Per il ricevimento della sera, Clissa si mise al collo un tesoro unico: una collana di perle oblunghe, vetrose e opache. Una trivella stellare delle Imprese Krug, a 7,5 anni luce dalla Terra, aveva raccolto quei pezzi di materia dalla superficie dell’Astro di Volker, calcinato e morente. Krug li aveva regalati alla nuora come dono nuziale. Quale altra donna portava una collana di pezzi di stella? Ma nell’ambiente frequentato da Clissa i miracoli erano all’ordine del giorno: nessuno dei loro amici parve notare la collana. Manuel e Clissa rimasero al ricevimento fin dopo la mezzanotte ora di Hong Kong e, quando tornarono a Mendocino, in California era già mattino inoltrato. Programmate otto ore di sonno, si chiusero in camera. Manuel aveva perso il conto del tempo, ma sospettava di essere rimasto sveglio per ventiquattr’ore filate, anche più. A volte la cultura del trasmat comincia a pesare un po’ troppo, si disse, e chiuse le tende alla luce del giorno.
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18 ottobre, 2218
La torre ha raggiunto quota 280 metri, e di ora in ora pare crescere un poco. Di giorno luccica, brillante, perfino alla pallida luce del sole artico: sembra una fulgida lama di lancia, infilata nella tundra da un titano. Di notte l’effetto è ancor più affascinante, perché riflette le migliaia di piastre luminose sospese a un chilometro d’altezza, alla cui luce lavora il turno di notte.
Ma la sua vera bellezza deve ancora venire. Quel che esiste ora è solo la base, che, necessariamente, deve essere larga e spessa. Il progetto di Justin Malinotti prevede una torre elegantemente rastremata, un sottile obelisco di cristallo che pungoli l’atmosfera, e il profilo della rastrematura inizia solo ora; d’ora in poi la struttura continuerà a restringersi fino a raggiungere una delicatezza sorprendente.
Anche se ha toccato solo un quinto dell’altezza definitiva, la torre di Krug è già la più alta struttura dei Tenitori Nordest: a nord del sessantesimo parallelo è superata solo dal grattacielo Chase-Krug di Fairbanks, alto 320 metri, e dall’Ago Kotzebue sullo Stretto di Bering. Tra un giorno o due si lascerà l’Ago alle spalle; supererà il Chase-Krug pochi giorni dopo. Verso la fine di novembre, raggiunti i 500 metri, la torre sarà il più alto edificio dell’intero sistema solare. E anche allora sarà solo a un terzo della strada verso la piena statura.
I manovali androidi lavorano regolarmente, senza fermate. Salvo lo spiacevole infortunio di settembre, non ci sono stati altri morti. La tecnica di fissare i grandi blocchi di cristallo alle benne e di issarli al vertice della torre è diventata per tutti una seconda natura. I blocchi salgono contemporaneamente sugli otto fronti, vengono fatti scivolare a posto, vengono saldati ai blocchi sottostanti, mentre già le benne ne innalzano la serie successiva.
La torre non è più un guscio vuoto. Il lavoro è cominciato anche nelle opere interne, destinate ad accogliere il complesso apparato di comunicazione a fascio tachionico che invierà messaggi più veloci della luce alla nebulosa planetaria NGC 7293. Il progetto di Justin Malinotti prevede paratie orizzontali ogni venti metri, salvo che in cinque punti dove la dimensione degli apparecchi richiede una distanza di sessanta metri tra i piani successivi. Sono già state parzialmente costruite le cinque solette più basse, e sono già in opera le strutture portanti per la sesta, la settima e l’ottava. Le solette sono costruite nello stesso limpido cristallo delle pareti esterne. Nulla deve macchiare la trasparenza della torre. Malinotti ha delle ragioni estetiche per insistere su questo particolare; i progettisti del comunicatore tachionico hanno delle ragioni scientifiche per condividere la preoccupazione dell’architetto, perché la luce deve poter passare liberamente.
Però osservando la torre incompleta da una certa distanza, a esempio da un chilometro, si viene colpiti da un senso di fragilità e di vulnerabilità. Si vedono i raggi scintillanti del sole mattutino danzare tra le pareti come tra le acque purissime di un basso laghetto; si riesce anche a discernere le minute, scure figurine degli androidi muoversi come formiche sulle divisioni interne (queste, però, risultano quasi invisibili); si prova l’impressione che una brusca ondata dalla Baia di Hudson potrebbe sfasciare la torre in un attimo. Solo quando ci si avvicina, quando si scopre come quei pavimenti invisibili siano più alti di un uomo, quando si nota quanto sia massiccia, in realtà, la superficie esterna della torre, quando la mente corre al peso inimmaginabile esercitato dal colosso sul terreno ghiacciato, solo allora si cessa di pensare al tremolio dei raggi solari e si comprende che Simeon Krug sta erigendo la più immane struttura mai costruita dall’uomo.
