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— Rachel — mormorò.

— rachel — rispose la creatura.

Si inginocchiò davanti a lui e si appoggiò sui calcagni. L'osservò con freschi occhi verdi e sorrise innocentemente. Gli occhi erano desti, carichi di stupore, di curiosità… e forse di qualcosa d'altro… ma a quanto pareva non sembrava capire che lui soffriva. C'era qualcosa, in quegli occhi, che gli impedì di notare qualunque altra cosa per parecchi secondi. Ma poi notò che la testa della signora Grales dormiva sonoramente sull'altra spalla, mentre Rachel sorrideva. Era un sorriso giovane e timido, che sperava amicizia. Ritentò.

— Sentite, è rimasto vivo qualcun altro? Andate…

Melodiosa e solenne venne la sua risposta: — sentite è rimasto vivo qualcun altro… — Lei assaporava le parole. Le enunciava distintamente. Sorrideva su di esse. Era più che un'imitazione riflessa, decise. Stava cercando di comunicare qualcosa. Attraverso quella ripetizione, stava cercando di portargli l'idea: Io sono un po' simile a te.

Ma lei era appena nata.

"E tu sei anche diversa, in un certo senso", notò Zerchi, con una sfumatura di timore. Ricordava che la signora Grales aveva l'artrite alle ginocchia, ma il corpo che le era appartenuto adesso stava inginocchiato là, appoggiato sui calcagni, nella sciolta posa della gioventù. E poi, la pelle rugosa della vecchia sembrava meno grinzosa di prima, e sembrava splendere un poco, come se il vecchio tessuto coriaceo fosse di nuovo vivificato. Improvvisamente notò il braccio di lei.

— Sei ferita!

— sei ferita.

Zerchi indicò il braccio di lei. Invece di guardare dove lui indicava, imitò il suo gesto, guardandogli il dito e tendendo il proprio per toccarlo… servendosi del braccio ferito. C'era pochissimo sangue, ma c'erano almeno una dozzina di tagli, uno dei quali sembrava profondo. Zerchi le tirò il dito, per avvicinare il braccio. Ne trasse cinque schegge di vetro rotto. Forse lei aveva spinto il braccio attraverso una finestra o, più probabilmente, si era trovata sulla traiettoria di una finestra che esplodeva, quando c'era stato lo scoppio. Solo una volta, quando tolse una lancia di vetro lunga un pollice apparve una traccia di sangue. Quando tolse gli altri frammenti, lasciarono minuscoli segni azzurri, senza emorragia. Quell'effetto gli ricordò una dimostrazione di ipnosi cui aveva assistito una volta, di qualcosa che aveva rifiutato come un'impostura. Quando guardò di nuovo il volto di lei, il suo timore crebbe. Continuava a sorridergli, come se la rimozione delle schegge di vetro non le avesse causato alcun fastidio.

Lanciò un'occhiata al viso della signora Grales. Era diventata grigia, l'impersonale maschera del coma. Le labbra erano esangui. In qualche modo, fu certo che stava morendo. Poteva immaginarla mentre avvizziva e alla fine cadeva come una crosta o un cordone ombelicale. Chi era, dunque, Rachel? E che cosa?

C'era ancora un po' di umidità sulle pietre bagnate dalla pioggia. Inumidì un polpastrello e le fece cenno di avvicinarsi. Qualunque cosa fosse, probabilmente aveva ricevuto una dose di radiazioni troppo forte per vivere a lungo. Cominciò a tracciarle una croce sulla fronte con un dito umido.

— Nisi baptizata es et nisi baptizari nonquis, te baptizo…

Non riuscì ad andare oltre. Lei si scostò in fretta da lui. Il suo sorriso gelò e svanì. No! sembrava gridare la sua espressione. Si allontanò da lui. Si asciugò dalla fronte la traccia di umidità, chiuse gli occhi, abbandonò le mani in grembo. Un'espressione di completa passività apparve sul suo viso. Con il capo piegato in quel modo faceva pensare a una preghiera. Gradualmente uscì dalla passività; il sorriso rinacque. Quando aprì gli occhi e lo guardò di nuovo, lo fece con lo stesso aperto calore di prima. Ma si guardava attorno, come se cercasse qualcosa.

