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Il problema di Carewe aveva anche un aspetto puramente fisico. La convinzione che lui avesse chiuso per sempre con la vita sessuale aveva avuto su Athene un profondo effetto afrodisiaco. Quasi nel tentativo di spegnere per sempre i propri ardori, in quei tre giorni lei lo aveva costretto a un’attività sessuale continua. Si era addirittura rifiutata di dormire, se non avvinghiati come una coppia appena sposata. Purtroppo, tre giorni costituivano più o meno il periodo massimo in cui gli era concesso continuare a dare prova di virilità. La biostasi produceva sul momento un eccesso di ormoni maschili, ma non oltre i tre giorni. Entro poche ore, avrebbe dovuto fingere la perdita totale di impulsi sessuali, oppure raccontare la verità ad Athene.

A peggiorare le cose, il suo stato d’animo variava da un minuto all’altro, e questo gli impediva di prendere una posizione decisa, di agire. A volte gli sembrava che non esistesse proprio nessun problema: Athene sarebbe stata felicissima di sapere che a loro, primi in tutta la storia umana, erano stati concessi vita eterna e amore eterno; altre volte, invece, Carewe accettava la realtà dell’universo chiuso che era il suo matrimonio. Deliberatamente, aveva convinto Athene di credere nella componente essenziale, asessuata, del loro amore; aveva sfruttato l’inganno, si era impadronito degli interessi emotivi che ne nascevano. Adesso era giunto il momento di confessare, e aveva paura.

Stanco, depresso, alle prime luci dell’alba decise di scegliere l’unica via di fuga a sua disposizione. Appena avesse ripreso servizio alla Farina, doveva recarsi a Randal’s Creek per un controllo medico sugli effetti dell’E.80. Esisteva la vaga possibilità che il farmaco non funzionasse. Si sentiva perfettamente normale, però (e, incredibilmente, l’idea era quasi attraente) forse si era davvero disattivato, forse era diventato freddo sul serio. Avendo presente quell’ipotesi, la cosa più logica da fare era tenere la bocca chiusa finché i medici della Farina non avessero pronunciato il verdetto definitivo. Percorso da leggeri brividi, forse di sollievo, tornò a letto.

Strettamente parlando, non ce n’era nessun bisogno; però quel mattino aveva preso il rasoio magnetico e si era tagliato la barba lunga cinque millimetri. Quando salì sul vertijet, si sentì nudo, esposto. La coordinatrice del sistema di volo, quella che un tempo si sarebbe chiamata “pilota”, era una magnifica sinfonia di capelli biondi e abbronzatura, fasciata da un’uniforme aderente. Carewe, mentre mostrava il suo credito-disco al lettore del boccaporto anteriore, le indirizzò un sorriso timido. Lei gli rispose con un sorriso impersonale, ma i suoi occhi erano già sugli altri passeggeri.

Carewe si mise a sedere, si accarezzò la faccia, guardò fuori con aria sconsolata da un finestrino. Il jet corse sulla pista per un attimo, decollò, si alzò in verticale per un chilometro circa, superò la barriera del suono. Poi si diresse verso est, volando parallelamente alle cime bianche, irregolari, delle Montagne Rocciose. In basso, le città ben distanziate degli stati dell’Ovest correvano sotto di lui, unite dalla rete di strade e tubi. Vederle fu un sollievo per Carewe. Gli davano la sensazione di appartenere a qualcosa.

La popolazione mondiale non era diminuita rispetto agli ultimi anni del ventesimo secolo, ma non era nemmeno aumentata; e quei duecento anni erano serviti a eliminare i problemi più gravi, a risolverli in maniera ottimale. La vita, all’interno di una società di statuine di vetro, tendeva a essere monotona e tranquilla però, visto che tutti avevano sulle spalle la responsabilità della propria immortalità, la sicurezza era il fattore dominante. Nessuno affrontava volontariamente un rischio. L’aereo che Carewe aveva preso per raggiungere Randal’s Creek possedeva ben tre sistemi indipendenti di guida, eppure lui era in preda all’apprensione.

“Cosa farei” si chiese, “se dovesse succedere anche un piccolissimo incidente e io mi trovassi davanti un cadavere?”

