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«Ma poi ci sono le nostre macchine», insisté Whitlow, ribollendo dentro di sé e tirandosi il colletto. «Macchine d’incredibile complessità, adatte a ogni scopo. Macchine senz’altro utili a un’altra specie oltre che a noi».

«Sì, posso immaginarmele», commentò il capo, sarcastico. «Giganteschi e goffi grovigli di ruote e leve, fili e griglie. In ogni caso, le nostre sono migliori».

Rivolse una rapida domanda all’anziano: «La sua rabbia rende la sua mente un po’ più vulnerabile?»

«Non ancora».

Whitlow fece un ultimo sforzo, controllando con grande difficoltà la sua indignazione: «Oltre a tutto questo, c’è la nostra arte. Tesori culturali d’incalcolabile valore. Opere d’una specie dalla creatività assai più ricca della vostra. Libri, musica, dipinti, sculture. Certamente…»

«Signor Whitlow, lei sta diventando ridicolo», l’interruppe il capo. «L’arte non ha nessun significato al difuori del suo ambiente culturale. Quale interesse si aspetta che noi dimostriamo nei confronti dell’impacciata autoespressione d’una specie immatura? Inoltre nessuna delle forme d’arte da lei citate potrebbe venire adattata al nostro modo di percepire, salvo la scultura… e in questo campo i nostri conseguimenti sono incomparabilmente superiori, poiché noi abbiamo una consapevolezza diretta della solidità. La sua mente è soltanto una mente-ombra, limitata agli esili modelli bidimensionali».

Whitlow si erse in tutta la sua altezza e incrociò le braccia sul petto. «Molto bene!» esclamò con voce raschiante. «Vedo che non posso convincervi. Ma…» puntò l’indice della mano destra verso il capo, «… lasci che le dica qualcosa! Lei disprezza gli umani, pensa di poter fare a meno di loro. Li ha definiti grossolani e infantili. Lei disdegna le industrie della Terra, la sua scienza, la sua arte. Rifiuta di aiutare l’umanità nel bisogno. Crede di potersi permettere di fare a meno degli umani. Va bene. Faccia pure. Questo è il mio consiglio. Fate pure… e vedrete quello che succederà!» Una luce vendicativa cominciò ad ardere nei suoi occhi. «Conosco i miei simili. Li conosco perché li ho studiati per molti anni. La guerra ha fatto dell’uomo un tiranno e uno sfruttatore. Ha fatto schiave le bestie dei campi e delle foreste. Ha fatto schiava la sua stessa specie, quando ha potuto, e quando non ha potuto ha imprigionato i suoi simili con le subdole catene delle necessità economiche e la soggezione dettata dal prestigio. È perverso, ostinato, brutale, uno strumento dei suoi impulsi più abbietti, e inoltre è abile, cocciuto, insistente, spinto da un’ambizione sconfinata! Possiede già l’energia atomica e i razzi come mezzi di trasporto. Nel giro di pochi decenni disporrà di navi spaziali e armi subatomiche. Fate pure, e aspettate! La predisposizione per far sempre la guerra lo porterà a sviluppare queste armi fino a livelli a tutt’oggi mai sognati di efficienza distruttiva. Aspettate anche questo! Aspettate che gli uomini arrivino su Marte in forze. Aspettate che abbiano fatto la vostra conoscenza e si siano resi conto di quali meravigliosi lavoratori sareste con la vostra corazza che vi rende adatti a qualunque tipo di ambiente. Aspettate che trovi una scusa per litigare con voi, che vi sconfigga e vi renda tutti schiavi e vi spedisca lontani dal pianeta, schiacciati dentro fetidi scafi, per obbligarvi a lavorare nelle miniere della Terra e sul fondo degli oceani, nella stratosfera e sugli asteroidi che l’uomo già adesso è bramoso di sfruttare. Sì, fate pure, aspettate!»

Whitlow s’interruppe, il petto che gli pulsava affannoso. Per un attimo fu conscio soltanto della sua sadica soddisfazione per aver sgridato quelle esasperanti creature simili a scarafaggi. Poi si guardò attorno.

