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— Già. Probabilmente è meglio così, in ogni caso.

— Devo scappare, Marianne. Ci vediamo domattina. — Carewe corse all’ascensore, oppresso da un oscuro senso di colpa. La Swifts era nota soprattutto per le attività del suo Club Priapico, e il fatto che Marianne andasse a lavorare lì significava la rinuncia totale ai continui tentativi di attrarre qualche attivo. Probabilmente sarebbe stata davvero più felice; però l’immagine del corpo affamato di Marianne che si sottoponeva all’amplesso con un fallo di plastica era dolorosa.

Fuori, l’aria era più fredda del normale, per essere primavera, anche se la tempesta di neve del mattino si era finalmente scaricata sulle Montagne Rocciose. Carewe regolò il termostato della cintura e oltrepassò di corsa l’addetto alla sicurezza, pensando ancora a Marianne Toner. “L’E-ottanta deve funzionare perfettamente” si disse. “Per il bene di tutti.”

Aveva raggiunto l’estremità del parcheggio dov’era il suo missile, la sua “pallottola”, quando intravvide con la coda dell’occhio un leggero movimento sul terreno. In un primo momento, non riuscì a scoprire cosa avesse attirato la sua attenzione, poi scorse la forma di una grossa rana, completamente coperta di cenere e polvere. La gola dell’animale pulsava a ritmo continuo. Carewe la guardò un attimo, tornò alla sua pallottola e salì subito. All’ingresso del tubo per Three Springs, probabilmente si stava già formando la coda dell’ora del rientro; non aveva tempo da perdere, se voleva essere a casa presto. Accese il motore, accelerò, imboccò l’autostrada e si diresse a sud. A un paio di chilometri dalla Farma frenò di colpo, borbottò qualcosa, disgustato di se stesso, e tornò indietro. Quando arrivò, altra gente stava uscendo dall’edificio, e nel parcheggio si accendevano le luci dei fanali; ma trovò la rana nello stesso punto. Continuava a pulsare, diffidente.

— Forza, ragazzo — disse, raccogliendo l’animaletto freddo e sporco. — Chiunque perderebbe il senso dell’orientamento, dopo sei mesi di sonno. — Aspettò una pausa nel traffico, poi attraversò l’autostrada e buttò la rana nelle acque scure del bacino che lambiva la strada. Ormai il flusso di missili e automobili si era fatto intenso. Non gli fu facile tornare al suo veicolo. Chiedendosi se qualcuno dei guardiani avesse notato il suo gesto, si immise nel traffico, ma i pochi minuti che aveva perso gli furono fatali. Gliene occorsero altri dieci per raggiungere il tubo per Three Springs, e un gemito di dolore gli uscì dalle labbra quando vide la fila di pallottole ferme davanti all’imboccatura.

Quando arrivò il suo turno, il sole era quasi al tramonto. Il robosmistatore fotografò la sua targa e infilò il suo mezzo nel tubo. L’intelaiatura di supporto, trasportata da una cinghia mobile, si diresse verso l’ingresso nord, pronta per essere usata da un altro veicolo. Carewe tentò di rilassarsi mentre entrava nella valvola a sfintere. Spinto da una pressione di tonnellate d’aria, avrebbe percorso i centocinquanta chilometri che lo separavano da Three Springs in venti minuti; ma all’uscita ci sarebbe stata un’altra fila di veicoli in attesa di essere raccolti dall’intelaiatura, e lui sarebbe arrivato a casa con un’ora di ritardo.

Si chiese se chiamare Athene col telefono per spiegarle quello che era successo, poi decise di no. Doveva parlarle di troppe cose.

Athene Carewe era alta, castana di capelli, con un corpo snello, flessuoso, che poteva distendere mollemente quando era di buonumore o irrigidire come una lama d’acciaio quando era in collera. I tratti del suo viso erano regolari, a parte una lieve incurvatura della palpebra sinistra, conseguenza di una caduta infantile, che a volte la faceva sembrare arrogante e altre volte le dava un’aria da cospiratrice. Quando Carewe entrò nella bolla geodetica che aveva acquistato con un mutuo di cent’anni, lei aveva già fatto rientrare le pareti interne, in previsione del party. Indossava un abito di perline luminose che l’avvolgeva nel fuoco dei gioielli e del sole riflesso in un lago.

