Выбрать главу

«Quale bontà da parte sua» ribatté Tyrion, acido. «Devo quindi intendere che hai perso l’appetito per l’oro?»

«Poco probabile.»

«Bene» disse Tyrion. «Perché, guarda caso, ho ancora bisogno di te. Che cosa sai di ser Mandon Moore?»

Bronn rise. «So che è annegato come uno stronzo troppo pesante.»

«Ho un grande credito nei suoi confronti, ma come riscuoterlo?» Tyrion si tastò la cicatrice in faccia. «Di quell’uomo so ben poco, lo ammetto.»

«Aveva occhi da pesce e portava un mantello bianco Che altro ti serve di sapere?»

«Tutto» rispose Tyrion. «Per cominciare.»

Quello che voleva, erano le prove che ser Mandon era stato un uomo di Cersei, ma questo non osò dirlo ad alta voce. Nella Fortezza Rossa, era sempre meglio tenere la lingua a freno. I muri erano pieni di ratti. E da tutte le parti, c’erano uccelletti che parlavano troppo, e ragni tessitori in agguato.

«Dammi una mano.» Il Folletto arrancò sollevando lenzuola e coperte. «È tempo che io faccia visita a mio padre, e soprattutto è tempo che io mi faccia nuovamente vedere.»

«Proprio un bello spettacolo» lo derise Bronn.

«Che mai sarà mezzo naso, in una faccia come la mia? E parlando di begli spettacoli, Margaery Tyrell è già arrivata ad Approdo del Re?»

«No. Ma è sulla strada, e per lei la città impazzisce d’amore. I Tyrell hanno fatto arrivare viveri da Alto Giardino e li stanno distribuendo in suo nome. Centinaia di razioni ogni giorno. E ci sono migliaia di uomini dei Tyrell che se ne vanno in giro con piccole rose d’oro cucite sulle giubbe, ammassandosi nelle taverne a bere gratis il vino degli osti. Mogli, vedove o puttane, tutte le donne di Approdo del Re danno via la loro virtù per questi ragazzi di pesca con la rosellina sulla tetta.»

“Su di me sputano, ma ai Tyrell offrono vino.” Tyrion scivolò dal letto fino a terra. Le gambe gli cedettero e la stanza si mise a girare. Fu costretto ad aggrapparsi al braccio di Bronn per non stramazzare bocconi sul letto.

«Pod!» gridò. «Podrick Payne! Per i sette inferi, dove ti sei cacciato?» Il dolore lo dilaniava come un cane sdentato. Tyrion odiava la debolezza, specialmente le propria. Lo riempiva di vergogna, e la vergogna lo riempiva di rabbia. «Pod! Vieni qua…!»

Il ragazzo arrivò di corsa. Nel vedere Tyrion appeso al braccio di Bronn sbarrò gli occhi. «Mio signore, tu sei in piedi. È che… Hai… Vuoi del vino? Vino dei sogni? Chiamo il maestro? Lui ha detto di restare. A letto, intendo.»

«Sono restato a letto fin troppo. Portami dei vestiti puliti.»

«Vestiti?»

Tyrion non sarebbe mai riuscito a capire com’era possibile che quel ragazzo, in battaglia fosse tanto lucido, tanto pieno di risorse, e confuso in tutte le altre circostanze.

«Abiti» ripeté. «Tunica, farsetto, brache, calzari. Per me. In modo che possa indossarli. In modo che possa andarmene da questa cella maledetta.»

Ci si misero tutti e tre a vestirlo. La sua faccia era una cosa oscena, ma la più grave delle ferite rimaneva quella tra la spalla e il braccio, dove una freccia aveva fatto sprofondare la maglia di ferro direttamente nell’ascella. Ogni volta che maestro Frenken cambiava la medicazione, pus e sangue colavano dalla carne grigia. E a ogni movimento il Folletto soffriva come se una lama lo trafiggesse di nuovo.

Alla fine, Tyrion fu costretto ad accontentarsi di un paio di brache e di un’ampia vestaglia da camera drappeggiata sulle spalle. Bronn gli infilò gli stivali a forza mentre Pod andava alla ricerca di un bastone al quale lui potesse appoggiarsi. Per darsi forza, Tyrion bevve una coppa di vino dei sogni. Il vino era stato addolcito con il miele, e conteneva papavero quanto bastava per rendere tollerabile il dolore delle ferite, almeno per un po’.

