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— Abbiamo un incidente al centro dispersione moduli…

L’occhio allenato dell’osservatore si concentrò su uno schermo in alto a destra. Mostrava l’interno della cella di un ascensore sotterraneo. I numeri che lampeggiavano sullo schermo mostravano che l’ascensore era diretto in su, dal livello commerciale al centro schedari del computer principale.

Trasferì l’immagine su uno dei quattro schermi centrali. Sì, uno dei due uomini all’interno della cella non aveva la scheda di riconoscimento!

— Ho qui una violazione — disse nel suo microfono. — Cella ascensore sotterraneo zero otto quattro otto, diretta a livello quattro. Maschio di razza bianca senza distintivo. Infrazione.

— Controllare.

— Vedere registrazioni polizia su individuo senza distintivo.

L’osservatore toccò la tastiera. Subito, su uno schermo laterale, apparve la foto di THX, e sopra la registrazione.

Ma l’osservatore non riusciva a distinguere bene le immagini di THX e SRT nella cella. Erano estremamente deformate, non poteva dire che l’uomo in ascensore fosse lo stesso indicato dal. computer. Il computer poteva anche aver sbagliato.

Stringendosi nelle spalle mormorò: — Non sono io che devo decidere. Se il computer dice che è il criminale THX uno uno tre otto, è colpa del Controllo se si tratta di un errore.

Toccò sulla tastiera il bottone speciale che lo collegava col Controllore.

— Criminale uno uno tre otto, prefisso THX, identificato e localizzato.

THX e SRT uscirono dall’ascensore al livello quattro. Il corridoio era praticamente vuoto. Tranquillo. L’illuminazione era fioca e riposante.

Sulla parete opposta all’entrata dell’ascensore c’era un segnale illuminato: «Schedari Centrali del. Computer». Dall’altoparlante una piacevole voce di donna disse: — L’accesso agli Schedari Centrali del Computer è riservato soltanto al personale autorizzato. Se non avete il distintivo verde cinque quattro zero uno, per favore recatevi nell’area registrazione visitatori in fondo al corridoio, e fate richiesta per l’entrata agli Schedari. Grazie. L’Accesso agli…

— Non possiamo entrare — disse THX, fermandosi.

SRT toccò il suo lucido distintivo verde. — Cosa vuol dire che non possiamo entrare? Dove credi che andiamo noi attori di oloshow per i lavori che ci assegnano e per gli indici di gradimento personali?

— Ma io però non posso entrare.

Con una gran strizzata d’occhio, SRT disse: — Abbi fiducia in me, amico.

Il nero si diresse verso il fondo del corridoio, dove c’erano due impressionanti porte di bronzo, solidamente chiuse. THX andò con lui, standogli a fianco.

— Perché fai questo per me? Perché hai fiducia in me? Io sono un prigioniero. Potrei essere un assassino…

SRT ghignò. — Io avevo fame e tu mi hai dato un po’ del tuo cibo.

— Ma il cibo era di SEN. È stato lui a dartelo.

— Sì, mia non aveva intenzione di darmelo. Me l’ha dato solo perché glielo hai detto tu. E poi lo so che non sei un assassino. Non ti avrebbero messo in prigione. Ti avrebbero distrutto, o messo a lavorare per lo Stato.

THX lo guardò fisso.

Arrivarono alle porte di metallo luccicante su cui erano impresse le parole «Schedari Centrali del Computer». Le lettere erano scolpite. Sopra le porte era inciso il motto del Centro Computer: «Pensa».

A sinistra di queste porte ce n’era una più piccola, di plastica, con la targa: «Registrazione visitatori».