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Krug lo comprendeva, anche se quella considerazione non gli dava nessun particolare senso di trionfo. La torre era destinata a essere così grande non perché lo richiedesse il suo orgoglio, ma perché lo richiedevano le equazioni generatrici del fascio tachionico. Per spingersi al di là della barriera della luce occorreva potenza; per avere grandi potenze occorrevano grandi dimensioni.
— Vedete — disse Krug — non mi interessano i monumenti. Monumenti ne ho. Mi interessa il contatto.
Quel pomeriggio si era portato alla torre otto persone: Vargas, Spaulding, Manuel e cinque degli amici perdigiorno di Manuel. Gli amici di Manuel, pensando di fargli cosa grata, continuavano a ripetere che la torre, nelle ere future, sarebbe stata venerata per la sua grandiosità. Quel tipo di complimenti dava fastidio a Krug.
Nulla da eccepire quando Niccolò Vargas affermava che la torre era la prima cattedrale dell’Era galattica. Quelle parole avevano un significato simbolico; era un modo di dire che la torre era importante perché segnava l’inizio di una nuova fase nell’esistenza dell’uomo. Ma lodare la torre solo perché era grande? Che razza di complimento era? Chi se ne frega di una cosa grande? La gente piccina vuole tutto grande.
Ma gli riusciva difficile trovare le parole esatte per spiegare la torre.
— Manuel, diglielo tu — disse. — Spiegaglielo. La torre, sì, non è solo un grosso mucchio di vetro. Che sia grossa non ha importanza. Tu capisci i motivi. Tu hai le parole.
Manuel disse: — Il principale problema della costruzione consiste nell’inviare un messaggio che viaggi a velocità superiore a quella della luce. Siamo costretti a farlo perché il professor Vargas ha scoperto che la civiltà galattica con cui intendiamo comunicare è distante… quanto?… trecento anni luce; vale a dire che, se inviassimo un normale messaggio radio, esso li raggiungerebbe nel ventiseiesimo secolo, e non riceveremmo la risposta fino al 2850 o giù di lì: mio padre non può aspettare tutto quel tempo per sapere cosa vogliono dirci. Mio padre è impaziente.
Dunque, per avere qualcosa che viaggi più veloce della luce, dobbiamo ricorrere a certe particelle chiamate tachioni; sui tachioni posso dirvi poco: viaggiano molto svelti e ci vuole una spinta del diavolo per dargli la velocità giusta; per questo occorre costruire una torre di trasmissione che solo per inciso viene alta 1500 metri, perché…
Krug scoteva la testa con ira mentre il figlio continuava a recitare la lezione. Nella voce di Manuel c’era un tono di leggerezza, di canzonatura, che gli dava fastidio. Ma perché quel ragazzo non riusciva mai a prendere nulla sul serio? Perché non si lasciava affascinare dalla romantica meraviglia della torre, di tutto il progetto? Perché quella derisione nella voce? Perché non andava al cuore dell’impresa, al suo vero significato?