— Sei in ritardo — gli disse, senza preamboli. — Ciao.

— Mi spiace. Mi hanno trattenuto.

— Ho dovuto far rientrare le pareti da sola. Perché non mi hai chiamata dall’ufficio?

— Ti ho chiesto scusa. Comunque il ritardo è successo quando ero già uscito dall’ufficio.

— Sìì?

Carewe esitò. Si chiese se fosse il caso di irritarla ancora di più parlandole della rana. Il matrimonio singolo era raro in una società in cui le donne nubili erano superiori ai maschi attivi in proporzione di otto a uno. Impegnandosi a non farsi disattivare per parecchi anni, Carewe avrebbe dovuto scegliere il matrimonio multiplo, che gli avrebbe anche portato una dote enorme. Una delle leggi non scritte che regolavano i suoi rapporti con Athene era che lei non doveva restargli sottomessa o sentirsi riconoscente; quindi, se decideva di litigare era sempre perché ne aveva voglia sul serio. In quel momento, Carewe voleva evitare a tutti i costi una discussione. Mentì, dicendo che c’era stato un incidente all’imboccatura del tubo.

— Qualche morto? — chiese lei, disponendo i posacenere.

— No. Non è stato un incidente serio. Ha solo bloccato il traffico per un po’. — Carewe andò in cucina, si versò un bicchiere di latte vitaminizzato. — Quanta gente viene stasera?

— Una decina di persone.

— C’è qualcuno che conosco?

— Non fare lo scemo, Will. Li conosci tutti.

— Il che significa che ci sarà anche May col suo ultimo ragazzino?

Athene mise giù l’ultimo portacenere con un colpo secco. — Sei tu che critichi sempre gli altri perché sono troppo convenzionali e antiquati.

— Sul serio? — Carewe bevve un po’ di latte. — Allora non dovrei più farlo, perché non riesco proprio ad abituarmi allo spettacolo di ragazzi di tredici anni che praticamente si fanno May sul pavimento di casa mia.

— Vuoi fartela tu? Accetterebbe subito.

— Piantiamola. — Afferrò Athene per il braccio mentre gli passava accanto e se la strinse contro, scoprendo che sotto le perline luminose non indossava nessun vestito. — Ehi,.cosa faresti se a questa roba mancasse la corrente?

— Penso che riuscirei lo stesso a farmi scaldare. — D’improvviso lei aderì completamente al corpo del marito.

— Su questo non ci sono dubbi. — Carewe abbassò il ritmo del respiro. — Non permetterò che tu invecchi, Athene. Non sarebbe giusto.

— Allora vuoi uccidermi! — La voce di Athene era allegra, ma lui sentì che il corpo della moglie si irrigidiva.

— No. Ho ordinato alla Farma le nostre iniezioni. Mi faranno anche un buon prezzo, visto che lavoro…

Lei si liberò dall’abbraccio. — Non è cambiato niente, Will. Non mi farò l’iniezione per poi starmene a guardare te che diventi sempre più vecchio, sempre più vecchio…

— È tutto a posto, cara. L’iniezione ce la facciamo insieme. Se vuoi, me la faccio io per primo.

— Oh! — I suoi occhi castani erano velati dal dubbio. Carewe capì che lei stava scrutando nel futuro, si poneva le domande di cui conoscevano fin troppo bene le risposte. “Cosa ne è dei dolci sogni d’amore quando il marito diventa impotente? Per quanto tempo l’unione di due anime può sopravvivere all’atrofia del corpo?” — Hai deciso?

— Sì. — La faccia di lei aveva perso il colorito. Carewe sentì come un pugno allo stomaco, un senso di colpa per la mancanza di tatto con cui aveva affrontato l’argomento. — Ma non c’è niente di cui preoccuparsi. La Farma ha scoperto un nuovo tipo di biostatico, e io sarò il primo a sperimentarlo.

— Un biostatico nuovo?

— Sì. È di un tipo che non distrugge le capacità sessuali maschili… — Era del tutto impreparato allo schiaffo che lei gli mollò, centrandolo in pieno sulla bocca. — Cosa cavolo…