SRT la aprì e guardò prudentemente dentro. THX, che sbirciava da dietro le spalle di SRT, riuscì a scorgere una piccola anticamera. In una parete c’era l’occhio di un’unica olocamera, con sotto la griglia dell’altoparlante. A fianco della lente brillava una piccolissima luce rossa, a indicare che l’olocamera era in funzione. Non c’era nessuno nell’anticamera, ma dall’altoparlante in alto si sentiva una specie di conferenza sull’econometrica:

— Oltre a questo c’è il fatto che le concezioni didattiche stabiliscono sempre conclusioni che permettono a quelli di opinione opposta di costruirsi una linea di resistenza. Considerate tutte queste cose, un giudice equanime concluderebbe…

THX escluse automaticamente la voce quasi ipnotica della donna dalla propria coscienza.

Sorpreso nel vedere che l’anticamera era vuota, disse a SRT: — Dove sono le persone?

Il nero ghignò. — Non c’è quasi mai nessuno da queste parti. Il computer fa tutto da solo. Ho la sensazione che non gli «piaccia» avere gente intorno che lo scoccia.

— Ma non è possibile lasciarlo completamente solo, vero?

— Tutto sommato credo di sì. Oh, ci sono osservatori che guardano tutto, ma il computer funziona da solo. Niente gente qui. Solo visitatori una volta ogni tanto, come noi.

— Gli osservatori…

SRT annuì e disse: — Adesso quando entriamo mantieni la calma, stai fermo e fa’ quello che ti dico io. Voglio farti passare in barba all’osservatore.

Aprì di più la porta ed entrò silenziosamente nell’anticamera. THX ‘lo seguì. SRT si portò l’indice alle labbra per indicare a THX di stare zitto e nello stesso tempo, prendendolo per il gomito con l’altra mano, gli indicò di stare incollato alla porta chiusa, in modo da essere fuori dal raggio d’osservazione dell’olocamera.

SRT si piazzò ben davanti all’olocamera.

— Sì? — disse la voce. — Cosa c’è?

SRT tenne il distintivo molto vicino alla lente e, affrettandosi a oltrepassare l’olocamera, disse: — SRT cinque cinque cinque cinque, permesso di visita due otto nove due.

La voce dell’osservatore non fece nessun commento. Soffocando una risata, SRT lanciò il distintivo a THX, stando attento che la traiettoria fosse al di fuori del raggio visivo dell’olocamera. THX ‘lo prese e lo tenne in modo che le dita coprissero parzialmente il nome che c’era scritto su, poi imitò quel che aveva fatto il nero.

— SDS cinque uno cinque tre, permesso due otto otto sei — disse, passando in gran fretta e così vicino alla lente da sfiorarla.

— Visto? — disse SRT riprendendo indietro il suo distintivo. — Ce l’abbiamo fatta senza nessuna fatica.

THX gli sorrise. Entrarono attraverso le porte di plastiglas nell’ufficio registrazione e poi nella sala principale degli schedari del computer.

— Dove hai imparato quel trucco? — chiese THX.

— Gli attori imparano un sacco di trucchi — disse SRT. — Qualcuno ha inventato quel trucco li per una storia poliziesca in cui recitavo io. Facevo la parte della vittima dell’omicidio.

Ora che si trovavano fra gli schedari, THX non sapeva praticamente cosa fare. Gli schedari erano enormi, file apparentemente interminabili di console di computer, banchi di memoria, con tavolini ogni venti console sui quali c’erano schermi di lettura e tastiere per fare richieste al computer.

«I nastri che riguardano LUH sono qui da qualche parte» si disse.

— Ora che siamo qui — disse SRT — ti spiacerebbe dirmi cosa stiamo cercando?

— Nastri. Lo schedario personale della mia… della mia compagna di stanza. Credo sia stata mandata in prigione anche lei. Vorrei scoprirlo.

SRT s’incamminò lungo uno degli stretti corridoi di passaggio fra i moduli del computer. Quelle pesanti masse elettroniche parevano estendersi per chilometri, ronzanti, con luci ammiccanti a intimi scherzi misteriosi: lunghissime file di memorie elettroniche e di elaborazione dati costantemente in funzione, senza sonni né emozioni, in mezzo al vibrare costante dei moduli delle console che si ergevano più alti di un uomo.

Da qualcuno dei moduli, delle voci: