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— Sono contento d’incontrarti di nuovo, Hy.

— Meraviglioso — disse Barenboim. Tornò ad accomodarsi dietro la scrivania e indicò una poltrona a Carewe.

— Ah, sì. — “Non so se è poi tanto meraviglioso” pensò Carewe. “Sono stato via solo pochi giorni.” Capì, per la prima volta, che Barenboim si sforzava di comportarsi da attivo o, per lo meno, non da freddo; il che gli ricordò che i loro rapporti erano del tutto artificiali, basati unicamente su un insieme di circostanze.

— Be’, com’è andata? Ti è piaciuto il viaggio?

— Tutto benissimo. Di questa stagione, il lago Orkney è meraviglioso.

Sulla faccia di Barenboim passò per un attimo un’ombra di impazienza. — Non m’interessa il paesaggio. Come va la tua libido? Funziona ancora?

— Puoi scommetterci. — Carewe rise. — Mai stato più voglioso.

— Perfetto. Vedo che ti sei tagliato la barba.

— Ho pensato che fosse meglio.

— Forse, ma d’ora in poi usa un depilatore. La tua pelle ha una sfumatura bluastra che ti fa sembrare meno freddo che mai.

Carewe avvertì un soffio di piacere, ma fu attentissimo a nasconderlo. “Quella cagna che guidava l’aereo” pensò, “dev’essere cieca.” — Ne comprerò uno oggi stesso — disse.

— Nemmeno per idea, mio giovane Willy. Nessuno deve sospettare che tu non ti sia fatto un’iniezione normalissima. Cosa penserebbe la gente se vedesse un freddo acquistare un depilatore?

— Scusa.

— Sono proprio questi i particolari a cui dobbiamo stare attenti. Te ne darò uno io prima che tu riparta. — Barenboim osservò la pelle rigonfia, bianca, delle sue mani. — Adesso togliti i vestiti.

— Eh?

Barenboim si lisciò dolcemente, con la punta di un dito, le sopracciglia. — Ci servono campioni di tessuto di tutto il tuo corpo per controllare la riproduzione cellulare e, naturalmente, dovremo controllare il livello degli spermatozoi.

— Capisco… però pensavo che fosse uno dei nostri biochimici a eseguire gli esami.

— Ma capisci che tutto il laboratorio verrebbe a conoscenza dei risultati? No, non è il caso. Manny Pleeth è molto meglio di me come biochimico, però in questo momento è fuori, quindi farò da solo. Non preoccuparti, Willy. La porta è chiusa, e io ho diversi anni d’esperienza.

— Certo, Hy. Ho reagito d’istinto. — Carewe si alzò. Colto dal sospetto improvviso che in tutta quella storia ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato, cominciò a togliersi i vestiti.

Aspettava da più di trenta minuti all’aeroporto di Three Springs, e solo allora gli venne in mente che forse Athene non sarebbe andata a prenderlo. A metà pomeriggio, l’area di sbarco era quasi deserta. Carewe entrò in una cabina telefonica, disse il numero di casa sua e fissò impaziente lo schermo, aspettando che apparisse la faccia di Athene. In dieci anni di matrimonio, era la prima volta che lei non lo andava a prendere quando era di ritorno da un viaggio. Cercò di tranquillizzarsi: si trattava solo di una coincidenza; era un caso che lui, per quanto ne sapeva Athene, rientrasse freddo per la prima volta. Lo schermo scelse i colori della sua gamma elettronica, gli mostrò un’immagine bidimensionale della faccia di sua moglie.

— Ciao, Athene. — Carewe aspettò di vederla reagire.

— Ciao, Will — disse lei, indifferente.

— È mezz’ora che ti aspetto all’aeroporto. Credevo che venissi a prendermi.

— Me n’ero dimenticata.

— Oh. — Forse era solo per effetto dell’immagine bidimensionale, ma per un attimo la faccia di Athene gli parve quella di una donna estranea, ostile.

— Okay, adesso lo sai. Vieni a prendermi o no?

Sua moglie si strinse nelle spalle. — Come preferisci.

— Se ti dà troppo disturbo — disse Carewe, impietrito, — noleggio una pallottola all’aeroporto.

— Va bene. Ciao. — L’immagine svanì, diventò uno sciame di farfalle colorate che svanirono in un grigio sterminato. Carewe si toccò il mento liscio, e un’infinità di emozioni ribollirono dentro di lui. Nel giro di qualche secondo, capì che in realtà si trattava di una sola emozione: tristezza. Athene era forse l’unica persona che lui conoscesse capace di trattare gli altri con onestà assoluta, capace di affermare il contrario di quello che aveva detto pochi minuti prima, senza imbarazzo o rimorsi, se nel frattempo il suo modo di vedere era cambiato. Certe volte, aveva acquistato un vaso costoso e lo aveva fracassato lo stesso giorno; altre volte lo aveva convinto ad andare in vacanza in un posto scelto da lei, e appena arrivati, se il posto non le andava, si era rifiutata di fermarsi. Era possibile che fosse capace di manipolare i suoi sentimenti per anni, giurargli che il suo amore per lui non sarebbe cambiato nemmeno se lui si fosse fatto disattivare, e poi, nel giro di una settimana, trattarlo con aria sprezzante?

La risposta, lo sapeva già, era sì.

Se Athene avesse scoperto che lui, privato della sua sessualità, non significava più niente, non avrebbe mentito. Si sarebbe liberata subito di quella situazione, anche a costo di sembrare crudele; avrebbe cercato altre soluzioni. Tutte le volte che aveva pensato alla disattivazione, Carewe aveva fissato, come limite massimo per la durata del suo matrimonio, un anno; ma aveva sempre saputo che poteva trattarsi solo di un mese, una settimana. “Devo dirglielo” urlò una voce dentro di lui. “Devo correre da mia moglie e raccontarle la verità sull’E.80.”

Uscì dalla cabina, corse al parcheggio. Mentre tornava a casa, spinto dall’enorme pressione dell’aria, continuò a ripetersi mentalmente quello che le avrebbe detto. Gli esami di Barenboim avevano confermato che l’E.80 funzionava. Carewe era immortale, ed era ancora maschio. Quindi, il matrimonio con Athene poteva ricominciare da capo, andare avanti all’infinito. Le avrebbe detto la verità, gliel’avrebbe dimostrata con tutta la forza del suo desiderio. “Avremo figli.” Quel pensiero gli fermò il tremito delle dita. “Appena finirà l’effetto dell’ultima pillola che ho preso, avremo figli…”

Quando Carewe parcheggiò la pallottola davanti a casa,tutte le finestre erano opacizzate. Entrando, scoprì che l’interno era immerso in un’oscurità quasi totale. L’unica fonte di luce erano le stelle proiettate sul soffitto. Le pareti erano tutte rientrate. Dapprima pensò che Athene fosse uscita, poi la vide sdraiata su un divano, persa a fissare le costellazioni che ruotavano. Carewe raggiunse il quadro comandi e schiarì le finestre. La casa venne invasa dalla luce del sole.

— Sono tornato — annunciò, per quanto fosse superfluo. — Ho cercato di fare il più in fretta possibile.

Athene non si mosse. — Sei davvero un fenomeno, Will. Nemmeno la disattivazione riesce a farti perdere il ritmo. Bravo. — L’ira fredda di quelle parole lasciò Carewe sbalordito.

— Devo parlarti, Athene. C’è qualcosa che non sai.

— C’è qualcosa che anche tu non sai, tesoro. Prendi! — Lei gli lanciò un piccolo oggetto scintillante, che lui afferrò al volo. Era un disco color argento con una macchia rossa al centro di una faccia.

— Non capisco — disse Carewe, lentamente. — Sembra un indicatore di gravidanza.

— E infatti lo è proprio. La disattivazione non ha influito nemmeno sulla tua vista.

— Ma continuo a non… Di chi è?

— È mio, naturalmente. — Athene si mise a sedere, lo guardò. La sua palpebra sinistra ricadde in basso. — Me lo sono messo sulla lingua stamattina e ha preso quel grazioso colore rosso.

— Tu scherzi. Non puoi essere incinta perché ho preso la pillola da meno di un mese e… — Carewe s’interruppe. Un sudore freddo gli bagnò la fronte.

— Ci sei arrivato. — L’occhio di Athene era quasi chiuso. La sua faccia era una maschera sacerdotale di collera repressa. — Hai sempre saputo benissimo di che stoffa sono fatta, Will. A quanto pare, non riesco a vivere senza la mia solita dose di sesso. Non eri ancora via da due giorni che avevo già un altro uomo nel tuo letto. O dovrei dire che un altro uomo ha avuto me nel tuo letto?