L’amministratrice di quella palazzina, per esempio, sembrava non capire che cosa l’avesse condotta in quel posto. Si chiamava Lana Haverby. Era una donna sulla quarantina, con i capelli biondi, la pelle abbronzata e indossava un paio di short e un top. Era molto sicura della propria sensualità. Camminava, si fermava e si sedeva come se fosse costantemente in posa. Le gambe non erano male, ma tutto il resto era ben lungi dall’essere attraente. Sembrava non rendersi conto di quanto fosse grossa: i fianchi e il sedere erano decisamente troppo abbondanti per quegli abiti succinti. Il seno era così prosperoso da risultare grottesco più che attraente. La maglietta aderente metteva in risalto quelle due montagne e sottolineava i grandi capezzoli turgidi, ma sicuramente non dava al seno la forma e il sostegno di cui avrebbe avuto bisogno. Quando non cambiava posizione, quando non cercava di valutare l’effetto che il suo corpo esercitava su Frank e Tony, sembrava confusa, distratta. Lo sguardo vagava da un punto all’altro. Aveva la tendenza a non finire le frasi. E continuava a guardarsi attorno nel salotto buio per osservare quei mobili malandati con espressione meravigliata, come se non avesse idea di come fosse capitata in quel luogo e da quanto tempo ci abitasse. Alzava la testa come se si aspettasse una spiegazione da voci misteriose.
Lana Haverby si sedette su una sedia e i due poliziotti sul divano. La donna osservò la foto di Bobby Valdez.
«Sì,» disse. «Era un tesoro.»
«Abita qui?» domandò Frank.
«Abitava… sì. Appartamento nove… se non sbaglio. Ma non ci sta più.»
«Se n’è andato?»
«Già.»
«Quando?»
«Quest’estate. Mi sembra che fosse…»
«Quando?» incalzò Tony.
«Il primo di agosto,» affermò Lana.
Accavallò le gambe nude, raddrizzò le spalle per spingere in fuori il seno il più possibile.
«Per quanto tempo è rimasto qui?» chiese Frank.
«Mi sembra tre mesi.»
«Viveva solo?»
«Vuole sapere se aveva la ragazza?»
«Una ragazza, un ragazzo, chiunque,» sbottò Frank.
«Era solo,» rispose Lana. «Ed era un tesoro, sapete?»
«Ha lasciato l’indirizzo?»
«No. Ma vorrei lo avesse fatto.»
«Perché? Se l’è svignata senza pagare l’affitto?»
«No. Niente del genere. È solo che mi piacerebbe sapere dove…»
Abbassò la testa, ascoltando di nuovo quei sussurri.
«Dove che cosa?» chiese Tony.
La donna sbattè le palpebre. «Oh… vorrei proprio sapere dove abita per andare a trovarlo. Insomma, quel tipo mi prendeva. Mi eccitava. Mi faceva ribollire il sangue. Ho cercato di portarmelo a letto ma, vedete, era, be’, un po’ timido.»
Non aveva chiesto perché stavano cercando Bobby Valdez, alias Juan Mazquezza. Tony si domandò che cosa avrebbe detto se avesse saputo che il suo tesoruccio timido era in realtà uno stupratore violento e aggressivo.
«Riceveva qualche visita regolare?»
«Juan? No, che io sappia.»
Rimase seduta con le gambe aperte e osservò la reazione di Tony.
«Le ha detto dove lavorava?» proseguì Frank.
«Quando è arrivato, lavorava in una lavanderia. Poi deve aver cambiato posto.»
«Le ha spiegato dove?»
«No. Comunque stava facendo i soldi.»
«Aveva una macchina?» chiese Frank.
«All’inizio no. Ma poi si è preso una Jaguar. Era bellissima.»
«E molto costosa,» aggiunse Frank.
«Sì. L’ha pagata un bel mucchio di dollari e tutta in bigliettoni.»
«E dove ha preso tutti quei soldi?»
«Ve l’ho già detto. Guadagnava molto bene con il suo nuovo lavoro.»
«E proprio sicura di non sapere che cosa facesse?»
«Assolutamente. Non ne ha mai parlato. Ma sapete una cosa? Appena ho visto la Jaguar ho capito… che non si sarebbe fermato qui a lungo,» spiegò. «Sapevo che se ne sarebbe andato di lì a poco.»
Le rivolsero qualche altra domanda, ma Lana Haverby non aveva nulla di interessante da raccontare. Non aveva un grande spirito di osservazione e il ritratto che forniva di Juan Mazquezza era pieno di buchi, come se le tarme le avessero rosicchiato parte dei ricordi.
Quando Tony e Frank si alzarono per andarsene, lei corse alla porta. I seni gelatinosi sobbalzarono e si agitarono in quello che la donna considerava evidentemente un atteggiamento provocante. Camminò sculettando in punta di piedi, secondo un copione che risultava grottesco per chiunque avesse più di vent’anni: quella donna ne aveva almeno quaranta ed era incapace di scoprire e accettare la bellezza tipica della sua età. Cercava di farsi passare per una ragazzina ed era decisamente patetica. Si appoggiò alla porta aperta, con una gamba leggermente piegata come aveva visto fare dalle modelle delle riviste per soli uomini o forse su un calendario di dolciumi: era ovvio che si aspettasse un complimento.
Frank si girò di lato per uscire, evitando per un pelo di sfiorarle il seno. Raggiunse velocemente la macchina senza voltarsi.
Tony sorrise e disse: «Grazie per la collaborazione, signorina.»
Lei alzò lo sguardo e lo fissò come non aveva fatto con nient’altro nell’ultimo quarto d’ora. Negli occhi le apparve un lampo di vitalità, un misto di intelligenza, orgoglio e forse una punta di rispetto per se stessa: qualcosa di decisamente migliore di quanto avesse lasciato intendere fino a quel momento. «Vede, presto anch’io me ne andrò di qua, proprio come ha fatto Juan. Non ho sempre abitato a Las Palmeras. Sono stata anche in ambienti ricchi.»
Tony non aveva voglia di ascoltare quello che aveva da dirgli, ma si sentì intrappolato e ipnotizzato, come l’uomo bloccato per la strada dal Vecchio Marinaio.
«Come quando avevo ventitré anni,» spiegò, «lavoravo come cameriera ma mi sono presto stancata. Vede, è stato quando i Beatles hanno iniziato, circa diciassette anni fa, e poi è esploso tutto quell’affare della musica rock. Capisce? A quei tempi una bella ragazza poteva conoscere i pezzi grossi, fare delle conoscenze interessanti e andarsene in giro con i complessi, viaggiando per tutto il paese. Oh, caspita, amico, quelli sì che erano bei tempi! Sembrava che fosse possibile avere o fare tutto. E quei gruppi avevano davvero tutto e lo distribuivano in giro. Io ero una di loro. Davvero. Sa, sono andata a letto con personaggi molto famosi. Gente molto quotata. E anch’io ero famosa. Tutti mi apprezzavano.»