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— Eccolo! — gridò estasiato. — Lo Yankee Stadium! L’antico campo sportivo era passato attraverso l’Insurrezione senza altri danni, se si escludono dei muri esterni di cemento anneriti e bucherellati. Ogni cosa intorno era stata quasi completamente demolita, ad eccezione di alcuni brevi tratti della vecchia metropolitana sopraelevata che ancora si ergevano lì accanto, uno scheletro di un tenue color ruggine coperto di muschio e viticci. Le rovine tutt’intorno ne erano completamente ricoperte, enormi mucchi di pietrisco, edifici sventrati, cisterne arrugginite che formavano intricate collinette simili a giungle artificiali intorno al centro svettante costituito dallo stadio, che era anch’esso ricoperto di viticci e piante rampicanti che lo confondevano in parte con il selvaggio panorama circostante.

L’Ufficio Nazionale delle Antichità aveva circondato lo stadio con un alto recinto di filo spinato elettrificato per tener lontani gli hippies che scorrazzavano in quell’area. Una guardia solitaria, con in dotazione un’arma di fabbricazione giapponese, pattugliava costantemente il perimetro con un velivolo monoposto ad un’altezza di cinque metri. Feci scendere il saltapicchio a quindici metri e girai per cinque volte intorno allo stadio, in modo che Ito, affascinato dall’idea, potesse contemplarlo in lungo e in largo e convincersi che sarebbe stato degno di figurare come pezzo forte del suo giardino, invece di rimanere nascosto in quelle spregevoli rovine. La guardia salutava ogni volta che le nostre rotte si incrociavano: doveva essere un lavoro noioso e ingrato starsene lì senza altra compagnia che quelle vecchie rovine e qualche banda di hippies vagabondi.

— Possiamo entrare? — chiese Ito con un tono di assoluta reverenza. Gente, l’avevo agganciato! Era raggiante come un bambino che stesse per ereditare un negozio di caramelle.

— Certamente, Mr. Ito — dissi io, portando il saltapicchio fuori dalla sua rotta circolare e planando dolcemente sopra l’orlo del vecchio campo sportivo e sorvolando il tetto di quella che una volta era stata la tribuna. Con molta lentezza guidai il velivolo verso l’intrico di erba alta, cespugli e alberi rinsecchiti che ricopriva il vecchio campo da gioco.

Era come discendere in un’immensa cattedrale scoperchiata e in rovina. Mentre scendevamo, le cavernose tribune coperte a tre piani (sedili di legno marcio pieni di muschio e di funghi, grandi travi sporgenti che nascondevano stormi di uccelli cinguettanti nelle profonde zone d’ombra) si innalzavano a circondare il saltapicchio in una incantata e perduta grandezza.

Quando toccammo terra, Ito sembrava galleggiare sul sedile in preda al rapimento. — Che meraviglia! — sospirò. — Un tale senso di storia e di venerabilità. Ah, Mr. Harris, quali nobili imprese vennero compiute in questo Stadio nei giorni andati! Possiamo mettere piede su questo storico campo da gioco?

— Certamente, Mr. Ito. — Che bello, non dovevo neppure dire una parola; il lavoro che lui stava facendo per vendere quell’ammuffito ed inutile ammasso di rovine era più di quanto avrei mai potuto fare io stesso.

Uscimmo dal saltapicchio e vagabondammo tra la vegetazione contorta mentre piccioni spennacchiati svolazzavano sopra di noi, e l’immensità dello stadio vuoto conferiva a quel luogo una magica atmosfera di sapore mistico, come se si fosse trattato di qualche tempio greco o di Stonehenge, invece che di un vecchio e cadente campo sportivo. Le tribune sembravano affollate di fantasmi; gli echi di eventi grandiosi che mai ebbero luogo riempivano quegli spazi cavernosi immersi nell’ombra.

E così scoprii che Mr. Ito sapeva più cose sullo Yankee Stadium di quanto ne sapessi o avessi mai voluto saperne io. Mi guidò con passo reverente e misurato, annoiandomi a morte con una specie di itinerario storico e turistico.

— Qui Al Gionfriddo effettuò quella famosa presa alle World Series che costò a Joe DiMaggio una potenziale base — disse quando raggiungemmo l’alta e scrostata parete nera che correva davanti alle gradinate. Numeri sbiaditi indicavano «405». Seguimmo quella parete ricurva fino al numero 467. Qui c’erano tre pesanti lastre che spuntavano dal vecchio terreno di gioco come se si trattasse di pietre tombali, e sulla parete retrostante erano infisse cinque placche di rame, ossidate al punto di risultare illeggibili. Ai vecchi tempi doveva essere proprio una cosa seria, esattamente come lo è ora per i Giapponesi.

