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Uno dei due, quello in verde, parlò a quello in arancione nei toni da colomba tipici di quella gente, indicò Charlie e rise. Come la risata del suo compagno, non sembrava che fosse una risata alle sue spalle. Poi il suo compagno parlò, e il divertimento fu generale. Charlie vide la sua ex-guida, con l'accappatoio rosso e tutto il resto, accucciarsi per terra, con gli occhi chiusi e tastare freneticamente sul pavimento. Poi cominciò a strisciare sulle ginocchia e su una mano, tastando spaventato l'aria davanti a sé, con la faccia atteggiata a una maschera di comico terrore.

Gli altri ulularono.

Charlie sentì i lobi delle orecchie diventare scottanti, un fenomeno indicativo, in lui, o di collera o di ubriachezza, e sapeva benissimo di non essere ubriaco. «Voglio ridere anch'io» tuonò. Gli altri lo guardarono perplessi, senza smettere di ridere, mentre Accappatoio Rosso continuava la sua imitazione di un uomo del ventesimo secolo che si trovava per la prima volta alle prese con un ascensore invisibile.

Qualcosa scattò dentro Charlie Johns, che era stato spinto, tirato, trascinato, lanciato, scagliato, sbalordito, imbarazzato e sconvolto esattamente un po' più di quanto potesse sopportare. Puntò educatamente il piede contro il posteriore avvolto nella stoffa rossa, e mandò la creatura a fare uno scivolone attraverso la stanza, fin quasi ai piedi della scrivania dell'individuo abbigliato di giallo.

Cadde un profondo silenzio.

Lentamente l'individuo in rosso si alzò, si girò verso di lui, tastandosi con grazia il posteriore offeso.

Charlie si appoggiò più saldamente alla porta che non dava segno di volersi aprire e attese. Uno dopo l'altro, incontrò cinque paia di occhi. Non c'era collera, in quegli occhi, e poca sorpresa; solo dispiacere; e a Charlie sembrò più malaugurante del furore. «Be', accidenti!» disse all'Accappatoio Rosso «te la sei voluta!»

Uno di loro tubò, un altro gorgogliò in risposta. Poi quello vestito di rosso si fece avanti con una versione molto più elaborata della serie di gemiti e di gesti che Charlie aveva visto e sentito; il messaggio: «Sono un porco non volevo offenderti».

Charlie capì, ma ne fu seccato. Aveva voglia di dire: be', se capisci di aver sbagliato, perché sei stato così stupido da sbagliare?

Quello vestito di giallo si alzò lentamente, con imponenza, districandosi dall'abbraccio della scrivania.

Con espressione calorosa e compassionevole, proferì una parola di tre sillabe e fece un gesto, e dietro di lui una porta si aprì, o piuttosto una parete si dilatò. Vi fu un sommesso ululato di assenso, e tutti annuirono e sorrisero e fecero gesti di richiamo e indicarono quel passaggio.

Charlie Johns avanzò quel tanto che bastava per veder oltre apertura. Ciò che vide era, come aveva immaginato, scarsamente familiare, ma quel mucchio di ordigni affusolati, stranamente sbilanciati e fusi l'uno nell'altro, non poteva nascondere la funzione della piatta tavola imbottita in mezzo a un cerchio di luce, l'oggetto a forma di elmo a una estremità, le morse in cui dovevano venire infilate le braccia e le gambe; era una specie di sala operatoria, e lui non ne voleva sapere.

Indietreggiò bruscamente, ma dietro di lui c'erano tre persone. Sferrò un pugno e si accorse che glielo avevano bloccato. Cercò di scalciare, e una gamba nuda scattò e gli bloccò le ginocchia, ed era veramente una gamba molto forte. L'individuo vestito di arancione avanzò, sorridendo con fare di scusa e premette una sfera bianca, grande come una pallina da ping-pong, contro il bicipite destro di Charlie. La sfera ticchettò e si afflosciò. Charlie si riempì i polmoni per urlare ma non riuscì mai a ricordare se era riuscito ad emettere un suono.

