La mente di Hilary aveva preso a viaggiare più velocemente dell’aereo di Joshua. La sua eccitazione cresceva di pari passo con le considerazioni di Tony. «E allora Katherine si è portata a casa i due gemelli, senza però smettere di tenere in piedi la storia di Mary Gunther. Ma certo! Per prima cosa, doveva pensare alla propria reputazione, ma c’era anche un’altra ragione, molto più importante del semplice buon nome. Le psicosi hanno le proprie radici nell’inconscio, ma, da quel che ne so, le fantasie che uno psicotico usa per controbilanciare il tumulto interiore sono un prodotto della coscienza. Quindi… mentre Katherine credeva, a livello conscio, al demonio, nel più profondo di se stessa sapeva che se fosse tornata a St. Helena con i due gemelli, facendo crollare la storia di Mary Gunther, la gente avrebbe iniziato a sospettare che erano figli di Leo. E se avesse dovuto sopportare quell’affronto non sarebbe più stata capace di sostenere la fantasia del diavolo che la sua coscienza aveva fabbricato. Sarebbe ripiombata quindi nelle vecchie e tristi fantasie di un tempo. Ecco che allora, per conservare nella sua mente la teoria del diavolo, si è presentata in pubblico con un unico figlio. Ha dato lo stesso nome ai due bambini. Ne faceva uscire solo uno per volta. Li ha costretti a condurre un’unica esistenza in due.»
«E i due ragazzini hanno finito per considerarsi un’unica persona,» concluse Tony.
«Aspettate, aspettate,» li interruppe Joshua. «Forse sono stati veramente capaci di vivere sotto un unico nome, sotto un’unica identità in pubblico. Anche se questo per me è decisamente troppo, cercherò di crederci. Ma sono sicuro che in privato sono stati individui ben distinti.»
«Forse no,» azzardò Tony. «Abbiamo una prova in base alla quale si può ipotizzare che si considerassero… un’unica persona, divisa in due corpi.»
«Una prova? Quale?» domandò Joshua.
«La lettera che ha trovato nella cassetta di sicurezza della banca di San Francisco. In quella lettera, Bruno aveva scritto di essere stato ammazzato a Los Angeles. Non ha detto che era stato ucciso suo fratello. Ha detto che lui era morto.»
«Non è possibile provare niente con quella lettera,» ribattè Joshua. «Era soltanto uno sproloquio, non aveva alcun senso.»
«A modo suo, invece, aveva un senso,» insistè Tony. «Dal punto di vista di Bruno ha molto senso se non pensa a suo fratello come a un essere ben distinto. Se considera il suo gemello come parte integrante di se stesso, come un’estensione del suo corpo e non come una persona umana diversa da sé, la lettera ha una sua logica.»
Joshua scosse la testa. «Ancora non riesco a capire come sia possibile far credere a due persone di essere una sola.»
«In genere si sente parlare di casi di personalità scissa,» spiegò Tony. «Il dottor Jekyll e Mr Hyde. La storia realmente accaduta e raccontata nel libro I tre volti di Eva. Per non parlare di un altro libro dello stesso genere: Sybil. E stato un best seller qualche anno fa. La protagonista aveva addirittura sedici personalità ben distinte. Dunque, se ho fatto centro con la mia teoria sui gemelli Frye, il loro caso è esattamente opposto allo sdoppiamento di personalità. Non si sono scissi in sei, sette, otto menti diverse, ma, al contrario, si sono fusi psicologicamente in un’unica persona, e questo a causa della tremenda pressione esercitata dalla madre. Con tutta probabilità non è mai successo niente del genere e forse non succederà mai più, ma questo non esclude che possa essere andata così.»
«Per loro potrebbe essere stato di vitale importanza il fatto di sviluppare personalità assolutamente identiche, per potersi intercambiare nel mondo esterno,» aggiunse Hilary. «Anche la minima differenza poteva significare il crollo totale della loro messinscena.»
«Ma come?» chiese Joshua. «Che cosa ha fatto Katherine ai suoi figli? Come può esserci riuscita?»
«Probabilmente non lo sapremo mai con esattezza,» rispose Hilary. «Ma avrei un paio di idee.»