— Targhe che commemorano i grandi eroi dei New York Yankees — disse Ito. — Il leggendario Ruth, Gehrig, DiMaggio, Mantle… Proprio qui Mickey Mantle spedì una palla sulle gradinate, una cosa che era stata considerata impossibile per più di mezzo secolo. Ah…

E via di questo passo. Ito gironzolò per tutto il terreno da gioco e pareva che avesse qualche aneddoto, ogni volta descritto come un evento di importanza storica, per ogni metro quadrato dello Yankee Stadium. Qui Babe Ruth aveva raggiunto la sua sessantesima base. Lì Roger Marris aveva superato quel record; là Mantle aveva quasi lanciato la palla al di là del tetto del venerabile stadio. Era incredibile quante di queste sciocchezze riuscisse a ricordare e quanto fossero importanti ai suoi occhi. La visita sembrava non finire mai. Sarei impazzito dalla noia se non fosse stato magnificamente chiaro che aveva completamente perso la testa per quel posto. Mentre Ito continuava la sua relazione amorosa con lo Yankee Stadium, io passavo il tempo contando yen nella mia mente. Considerai che probabilmente avrei potuto scucirgli dieci milioni, il che significava che la mia commissione sarebbe stata un milione secco. Il pensiero di tutto quel danaro che stava per cadere nelle mie mani fu sufficiente per farmi continuare a sorridere per tutte le due ore in cui Ito continuò a farfugliare di basi, lanci e strikes.

Era ormai pomeriggio inoltrato quando finalmente sembrò soddisfatto e mi permise di riportarlo al saltapicchio. Decisi che era tempo di parlare di affari mentre era ancora sotto l’incantesimo dello stadio e poteva offrire minore resistenza.

— Mi riempie di piacere vedere la profondità dei suoi sentimenti verso questo meraviglioso e venerabile stadio, Mr. Ito — dissi. — Sono pronto ad agevolare un rapido trasferimento quando lei vorrà.

Ito trasalì come se fosse stato improvvisamente risvegliato da qualche piacevole sogno. Abbassò gli occhi e fece un inchino quasi impercettibile.

— Ohimé — disse tristemente, — anche se sarebbe per me un incommensurabile piacere poter serbare come una reliquia il nobile Yankee Stadium nelle mie terre, purtroppo una tale frivolezza da parte mia non farebbe che esacerbare le mie difficoltà domestiche. I genitori di mia moglie stupidamente considerano il nobile sport del baseball una barbarie di importazione americana. Sfortunatamente mia moglie condivide queste opinioni, e spesso rimprovera il mio entusiasmo verso tale gioco. Se comperassi lo Yankee Stadium diverrei un oggetto di scherno nella mia stessa casa e la mia vita diventerebbe veramente insopportabile.

Questo era il massimo! Quell’arrogante piccolo figlio di cane aveva sprecato due ore del mio tempo trascinandomi in giro per questo stupido mucchio di rovine, snocciolando tutte quelle sciocchezze e facendomi quasi impazzire, pur sapendo che non lo avrebbe mai comperato. Mi venne voglia di cacciargli tutti i denti in fondo a quella maledetta gola. Ma pensai a tutti quegli yen che ancora potevo sperare di ricavare e gli diedi una risposta adeguata: un piccolo sorriso di simpatia, un sospiro solidale di doloroso rimpianto, un sussurrato: — Ohimé.

— Comunque — aggiunse allegramente — il ricordo di questa visita sarà qualcosa che mi terrò caro per sempre. Le sono profondamente debitore per avermi permesso questa esperienza, Mr. Harris. È valsa davvero la pena di fare il viaggio da Kyoto, anche solo per questa emozione.

E questo mi diede il colpo finale.

Ero davvero nei guai, proprio sul punto di mandare in fumo il più grosso affare che mi fosse mai capitato. Avevo mostrato ad Ito i due migliori articoli del mio territorio e se lui non trovava quello che voleva nel Nord Est, nel resto del paese c’erano un sacco di cose di prima qualità: cose come l’Arco di st. Louis, il Cervino a Disneyland, il Tabernacolo dei Mormoni a Salt Lake City ed anche un sacco di altri intermediari che si sarebbero incamerati la lauta commissione.