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All'esterno c'era uno spettacolo da mozzare il fiato. Qualche volta un campo da golf può presentare una distesa di verde dello stesso tipo… ma non per tanti chilometri quadrati. C'erano gruppi d'alberi, qua e là, ed erano alberi tropicali; si poteva vedere, quasi sentire l'inconfondibile splendore del flamboyante, tanto era vivido; e c'erano palme… palme da oasi, palme nane, palme da cocco e palmeti; felci e cactus in fiore. Su un mucchio di rovine di pietra, così pittoresche che forse erano state costruite lì con la funzione di essere rovine pittoresche, cresceva uno splendido fico alto quasi cento piedi, con le lunghe radici contorte e i tronchi multipli che si accordavano splendidamente con il fogliame lucente.

L'unico edificio che si poteva vedere, e loro si trovavano molto in alto, al dodicesimo o quattordicesimo piano, pensò Charlie, e per giunta in una zona elevata, era impossibile.

Prendete un cono… uno di quei cappelli a punta che si mettevano in testa all'alunno più somaro. Affusolatelo in modo che sia lungo tre volte di più di quanto dovrebbe essere. Adesso piegatelo in una curva aggraziata, circa in un quarto di cerchio. Poi rovesciatelo, piantatene la punta delicata nel terreno e allontanatevi, lasciando che la base massiccia si incurvi verso l'alto, senza nessun sostegno. E adesso fatelo alto almeno centocinquanta metri; con gruppi gemmati di finestre piacevolmente asimmetriche, e balconi curvi, piazzati in modo strano, che sembrino fare parte della superficie, invece di staccarsene, e avrete un'idea di quell'edificio, di quell'edificio impossibile.

Charlie Johns lo guardò, poi guardò il compagno e aprì la bocca e guardò l'edificio, tornò a guardare l'uomo. Sembrava umano e non sembrava umano. Gli occhi erano troppo distanti e troppo lunghi… ancora un po', e sarebbero stati sui lati del volto, invece che sulla parte anteriore. Il mento era forte e liscio, i denti sporgenti e magnifici, il naso grande, con le narici così arcuate che soltanto una frazione d'arco evitava loro di assomigliare alle narici di un cavallo. Charlie sapeva già che le dita erano forti e delicate; lo stesso si poteva dire del viso, del portamento. Il torso era un po' più lungo di quanto avrebbe dovuto, le gambe un po' più corte di come le avrebbe disegnate Charlie, se fosse stato un artista. E, naturalmente, quegli abiti…

«Sono su Marte» rabbrividì Charlie Johns, cercando di essere spiritoso, ma riuscì soltanto ad avere l'aria di essere miserevolmente spaventato. Fece un gesto inutile in direzione dell'edificio.

Con una sorpresa, l'uomo annuì premuroso e sorrise. Aveva un sorriso caldo e sicuro. Indicò Charlie, se stesso e l'edificio, mosse un passo verso l'immensa finestra e fece un cenno di richiamo.

Ebbene, perché no?… eppure Charlie lanciò un'occhiata esitante verso la porta della cella argentea da cui era uscito. Piccola come piaceva a lui, era la sola così lì, che gli fosse vagamente familiare.

L'uomo intuì la sua sensazione, e fece una specie di gesto rassicurante, indicando dapprima l'edificio lontano e poi la cella.

Con un sorriso poco convinto, Charlie si decise a muoversi.

L'uomo lo prese saldamente per il braccio e si avviò, non verso le estremità della stanza nascoste dalle tende, ma diritto verso la finestra, diritto attraverso la finestra. Ma questo lo fece da solo. Charlie piantò i calcagni sul pavimento e fuggì verso quella specie di lettuccio a rotelle.

All'esterno l'uomo si fermò, saldamente sospeso a mezz'aria, e fece un cenno di richiamo, sorridendo. Gridò qualcosa a Charlie, ma Charlie vide soltanto il movimento delle labbra… non udì alcun suono. Quando qualcuno è in un luogo chiuso, se ne accorge… lo sente, in realtà… e in ogni caso lo sa, e Charlie lo sapeva. Eppure quella creatura dall'abito vistoso aveva attraversato ciò che chiudeva quel luogo e l'aveva lasciato chiuso, e adesso chiamava Charlie perché lo raggiungesse, con impazienza, anche se allegramente.

