLI ASONU

Il silenzio degli asonu è proverbiale. I primi visitatori del loro piano ritennero che quelle persone gracili e graziose fossero mute, prive di qualunque linguaggio che non fosse quello dei gesti, dell’espressione e dello sguardo. Più tardi, sentendo chiacchierare i bambini asonu, i visitatori pensarono che gli adulti parlassero tra loro e che mantenessero il silenzio soltanto con gli estranei. Oggi sappiamo che gli asonu non sono muti, ma che una volta superati i primi anni di vita non parlano quasi mai con nessuno. Non scrivono e, diversamente dai muti o dai monaci che hanno fatto il voto del silenzio, non usano gesti o altro al posto della voce.

La loro astinenza pressoché assoluta dalla parola li rende affascinanti.

Le persone che vivono con gli animali apprezzano il fascino del silenzio. Può costituire un vero piacere la certezza che quando il gatto entra nella stanza non parlerà dei vostri difetti, o poter rivolgere le vostre lamentele al cane di casa con la sicurezza che non andrà a ripeterle alle persone che ne sono all’origine.

Coloro che non possono parlare, e coloro che possono parlare ma non lo fanno, godono di un grande vantaggio rispetto agli altri di noi, ossia non rischiano mai di dire qualche stupidaggine. Forse è questo a farci pensare che se parlassero avrebbero da comunicare qualcosa di saggio.

Di conseguenza ha finito per svilupparsi un notevole traffico turistico in direzione degli asonu. E poiché hanno una grande tradizione di ospitalità, gli asonu accolgono i visitatori con generosità e cortesia, ma senza modificare i loro costumi.

Alcuni turisti si recano laggiù semplicemente per unirsi al silenzio degli abitanti del luogo, lieti di passare alcune settimane dove non c’è bisogno di adornare e oscurare con lo strumento della verbosità ogni incontro umano. Molti visitatori di quel genere, dopo essere stati accettati in una casa come ospiti paganti, vi ritornano anno dopo anno, instaurando legami di «tacito» affetto con i loro silenziosi padroni di casa.