Il suo sguardo cadde sul ciborio. Prima che Zerchi potesse fermarla, lo raccolse. — No! — tossì lui, con voce rauca, e cercò di afferrarlo. Lei era troppo svelta, e lo sforzo gli costò uno svenimento. Quando ritornò alla coscienza e alzò di nuovo il capo, riuscì a vedere solo immagini confuse. Lei era ancora inginocchiata, lì davanti. Finalmente riuscì a capire che reggeva la coppa d'oro nella mano sinistra, e nella destra, delicatamente, fra pollice e indice, un'Ostia. La stava offrendo a lui, oppure l'immaginava soltanto, come poco prima aveva immaginato di parlare a frate Pat?

Aspettò che le immagini confuse si schiarissero. Questa volta non si schiarirono, non completamente.

— Domine, non sum dignus… - sussurrò — sed tantum dic verbo…

Ricevette l'Ostia dalla mano di lei. Lei richiuse il coperchio del ciborio e lo ripose in un punto più protetto, sotto una pietra sporgente. Non aveva usato i gesti convenzionali, ma la reverenza con cui l'aveva maneggiato lo convinse d'una cosa: lei sentiva la Presenza sotto i veli. Colei che non sapeva ancora usare le parole o comprenderle, aveva fatto ciò che aveva fatto come per istruzione diretta, in risposta al suo tentativo di battesimo.

Cercò di rimettere a fuoco gli occhi per dare un'altra occhiata al viso di quell'essere, che per mezzo dei soli gesti gli aveva detto: "Io non ho bisogno del vostro primo Sacramento, Uomo, ma io sono degna di impartirti questo Sacramento di Vita". Ora sapeva chi lei era, e singhiozzò debolmente quando non riuscì a rimettere a fuoco gli occhi su quei freschi, verdi occhi imperturbati di una nata libera.

— Magnificat anima mea Dominum - sussurrò. — L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito si è rallegrato in Dio mio Salvatore, perché Lui ha posato lo sguardo sulla umiltà della Sua serva…

Voleva insegnarle quelle parole, come suo ultimo atto, perché era certo che lei condivideva qualcosa con la Fanciulla che per prima le aveva pronunciate.

— Magnificat anima mea Dominum et exultavit spiritus meus in Deo, salutari meo, quia respexit humilitatem…

Rimase senza fiato prima di avere finito. Lo sguardo gli si annebbiò; non riusciva più a distinguere la figura di lei. Ma dita fresche gli toccarono la fronte, e la udì dire una parola:

— Vivi.

Poi lei scomparve. Poté udire la sua voce allontanarsi fra le nuove rovine: "la la la, la-la-la…"

L'immagine di quei freschi occhi verdi rimase con lui quanto la vita. Non chiese perché Dio avesse scelto di far crescere una creatura di originale innocenza dalla spalla della signora Grales, o perché Dio le avesse dato i doni preternaturali dell'Eden… quei doni che l'Uomo aveva cercato di strappare al Cielo con la forza bruta, fin da quando li aveva perduti. Aveva veduto l'innocenza originale, in quei giorni, e una promessa di resurrezione. Quell'unico sguardo era stato un grande dono, e pianse di gratitudine. Poi giacque con il viso nella terra umida e attese.

Non venne null'altro… nulla che lui vedesse, o sentisse, o udisse.

30

Cantarono mentre facevano salire i bambini sulla nave. Cantarono antichi canti spaziali ed aiutarono i bambini a salire la scaletta, uno alla volta, fino alla mani delle suore. Cantarono di cuore, per disperdere la paura dei piccini. Quando l'orizzonte eruttò, il canto si interruppe. Fecero salire sulla nave l'ultimo bambino.

L'orizzonte si accese di lampi mentre i monaci salivano la scaletta. L'orizzonte diventò un bagliore rosso. Un lontano banco di nubi era nato dove non c'era stata alcuna nube. Due monaci, sulla scaletta, distolsero lo sguardo dai lampi. Quando i lampi scomparvero, tornarono a guardare.

Il volto di Lucifero crebbe come un fungo orribile al di sopra del banco di nubi, alzandosi lentamente come un titano che si levasse in piedi dopo anni di prigionia nella Terra.

Qualcuno abbaiò un ordine. I monaci ripresero ad arrampicarsi. Presto furono tutti dentro la nave.