«Crede davvero che si possa stringere un patto con il diavolo?»
«Eh? Oh no. No, sono sciocchezze. Stupidaggini. Ma c’è gente che ci crede. E sono in tanti. Li trovo interessanti. La loro psicologia mi affascina. Ho letto molti libri sull’occulto per cercare di capire che tipo di persona può credere a queste cose. Vede, vorrei capire come ragionano.»
«Stava parlando dei marchi che il demonio lascia sulle persone.»
«Sì. Ho letto qualcosa proprio recentemente. Niente di importante.»
«Mi racconti.»
«Be’, vede, pare che nell’inferno ci siano centinaia e centinaia di demoni. Forse addirittura migliaia. E ognuno di loro possiede un proprio marchio che contraddistingue le anime delle persone che gli appartengono. Per esempio, nel Medio Evo erano convinti che una voglia di fragola fosse un segno del demonio. Oppure gli occhi strabici. O un terzo seno. C’è gente che nasce con tre seni e non è neppure tanto raro. Secondo alcuni, anche quello è un segno del demonio. O il numero 666, che apparterrebbe al capo di tutti i demoni: Satana. I suoi seguaci hanno il numero 666 stampato sulla pelle, sotto i capelli, dove non può essere visto. Cioè, questo è quanto sostengono i Veri Credenti. E poi i gemelli… anche in questo caso c’è lo zampino del diavolo.»
«I gemelli sono opera del diavolo?»
«Vorrei si rendesse conto che non credo a nulla del genere. Davvero. Sono stronzate. Le sto solo riferendo quello che affermano alcuni pazzoidi.»
«Capisco.»
«Se la sto annoiando…»
«No. Anch’io lo trovo molto interessante.»
Rudge spense il registratore. «Una cosa prima di continuare. Lo incoraggiavo a parlare dell’occulto perché pensavo fosse solo un esercizio mentale utile per fargli affrontare più serenamente il suo problema. Mi spiace dover ammettere che gli credevo quando affermava che, secondo lui, erano tutte sciocchezze. »
«Invece quella questione gli stava molto a cuore,» disse Hilary.
«Così pare. Ma allora pensavo che si stesse solo preparando per affrontare il suo vero problema. Se fosse riuscito a spiegare l’apparentemente illogico processo mentale di determinate persone, come gli occultisti più sfegatati, forse sarebbe stato anche in grado di accettare il lato irrazionale presente in lui. Se avesse giustificato l’occulto, a maggior ragione avrebbe accettato quel sogno che non riusciva a ricordare. E quello che io pensavo stesse facendo. Ma mi sbagliavo. Maledizione! Se solo fosse venuto qui un po’ più spesso.»
Rudge fece ripartire il registratore.
«Ha detto che i gemelli sono opera del diavolo.»
«Sì, ma ovviamente non tutti i gemelli. Solo alcuni.»
«Per esempio?»
«I gemelli siamesi. C’è gente che pensa sia un marchio del demonio.»
«Sì. Ho sentito parlare di questa superstizione.»
«E a volte due gemelli identici nascono entrambi con la testa coperta dalla membrana amniotica. E raro, può capitare a uno dei due, ma è molto difficile che entrambi nascano così. Quando accade, si può quasi essere sicuri che quei gemelli sono frutto del demonio. Almeno, così dice la gente.»
Rudge tolse la cassetta. «Non sono sicuro che questo abbia a che vedere con quello che è capitato a voi. Ma dal momento che pare esistere un sosia di Frye, ho pensato che la faccenda dei gemelli potesse essere interessante.»
Joshua lanciò un’occhiata a Tony e poi a Hilary. «Ma se Mary Gunther ha avuto due gemelli, perché Katherine ne ha portato a casa solo uno? Perché avrebbe dovuto mentire negando che i bambini erano due? Non ha senso.»
«Non lo so,» obiettò Tony, «vi ho già detto che secondo me questa teoria è troppo semplice.»
Hilary chiese: «È stato trovato il certificato di nascita di Bruno?»
«Non ancora,» rispose Joshua. «Nelle cassette di sicurezza non ce n’erano.»
Rudge afferrò l’ultima delle quattro cassette tenute da parte. «Questa si riferisce all’ultima seduta con Frye, tre settimane fa. Alla fine accettò di farsi ipnotizzare per cercare di ricordare quel sogno. Ma era strano. Mi fece promettere di limitare al minimo le domande. Avrei potuto rivolgergli solo domande relative al sogno. Nel pezzo che state per ascoltare, Bruno era già in trance. L’ho fatto ritornare indietro nel tempo, fermandomi alla notte precedente la seduta. Volevo che rivivesse nuovamente quel sogno.»
«Che cosa vede, Bruno?»
«Mia madre. E ci sono anch’io.»
«Continui.»
«Mi sta trascinando.»
«Dove siete?»
«Non lo so. Ma sono piccolo.»
«Piccolo?»
«Un ragazzino.»
«E sua madre la sta costringendo ad andare da qualche parte?»
«Sì. Mi tira per un braccio.»
«Dove la trascina?»
«Verso… la… la porta. La porta. Non fargliela aprire. No. No!»
«Si calmi. Adesso si calmi. Mi racconti di questa porta. Dove conduce?»
«All’inferno.»
«Come fa a saperlo?»
«È per terra.»
«La porta è per terra?»
«Per l’amor del cielo, non fargliela aprire! Non lasciare che mi mandi di nuovo laggiù! No! No! Non voglio finire di nuovo laggiù!»
«Si rilassi. Si calmi. Non deve avere paura. Si rilassi, Bruno, si rilassi. Si è calmato?»
«Sì.»
«Va bene. Lentamente, con calma e senza paura, mi racconti che cosa succede poi. Lei e sua madre siete davanti a una porta per terra. Che cosa succede poi?»
«Lei… lei… apre la porta.»
«Vada avanti.»
«Mi spinge.»
«Continui.»
«Mi spinge… oltre la porta. »
«Vada avanti, Bruno.»
«La chiude… a chiave.»
«La chiude dentro?»
«Sì.»
«E com’è lì dentro?»
«Buio.»
«E poi?»
«Solo buio. Nero.»
«Ma riesce a vedere qualcosa?»
«No. Niente.»
«E poi che cosa succede?»
«Cerco di uscire.»
«E?»
«La porta è troppo pesante, troppo robusta.»
«Bruno, è davvero solo un sogno?»
«…»
«È davvero solo un sogno, Bruno?»
«E quello che sogno.»
«Ma è anche un ricordo?»
«…»
«Sua madre la chiudeva davvero in una stanza buia quando era piccolo?»
«S-sì.»
«In cantina?»
«Nella terra. In quella stanza nella terra.»