Ci sono momenti in cui bisogna avere orgoglio, pensò Charlie, e questo è uno di quei momenti, ma io non ho orgoglio. Strisciò verso la finestra, si buttò a quattro zampe e tese lentamente le mani verso il pannello. E il pannello c'era, secondo il suo udito, secondo la sua percezione dello spazio, ma non secondo la sua mano. Strisciò cautamente verso l'esterno.

L'uomo rise (ma rideva con lui, non di lui, Charlie ne era certo), e gli venne incontro. Quando fece il gesto di prendere la mano di Charlie, Charlie la ritrasse. L'uomo rise ancora, si chinò e batté forte con la mano contro il pino su cui inspiegabilmente poggiava i piedi. Poi si alzò, e pestò, con forza.

Bene, evidentemente era ritto su qualcosa. Charlie ricordò (ricordava di nuovo) di aver visto all'aeroporto di San Juan una vecchia indiana che, per chissà quale ragione, aveva fatto il suo primo volo e si era trovata di fronte, per la prima volta, a una scala mobile. Era indietreggiata e aveva tastato sussultando, fino a che un giovanotto l'aveva sollevata di peso e l'aveva caricata sulla scala mobile. Lei si era aggrappata al corrimano e aveva continuato a strillare per tutta la salita e, arrivata in cima, non aveva smesso di strillare; erano strilli di gioia, lo erano stati per tutta la salita.

Bene, lui poteva strillare, ma non avrebbe strillato. Pallido, con gli occhi infossati, infilò la mano là dove non c'era il pannello, e batté dove aveva battuto l'uomo.

E sentì che c'era qualcosa.

Strisciando su una mano e sulle ginocchia, battendo con l'altra mano davanti a sé, con gli occhi socchiusi e la testa rovesciata in modo da non guardare in basso, passò attraverso il niente che chiudeva la stanza in modo tanto efficiente, e si avviò sul nulla che l'attendeva fuori.

L'uomo, di cui improvvisamente poteva udire la voce, rise e gli fece cenno di avventurarsi più oltre, ma Charlie era arrivato alla massima distanza cui accettava di arrivare. Così, con suo grande orrore, l'uomo balzò improvvisamente verso di lui, lo sollevò di peso, e gli posò la mano destra su un niente che era a mezz'aria e che correva circa all'altezza della sua mano, della sua cintura… un corrimano!

Charlie si guardò la mano destra, vuota in apparenza, che tuttavia stringeva qualcosa di benedetto; poteva vedere la carne appiattita all'estremità della presa, le nocche sbiancate. Posò la sinistra accanto alla destra e guardò nella brezza — c'era una brezza intensa — verso l'uomo, che disse qualcosa nella sua lingua cantilenante e indicò in basso. Di riflesso, Charlie Johns guardò giù e boccheggiò. Probabilmente non era più di un centinaio di metri ma a lui sembravano parecchi chilometri. Deglutì a vuoto e annuì, perché evidentemente quell'uomo gli aveva detto qualcosa di allegro come “Un bel salto, eh?”. Troppo tardi comprese che quell'uomo aveva detto l'equivalente di “Saltiamo, vecchio mio?” e lui aveva annuito con il capo.

Precipitarono. Charlie strillò. Ma non furono strilli di gioia.

I Bon Ton Alley è un complesso che consiste, naturalmente, di piste per bowling, e naturalmente di un bar; ma sono state fatte molte aggiunte. Ai dispensatori di salviette di carta, per esempio, sono stati affiancati i dispensatori di salviette più delicate, con cui le signore possono togliersi il rossetto. Tendine spumeggianti anche nel bar e una balza lunga fino a terra attorno al banco dei pretzel e delle uova.

La ragazza del bar è diventata in un certo senso una cameriera. E chi può rintracciare le tappe dell'evoluzione della birra in lattine ai pink ladies e addirittura, scusate l'espressione, al vermouth e soda? I tavoli da biliardo sono stati tolti e sostituiti da un Moschetto di articoli da regalo.

Lì siedono Jeannette Railes e la sua vicina, Tillie Smith, davanti a un frappé di créme di menthe ben meritato (specialmente Tillie, che stava diventando una giocatrice di bowling di prim'ordine) e stanno parlando delle faccende più importanti della serata… ossia di affari.