Il laboratorio di Randal’s Creek si trovava a ottanta chilometri a sud di Pueblo, nascosto all’incrocio di due vallate di montagna. Lo si poteva raggiungere solo percorrendo una strada a terra fusa, che andava benissimo per le automobili ma non per le “pallottole”, a causa del loro centro di gravità che si trovava più in alto. Quasi tutto il personale del laboratorio, ottanta persone, viveva a Pueblo o nei dintorni, e si serviva dell’elicottero di linea della Farma.

Carewe arrivò al campo di partenza di Pueblo a metà mattina. Sul grande elicottero c’erano solo altri tre uomini, tutti freddi. Barenboim gli aveva raccomandato di darsi un’aria il più normale possibile; così, durante il breve volo, fece conversazione coi tre. Li riempì di domande sul laboratorio di biopoiesi e sulla sua dislocazione, e riuscì a informarli che era un contabile dell’azienda, chiamato a Randal’s Creek per controllare alcune spese di gestione. Gli altri tre sembravano tutti sulla trentina e, a giudicare dal loro modo di fare, Carewe intuì che non dovevano essere molto più vecchi. Non avevano la determinazione gelida di Barenboim. Di colpo gli venne in mente che, non appena si fosse diffusa la notizia dell’E.80, gli altri immortali, specialmente quelli che si erano fatti disattivare da poco, avrebbero provato un certo risentimento. D’altra parte, poteva darsi che alcuni aspetti della filosofia “fredda” conoscessero il massimo momento di trionfo. Persino in età preistorica, una piccola percentuale di uomini aveva avuto il tempo di stancarsi dei piaceri del processo riproduttivo. Quindi, ammesso che ci si potesse abbandonare ai piaceri del sesso per un paio di secoli o più, a quali strane “soluzioni” si poteva arrivare? L’idea inquietante che un’immortalità asessuata offrisse i suoi vantaggi si stava ancora agitando nel cervello di Carewe quando l’elicottero virò su una collina cosparsa di pini e si abbassò verso le cupole argentee dei laboratori Farma.

Notando vagamente che l’aria era molto più calda in Colorado che nella zona di Three Springs, raggiunse di buon passo l’entrata, si avvicinò a una delle tante cabine disseminate nell’ingresso. Ci fu una pausa di pochi secondi. Il computer dell’azienda, lontano un migliaio di chilometri, controllò la sua identità, approvò la sua presenza e si servì delle microonde per aprire la seconda porta della cabina, quella che dava sull’interno dell’edificio.

— Il signor Barenboim vi aspetta nel suo ufficio al livello D non appena vi sarete presentato al signor Abercrombie, capocontabile di questi laboratori — lo informò la macchina.

— Ricevuto — disse Carewe, leggermente sorpreso. Era raro che Barenboim si recasse in visita a Randal’s Creek, ma d’altronde l’E.80 era il progetto più importante in cui si fosse mai lanciata la Farma, o qualsiasi altra azienda farmaceutica. Trovò l’ufficio del capocontabile, trascorse quasi un’ora in chiacchiere superficiali e nel tentativo di individuare le difficoltà che avrebbe dovuto appianare. Dopo un po’, capì che non si trattava tanto di un problema tecnico, quanto di intoppi nei rapporti fra Barenboim e i laboratori. Abercrombie, un freddo grassoccio, con occhi attenti, acquosi, sembrava perfettamente in sintonia con la situazione. Trattò Carewe con una certa freddezza, quasi pensasse di avere di fronte il braccio destro di Barenboim. Quella reazione lo divertì. Era un anticipo di quello che gli sarebbe successo una volta diventato dirigente; però provava continuamente il bisogno di chiedere scusa. Lasciò Abercrombie appena possibile e raggiunse il livello D.

L’appartamento di Barenboim era più piccolo e un po’ meno lussuoso di quello della sede centrale. La pupilla della porta si socchiuse, riconobbe Carewe, e il pannello di legno scivolò di lato. Entrando, lui avvertì l’aroma di caffè di cui Barenboim si circondava sempre sul lavoro.

— Willy, Willy! — Barenboim, che stava seduto dietro una scrivania rosso-azzurra, attraversò la stanza e strinse la mano di Carewe. I suoi occhi danzarono nelle orbite profonde. — Che piacere rivederti!