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Tranne un sole, tranne gli uccelli, le nuvole, la pioggia, tranne la neve, il freddo, il vento, tranne le formiche, la sporcizia, le montagne, tranne gli oceani, i campi di grano, le stelle, la luna, le foreste, tranne animali che correvano liberi, tranne…

Tranne la libertà.

Erano inscatolati là sotto, come pesci morti. Inscatolati.

Sentii una stretta alla gola. Volevo uscire. Uscire! Cominciai a tremare, avevo le mani fredde e c’era del sudore sulla mia fronte. Era stata una pazzia venire qui sotto. Dovevo uscire. Uscire!

Mi volsi per rientrare nello scivolo e fu allora che mi afferrò.

Quella cagna di Quilla Nune! Avrei dovuto sospettarlo!

VI

La cosa era bassa, verde e a forma di scatola, e aveva dei cavi con dei guantoni fissati all’estremità al posto delle braccia, e rotolava su dei cingoli, e mi afferrò.

Mi issò sulla parte superiore piatta e quadrata, tenendomi per mezzo di quei guanti, e io non potevo muovermi, potevo solo cercare di scalciare contro il grande occhio di vetro che aveva sulla parte anteriore, ma non servi a nulla. Non si spezzò. La cosa era alta solo un metro e venti e le scarpe da tennis quasi toccavano terra; cominciò a muoversi verso Topeka trascinandomi con sé.

C’era gente dappertutto. Seduta sulle sedie a dondolo nei porticati, intenta a rastrellare il prato, a ciondolare ai distributori o a infilare monetine nei distributori di palline di gomma da masticare, o a dipingere una striscia bianca in mezzo alla strada; a vendere giornali all’angolo della strada, ad ascoltare la banda in un palco a forma di conchiglia in mezzo al parco, a giocare a sotto muro e ai quattro cantoni, a lucidare le macchine, seduti su di una panchina a leggere, lavare i vetri delle finestre, potare le siepi; gente che si toglieva la paglietta davanti alle signore, che raccoglieva le bottiglie del latte vuote, che strigliava i cavalli, che lanciava un bastone ad un cane perché lo riportasse, che si tuffava nella piscina comunale, che scriveva con il gesso su di una lavagna i prezzi delle verdure all’esterno di un negozio, che camminava mano nella mano con una ragazza, e tutti quanti che mi guardavano passare in cima a quella fottuta scatola di metallo.

Potevo sentire la voce di Blood che ripeteva quello che aveva detto proprio prima che entrassi nello scivolo: È tutto ordinato e pulito e si conoscono tutti; odiano i singoli. Troppe bande hanno fatto razzie nei sotterranei, violentato le donne, rubato il loro cibo, avranno messo delle difese. Ti uccideranno, ragazzo!

Grazie, bastardo.

Arrivederci.

VII

La scatola verde attraversò il quartiere degli affari e svoltò davanti ad un negozio sulla cui vetrina spiccavano le parole UFFICIO DEI MIGLIORI AFFARI. Rotolò all’interno attraverso la porta aperta, e là un gruppo di uomini, alcuni dei quali anziani e altri molto anziani, mi stava aspettando. E anche un paio di donne. La scatola verde si fermò.

Uno di loro si avvicinò e mi tolse di mano la piastra di metallo. La guardò, poi si volse e la consegnò al più anziano tra loro, un tipo tutto bianco con i pantaloni stazzonati, una visiera di color verde, e un paio di elastici che tenevano su le maniche della camicia a righe. — Quilla June, Lew — disse quel tizio al vecchio. Lew prese la piastra di metallo e la mise nel cassetto in alto a sinistra di una scrivania con la serranda avvolgibile. — Meglio prendergli le armi, Aaron — disse il vecchio gufo. E il tizio che mi aveva preso la piastra mi perquisì.

— Liberalo, Aaron — disse Lew.

Aaron andò verso la parte posteriore della scatola verde, qualcosa ticchettò e i cavi con i guantoni vennero risucchiati all’interno della scatola, e io scesi da quella trappola. Avevo le braccia intorpidite nei punti in cui la scatola mi aveva tenuto stretto. Mentre le massaggiavo, osservai quella gente.

— Allora, ragazzo… — cominciò Lew.