Ma pur con tutto questo, quando venne il momento di togliere il chiavistello, Tyrion si sentì assalire dalle vertigini e nel discendere i contorti scalini di pietra le gambe continuavano a cedergli. Avanzò tenendo il bastone in una mano e appoggiandosi con l’altra alla spalla di Pod.

Mentre andavano giù, incrociarono una servetta che saliva. La ragazza li fissò con occhi sbarrati, dilatati, quasi avesse di fronte un gruppo di fantasmi. “Il nano è tornato dal regno dei morti” pensò Tyrion. “E, guarda, è addirittura più brutto di prima. Corri, va’ a dirlo ai tuoi amici.”

Il Fortino di Maegor era il fulcro più poderoso della Fortezza Rossa, un castello all’interno del castello, circondato da un profondo fossato secco, disseminato di rostri di ferro. Nel raggiungere il portale di accesso, videro che il ponte levatoio era stato sollevato per la notte. Ser Meryn Trant, armatura smaltata e mantello bianco, montava la guardia.

«Fa’ abbassare il ponte» gli comandò Tyrion.

«Gli ordini della regina sono di tenerlo sollevato durante la notte.» Ser Meryn era sempre stato una creatura di Cersei.

«La regina sta dormendo, e io ho questioni da risolvere con mio padre.»

C’era sempre qualcosa di magico nel nome di lord Tywin Lannister. Con un grugnito, ser Meryn Trant diede l’ordine e il ponte levatoio venne calato. Un secondo cavaliere della Guardia reale era di sentinella sul lato opposto del fossato secco. Ser Osmund Kettleblack sorrise nel vedere Tyrion che avanzava barcollando verso di lui.

«Ti senti più in forze, mio lord?»

«Molto più in forze. Dov’è la prossima battaglia? Non vedo l’ora che cominci.»

Raggiunsero la scala curva che conduceva ai cortili superiori del castello. Tyrion guardò i gradini con angoscia. “Non ce la farò mai a salirli da solo” ammise con se stesso. Ingoiando a forza la propria dignità, fu costretto a chiedere a Bronn di portarlo su, nella futile speranza che a quell’ora non ci fosse nessuno a vederli e a ridere sotto i baffi, nessuno che potesse raccontare la storiella del nano caricato a braccia come un infante.

Il cortile esterno era pieno di tende e di padiglioni, ve n’erano a dozzine.

«Uomini dei Tyrell» spiegò Podrick Payne mentre si destreggiavano in mezzo a quel labirinto di tela e seta. «E anche di lord Rowan, e di lord Redwyne. Non c’era abbastanza spazio per tutti loro. All’interno del castello, intendo. Alcuni hanno preso delle stanze. Stanze in città. Nelle locande e in tutti gli altri posti. Sono venuti qui per le nozze. Quelle del re, di re Joffrey. Ti sarai rimesso sufficientemente in forze per esserci, mio signore?»

«Né corvi né donnole potrebbero tenermi lontano.»

Rispetto alle battaglie, i matrimoni avevano almeno un indubbio vantaggio: era meno probabile che qualcuno si presentasse a mozzarti il naso.

Deboli luci brillavano dietro le imposte chiuse della Torre del Primo Cavaliere. I due uomini di sentinella alla porta indossavano i mantelli porpora e gli elmi a cresta di leone della Guardia personale di lord Tywin. Tyrion li conosceva entrambi, e loro gli consentirono di entrare all’istante… Anche se né l’uno né l’altro riuscirono a guardarlo in faccia troppo a lungo. E a Tyrion questo non sfuggì.

All’interno della torre, incontrarono ser Addam Marbrand che scendeva la scala a chiocciola. Era addobbato con la corazza pettorale nera e il mantello di tessuto dorato degli ufficiali della Guardia cittadina.

«Mio lord» disse. «È splendido rivederti in piedi. Avevo sentito…»

«…Voci su una piccola fossa che già si stava scavando? Le avevo sentite anch’io. Considerate le circostanze, alzarsi mi è parsa la cosa migliore da fare. Mi si dice che sei stato nominato comandante della Guardia cittadina. Che cosa preferisci, le congratulazioni o le condoglianze?»

«Entrambe, temo.» Ser Addam sorrise. «La morte e la diserzione mi hanno lasciato con circa quattromilaquattrocento uomini. Solo gli dèi e Ditocorto sanno come faremo a pagare il soldo per così tanti armati, ma tua sorella mi ha proibito di congedarne anche soltanto no.»