«Visto?» dice Herb. Sono nel soggiorno di Smith, e Herb sfoglia pigramente le pagine del giornale. Smith sta dando da bere al piccino che tiene abilmente disteso lungo il braccio e dice: «Cosa?».

«Mutandine ridottissime… ma per uomo.»

«Vuoi dire da portare come biancheria?»

«Come i bikini, soltanto ancora più piccole se è possibile. A maglia. Mio Dio, non possono pesare più di dieci grammi.»

«Anche meno. È la cosa migliore che abbiano inventato, dopo la cipolla da cocktail.»

«Tu le hai già prese?»

«Puoi star sicuro. A quanto le offrono lì?»

Herb consulta l'annuncio pubblicitario sul giornale. «A un dollaro e mezzo.»

«Vai allo Spaccaprezzi sulla Quinta Strada. Due paia per due e settantatré.»

Herb guarda le illustrazioni. «Ci sono in bianco, nero, giallo chiaro, celeste e rosa.»

«Yup» dice Smitty. Ritira con cura il poppatoio; il bambino, che adesso non ha più il singhiozzo, si è addormentato.

«Su Charlie… svegliati!»

Oh Mamma ancora quattro minuti non farò più tardi ti giuro sono rientrato quasi alle due e spero che tu non sappia mai quanto ero sottosopra e lascia perdere l'ora. Mamma?

«Charlie… non so dirti quanto mi dispiace.» Ti dispiace, Laura? Ma io volevo che fosse perfetto. Perché chi, nella vita reale, riesce perfettamente, la prima volta? Su, su… è molto facile da sistemare; lo faremo ancora… Oh-h-h… Charlie.

«Charlie? Ti chiami Charlie? Chiamami solo Rossa.»

…una volta quando avevo quattordici anni (ricordava) c'era una ragazzina che si chiamava Ruth e c'era una specie di festicciola per ragazzi e, senza scherzi, giocavano all'ufficio postale. L'ufficio postale era una specie di compartimento stagno formato dalla doppia porta esterna e dalla doppia porta interna, coperta da tende pesanti, nella vecchia casa di Sansom Street, e per tutta la festa Charlie aveva continuato a guardare Ruth. Lei aveva quel tipo speciale di pelle calda e olivastra e i capelli corti, fini e lucenti, d'un nero dai riflessi azzurri. Aveva una voce melodiosa e sussurrante, una bocca contegnosa e gli occhi timidi. Aveva paura di guardarti per più di un secondo, e con quella pelle olivastra un rossore lo intravedevi appena, ma anche senza veder nulla capivi che era un rossore a riscaldarla. E quando le risatine e le dita puntate e il chiacchiericcio finirono per indicare il nome di Charlie e poi quello di Ruth, perché entrassero insieme nell'ufficio postale e chiudessero la porta, qualcosa dentro di lui disse soltanto: «Bene, certo!». Charlie le aprì la porta e lei entrò con gli occhi così bassi che sembravano chiusi; con le lunghe ciglia quasi posate sulle guance calde; con le spalle piegate per la tensione e stringendosi i polsi tra le mani; facendo passetti minuscoli; e Charlie strizzò l'occhio al pubblico che rumoreggiava e intimava il suono dei baci, poi chiuse la porta… e lei aspettava, in silenzio, e lui era un galletto sfacciato e aveva bisogno di avere quella reputazione, e la prese saldamente per le spalle. Per la prima volta lei svelò gli occhi timidi e saggi e lasciò che lui precipitasse in quella remota oscurità, dove galleggiò, senza muoversi, per secondi che parvero lunghi quanto anni; e lui disse: «È tutto quello che voglio fare con te, Ruth» e la baciò con grande cautela, molto leggermente, sulla fronte liscia e calda e si tirò di nuovo indietro per guardare in quegli occhi. «Perché, Ruth» disse «è tutto quello che oserei fare con te.» Tu mi capisci, Charlie, mormorò lei, tu sì, tu mi capisci.