— Fottiti, bastardo!

Le donne impallidirono. Gli uomini assunsero un’espressione dura.

— Te l’avevo detto che non avrebbe funzionato — disse uno degli anziani a Lew.

— Una brutta faccenda, questa — disse uno dei più giovani.

Lew si sporse in avanti sulla sedia dallo schienale rigido e mi puntò contro un dito ossuto. — Ragazzo, ti conviene essere educato.

— Spero che tutti i vostri fottuti bambini abbiano il labbro leporino!

— Non serve a niente, Lew! — disse un altro uomo.

— Monello! — scattò una donna con il naso a becco.

Lew mi fissò. La sua bocca era una minacciosa linea scura. Sapevo che quel figlio di puttana non aveva un solo dente in quella boccaccia che non fosse marcio e puzzolente. Mi fissava con occhietti maligni, Dio quant’era brutto, come un uccello pronto a succhiarmi la carne dalle ossa. Stava per dire qualcosa che non mi sarebbe piaciuto. — Aaron, forse è meglio che tu lo riaffidi alla sentinella. — Aaron si mosse verso la scatola verde.

— Okay, fermi — dissi, sollevando una mano.

Aaron si fermò, e guardò Lew che annuì. Poi Lew si sporse di nuovo in avanti e mi puntò ancora contro quell’artiglio. — Sei pronto a comportarti bene, ragazzo?

— Sì, credo.

— Ti conviene esserne davvero sicuro.

— Okay. Ne sono sicuro. Fottutamente sicuro.

— E farai attenzione a come parli.

Io non risposi. Vecchio gufo.

— Tu sei un esperimento per noi, ragazzo. Abbiamo cercato di portare giù qualcuno di voi con altri sistemi. Abbiamo mandato su qualcuno in gamba per catturare uno di voi, ma nessuno è mai tornato. Abbiamo pensato che fosse meglio attirarvi con l’inganno.

Feci una smorfia di disprezzo. Quella Quilla June! Mi sarei occupato di lei!

Una delle donne, un po’ più giovane di Naso a Becco, venne avanti e mi fissò in viso. — Lew, non riuscirai mai a convincerlo. Guarda i suoi occhi; è un piccolo sporco assassino.

— Ti piacerebbe la canna di un fucile infilata nel culo, puttana? — Lei fece un salto indietro. Lew si arrabbiò di nuovo. — Mi spiace — dissi, — ma non mi piace essere insultato. Macho, capite?

Lui si calmò e parlò alla donna: — Mez, lascialo in pace. Sto cercando di dire delle cose sensate. Tu stai solo peggiorando le cose.

Mez tornò a sedersi con gli altri. Davvero L’UFFICIO DEI MIGLIORI AFFARI, un bel gruppo di idioti!

— Come stavo dicendo, ragazzo, tu per noi rappresenti un esperimento. Sono quasi vent’anni che siamo qui a Topeka. È bello quaggiù. Gente tranquilla, onesta, rispettosa degli altri, nessun crimine, rispetto per gli anziani, davvero un bel posto per viverci. Cresciamo e prosperiamo.

Io attesi.

— Ebbene, adesso scopriamo che alcuni dei nostri non possono più avere bambini e quelle donne che ci riescono, hanno soprattutto femmine. Ci servono degli uomini. Degli uomini di un genere particolare.

Cominciai a ridere. Era troppo bello per essere vero. Mi volevano perché facessi lo stallone. Non riuscivo a smettere si ridere.

— Rozzo! — disse una delle donne aggrottando le ciglia.

— Questo è abbastanza imbarazzante per noi, ragazzo, non renderlo più duro — proseguì Lew a disagio.

Io e Blood passiamo la maggior parte del tempo là sopra a cercare qualche ragazza e qui sotto vogliono che io faccia lo stallone. Mi sedetti sul pavimento e continuai a ridere finché non mi vennero le lacrime agli occhi.

Finalmente mi alzai e dissi — Certo, va bene. Ma prima di accettare ci sono un paio di cosette che voglio in cambio.

Lei mi guardò fisso.

— La prima cosa che voglio è quella Quilla June. La scoperò fino a farla svenire, e poi le darò una botta in testa come lei ha fatto con me!