«Anch’io,» rincarò Tony. «Ma inizia prima tu.»
Nel pomeriggio inoltrato, la luce che filtrava dalle finestre dell’attico cominciò ad affievolirsi, modificando anche le proprie caratteristiche e riducendo sensibilmente l’ampiezza del suo fascio. Dagli angoli della stanza cominciarono ad allungarsi le ombre.
Mentre l’oscurità si insinuava strisciando, Bruno cominciò a temere di essere catturato dalle tenebre. Non poteva accendere la luce, semplicemente perché le lampade della casa non funzionavano. L’elettricità era stata staccata cinque anni prima, quando sua madre era morta per la prima volta. Nemmeno la torcia poteva essergli di aiuto in quanto le batterie erano ormai scariche.
Fissando il lavandino immerso nei giochi di ombre rosso-grigiastre, Bruno cercò di lottare contro il panico. In giro non aveva paura di restare al buio, perché comunque riusciva sempre a trovare un raggio di luce proveniente da qualche casa, dai lampioni stradali, dai fari delle auto, dalle stelle o dalla luna. Ma in una stanza priva di illumuiazione, i sussurri e le creature striscianti sarebbero ritornati e lui doveva assolutamente evitare quella doppia tortura.
Candele.
Sua madre teneva sempre un paio di scatole di candele nella dispensa della cucina. Le utilizzava in caso di black-out. Quasi certamente nella dispensa avrebbe trovato anche dei fiammiferi, in una scatola di latta con il coperchio a pressione. Non aveva toccato niente quando se n’era andato; si era limitato a portare via alcuni oggetti personali e artistici che aveva comperato per la sua collezione.
Si sporse in avanti per guardare la faccia dell’altro Bruno e poi disse: «Vado un attimo da basso.»
Gli occhi opachi e insanguinati continuarono a fissarlo.
«Non starò via molto,» lo rassicurò Bruno.
L’altro Bruno non rispose.
«Vado a procurarmi qualche candela per non restare completamente al buio,» spiegò Bruno. «Resterò tranquillo qui da solo, mentre io vado via per qualche minuto?»
L’altro Bruno rimase in silenzio.
Bruno si diresse nell’angolo della stanza verso le scale che lo avrebbero condotto nella camera da letto del primo piano. I gradini erano sufficientemente illuminati dalla luce proveniente dall’attico. Ma quando Bruno aprì la porta al piano di sotto, rimase sconvolto dal buio che regnava nella camera.
Le persiane.
Quando si era svegliato quella mattina, aveva aperto le persiane dell’attico, ma nel resto della casa le finestre erano tutte sigillate. Non aveva osato aprirle. Era improbabile che le spie di Hilary-Katherine notassero un paio di persiane aperte in mansarda, ma sarebbero sicuramente accorse se avesse spalancato le finestre di tutta la casa. Sembrava di essere in un sepolcro, sprofondato nella notte eterna.
Si fermò ai piedi delle scale e sbirciò nella camera buia, terrorizzato all’idea di avanzare e di sentire i sussurri.
Nessun rumore.
Nessun movimento.
Prese in considerazione l’idea di tornare nell’attico. Ma così non avrebbe risolto il suo problema. Nel giro di qualche ora sarebbe calata la sera e lui sarebbe rimasto nuovamente senza una luce in grado di proteggerlo. Doveva procedere verso la dispensa e trovare quelle candele.
Suo malgrado, avanzò nella camera del primo piano, lasciando aperta la porta delle scale da cui filtrava la pallida luce dell’attico. Due passi. Poi si fermò.
In attesa.
In ascolto.
Nessun sussurro.
Tolse la mano dalla maniglia e attraversò la camera di corsa, cercando di evitare i mobili.
Nessun sussurro.
Raggiunse un’altra porta e uscì nel corridoio del primo piano.
Nessun sussurro.
Per un breve istante, immerso nell’oscurità vellutata, non ricordò se le scale per scendere al pianterreno erano a destra o a sinistra. Poi tornò a orientarsi e svoltò a destra con le braccia allungate in avanti e le mani spalancate, in un atteggiamento simile a quello dei ciechi.