Quel significato, per Krug, era spaventosamente chiaro. Se solo fosse riuscito a portare le parole dal cervello alla bocca…
Perché sai, voleva dirgli, un miliardo d’anni fa non c’era l’uomo, di nessun tipo. C’era solo un pesce. Un affare viscido e scaglioso, con le branchie e gli occhietti rotondi. Viveva nell’oceano, e l’oceano era come una prigione, e l’aria, su in alto, era il tetto. Quel tetto non si passa, dicevano tutti, se lo passi muori. E c’era quel certo pesce: lo passò e morì. E quell’altro pesce: anche lui lo passò, e morì. Ma quell’altro pesce ancora, quando lo passò, gli bruciava il cervello, gli ardevano le branchie, e l’aria Io annegava, e il sole era una fiammata che gli incendiava gli occhi, e lui rimase sul fango ad aspettare la morte, e non morì. Strisciò indietro fino all’acqua, rientrò dentro e disse a tutti: Ehi, lassù c’è tutto un mondo nuovo diverso dal nostro! E ritornò su, e ci rimase un paio di giorni e poi morì. E gli altri pesci cominciarono a parlare di quel mondo nuovo diverso. E strisciarono su, raggiunsero il fango della riva. E ci rimasero. E impararono ad alzarsi sulle zampe, a vivere con negli occhi il barbaglio del sole. E diventarono lucertole, e dinosauri e tutto il resto, e andarono in lungo e in largo per milioni di anni, e si rizzarono sulle gambe di dietro, e usarono quelle davanti per prendere in mano le cose, e diventarono scimmie, e le scimmie si fecero più furbe e diventarono uomini. E sempre, per tutti quei milioni di anni, qualcuno di loro continuava a cercare nuovi mondi. Tu gli dici: Dai, torniamocene nell’oceano, riprendiamo a fare i pesci perché è più comodo. E può darsi che gli altri, metà degli altri o forse più, sarebbero disposti a farlo, ma trovi sempre qualcuno che ti rimbecca: Non dire fesserie. Non possiamo più tornare a fare i pesci: adesso siamo uomini. E indietro non si torna mai. Si continua ad arrampicarsi, a salire. Si scopre il fuoco, e l’ascia, e la ruota, e si fanno i carri e le case e i vestiti, e poi le barche, le automobili, i treni. E perché si arrampicano? Cosa cercano? Non lo sanno neppure loro. Alcuni di loro cercano Dio, e alcuni cercano il potere, e alcuni cercano e basta. Dicono: Devi continuare ad andare avanti, altrimenti muori. E allora li vedi che camminano sulla luna, e vanno sui pianeti, e sempre ci sono degli altri che dicono: Si stava bene nell’oceano, era così facile nell’oceano; cosa facciamo qui, perché non torniamo indietro? E allora qualcuno deve rimbeccarli: No, indietro non si va; si va solo avanti, perché è così che fanno gli uomini. E gli uomini si stabiliscono su Marte e Ganimede e Titano e Callisto e Plutone e tutto il resto, ma la cosa che cercano, qualunque cosa sia, non la trovano lì, e allora vogliono nuovi mondi, e vanno anche sulle stelle, almeno quelle più vicine; mandano le sonde, e sono sonde che gridano forte: Ehi, guardami, è stato l’uomo a farmi, è stato l’uomo a mandarmi! E nessuno risponde. E la gente, la gente che non sarebbe mai voluta uscire dall’oceano, dice: Va bene, va bene, adesso basta, fermiamoci qui; ormai non ha più senso cercare. Sappiamo cosa siamo. Siamo uomini, siamo grandi, siamo importanti, siamo tutto, ed è ora di finirla di spingerci avanti, perché non c’è nessun bisogno di spingere. Sediamoci a guardare il tramonto, e facciamoci servire il pranzo dagli androidi. E così ci sediamo, magari ci arrugginiamo anche un po’. E allora arriva una voce dal cielo, e dice: 2-4-1, 2-5-1, 3-1. Chissà chi è? Può darsi che sia Dio, che ci dice di salire a cercarLo. Può darsi che sia il diavolo, che ci dice che pidocchi che siamo. Chissà. Possiamo far finta di non avere sentito. Possiamo sederci al tramonto e farci una risata. Oppure possiamo rispondere. Possiamo dire: Ascolta, siamo noi, qui è l’uomo che parla, abbiamo fatto questo e questo, e adesso spiegaci chi sei tu e che cosa hai fatto. E io credo che sia nostro dovere rispondere. Quando sei in una prigione, devi cercare di uscire. Se vedi una porta, devi aprirla. Se senti una voce devi rispondere. Ecco com’è fatto l’uomo. Ed ecco perché io costruisco la torre. Dobbiamo rispondere. Dobbiamo dire che siamo qui. Dobbiamo cercare di raggiungerli, perché siamo rimasti soli per troppo tempo, e la solitudine ci ha messo in testa un mucchio d’idee sballate sul nostro posto, sul nostro scopo. Dobbiamo continuare a muoverci, uscire dall’oceano, arrampicarci sulla riva, e sempre più avanti, perché quando finiremo di muoverci, quando volteremo la schiena a qualcosa che ci sta davanti, sarà allora che cominceranno a spuntarci di nuovo le branchie. La capisci, adesso, la ragione della torre? Credi che sia perché Krug vuole alzare una cosa enorme per far vedere a tutti quant’è grande? Krug non è affatto grande: è solo ricco. L’Uomo è grande. L’Uomo costruisce questa torre. L’Uomo dirà ciao a NGC 7293!