I coleotteroidi si erano fatti più vicini. Le forme di quelli più prossimi si erano fatte più distinte e definite, somigliando repulsivamente a dei ragni che quasi invadevano la sua sfera di luce. In ugual modo anche i loro pensieri si erano fatti sempre più vicini, fino a formare un muro minaccioso, più nero di quello che incombeva sulla notte marziana. Era scomparsa quella riservatezza arrogante e spassionata che tanto l’aveva irritato. Incredulo, si rese conto di essere riuscito a penetrare la loro corazza e a toccarli in un punto vulnerabile.

Colse un rapido pensiero dal capo all’anziano: «E se il resto di loro assomiglia a questo anche soltanto un poco, allora si comporteranno proprio come ha detto lui. È un’informazione in più».

Whitlow tornò a guardarsi lentamente intorno, la fronte una volta ancora coperta dalle ciocche di capelli che gli erano ricadute in avanti, cercando un indizio che gli spiegasse l’improvviso mutamento nell’atteggiamento dei coleotteroidi. Il suo sguardo perplesso finì per appuntarsi sul capo.

«Abbiamo cambiato idea, signor Whitlow», gli disse spontaneamente il capo, in tono truce. «All’inizio le avevo detto che noi non esitiamo mai a intraprendere delle iniziative quando ci viene fornita una ragione valida e sufficiente. Ciò che i suoi sciocchi argomenti sull’umanitarismo e sul bottino non sono riusciti a ottenere, ce l’ha dato il suo ultimo sfogo. Le cose sono proprio come dice lei. I terrestri finiranno per attaccarci, e anche con qualche speranza di successo, se noi aspetteremo inerti. Perciò, a ragion di logica, dobbiamo agire in modo preventivo, e prima lo faremo meglio sarà. Faremo una ricognizione sulla Terra, e se le condizioni laggiù saranno quello che lei ha descritto, l’invaderemo».

Dalle profondità del suo sconforto Whitlow in un istante si trovò catapultato all’acme di una gioia febbrile. Il suo volto fanatico divenne radioso. Il suo corpo allampanato parve espandersi. I capelli gli schizzarono all’indietro.

«Meraviglioso!» ridacchiò, e proseguì eccitato: «Naturalmente, farò tutto ciò che posso per aiutarvi. Vi fornirò dei mezzi di trasporto…»

«Questo non sarà necessario», lo interruppe bruscamente il capo. «Non ci fidiamo dei suoi grandi poteri più di quanto se ne fidi iei. Abbiamo le nostre navi spaziali, più che adeguate a qualunque impresa. Non è nostra abitudine ostentarle più di quanto ostentiamo gli aspetti meccanici della nostra cultura. Non le usiamo, come farebbero i suoi terrestri, per farne volutamente bella mostra in giro. Nondimeno le abbiamo, pronte nei nostri magazzini, in caso di bisogno».

Ma neppure quello sprezzante rimprovero poté offuscare l’esultanza di Whitlow. Il suo volto era radioso, gli occhi gii sbattevano frenetici sotto la spinta delle lagrime che urgevano per uscire. Il pomo d’Adamo gli andava su e giù quasi a soffocarlo.

«Ah, amici miei… miei buoni amici! Se soltanto riuscissi a farvi capire cosa significa per me questo momento! Se soltanto potessi dirvi quanto sono felice, poiché penso che il grande momento sta per arrivare! Quando gli uomini alzeranno gli occhi dalle loro buche e dalle loro trincee, dai loro caccia e dai bombardieri, dai loro posti d’osservazione e dai quartier generali, dalle loro fabbriche e dalle case, per vedere, tutti, questa nuova minaccia dai cieli… Quando tutte le loro meschine divergenze d’opinione verranno a cadere come un indumento sporco e a brandelli. Quando taglieranno il filo spinato di quest’odio illusorio e si uniranno insieme, mano nella mano, finalmente veri fratelli, per affrontare il comune nemico. Quando, nel compimento dell’impresa comune, essi raggiungeranno infine una pace perfetta e durevole!»

Fece una pausa per respirare. I suoi occhi vitrei fissavano con amore la stella azzurra della Terra, che adesso stava ormai sfiorando l’orizzonte.

«Sì», gli giunse debole e asciutto il pensiero del capo. «Per uno con un temperamento emotivo come il suo si tratterà indubbiamente di una scena molto toccante… appagante. Per un po’».

Whitlow abbassò lo sguardo senza capire. L’ultimo pensiero del capo era stato come una graffiata di striscio: il tocco, lieve come una piuma, d’un artiglio avvelenato. Non capiva il perché, ma fu conscio d’un crescente timore.