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«Tu mi capisci, Charlie. Tu sì, tu mi capisci.»

Aprì gli occhi e le nebbie fuggirono. Qualcuno si chinò su di lui, non Mamma, non Laura, non la Rossa non Ruth, non qualcuno ma quella cosa nell'accappatoio rosso, che disse ancora: «Adesso tu mi capisci, Charlie».

Quelle parole non erano inglese, ma per lui erano chiare come l'inglese.

Lui capiva persino la differenza. La struttura era diversa; tradotta, quella frase avrebbe significato press'a poco: «Tu (seconda persona singolare, ma in una forma alternativa che non denotava intimità né formalità, ma amicizia e rispetto, come se fosse un vocativo rivolto a uno zio molto caro) mi (un “mi” che indicava una utile assistenza e un'amichevolezza, quale poteva venire da un consigliere o da una guida, e non indicava, invece, una superiorità legale o altro) capisci (nel semplice senso verbale, piuttosto che nel significato di comprensione emotiva o psichica), Charlie». Era completamente consapevole di tutte le parole alternative e del loro contenuto semantico, ma non del sistema culturale che le aveva foggiate in quel modo, ed era consapevole che, se avesse desiderato rispondere in inglese, avrebbe potuto farlo. Era stato aggiunto qualcosa: non gli era stato tolto nulla.

Si sentiva… benissimo. Si sentiva come se fosse stato un poco senza dormire, e si sentiva un po' intimidito dalla nuova certezza interiore che la sua indignazione di poco prima era stata assurda quanto la sua paura; quella gente non aveva avuto intenzione di ridicolizzarlo e non dava il minimo segno di volergli fare del male.

«Io sono Seace» disse l'individuo vestito di rosso. «Mi puoi capire?»

«Certo che posso!»

«Ti prego… parla ledom.»

Charlie riconobbe quella parola… era un termine che serviva per definire la lingua, il paese e il popolo. Usando la nuova lingua disse, stupito: «So parlarla!» Si rendeva conto di parlarla con un accento bizzarro, probabilmente a causa della mancanza di familiarità fisica; come qualsiasi altra lingua, conteneva suoni che le erano caratteristici, come la cadenza linguale del gaelico, quella nasale del francese, quella gutturale del tedesco. Eppure era una lingua ben progettata per l'orecchio: ricordò di colpo il piacere che aveva provato da ragazzo quando aveva visto una macchina da scrivere che aveva i caratteri corsivi, quasi da manoscritto, in cui le code arricciolate di ogni lettera si univano all'inizio della lettera seguente; e la sillaba ledom, dal punto di vista auditivo, si univa alla sillaba successiva con la stessa scioltezza.

Riempiva la bocca più dell'inglese moderno; come l'inglese elisabettiano, era uno strumento più sonoro. Sarebbe stato difficile pronunciare il ledom con le labbra aperte e la mascella immobile, come facevano tanti dei suoi contemporanei con l'inglese che, nella sua evoluzione, sembra destinato a confondere coloro che sanno leggere il movimento delle labbra. «Riesco a parlarlo!» gridò Charlie Johns, e tutti cantilenarono premurosi le loro congratulazioni; e lui non si era mai sentito così soddisfatto dal giorno che aveva sette anni ed era stato applaudito da tutti i ragazzi del campeggio estivo, quando aveva nuotato le sue prime bracciate.

Seace lo prese per un braccio e lo aiutò a mettersi a sedere. L'avevano vestito dell'equivalente d'una camicia da notte da ospedale. Guardò quel Seace (adesso ricordava che la frase “Io sono Seace” era ricorsa spesso, da quando lui era “arrivato”, ma allora il suo orecchio non era riuscito a separare un fonema dall'altro) e sorrise, sorrise veramente, per la prima volta, in quel mondo bizzarro. Questo provocò un altro mormorio di contentezza.

Seace indicò l'indigeno dall'indumento arancione.

«Mielwis» disse, presentandolo. Mielwis fece un passo avanti e disse: «Siamo tutti molto lieti di averti tra noi».

«E questo è Philos». L'individuo che indossava le ridicole mutande azzurre fece un cenno con il capo e sorrise. Aveva lineamenti netti e ilari, e un rapido e lucente scintillio negli occhi neri, che poteva nascondere molte cose.

«E questi sono Nasive e Grocid» disse Seace, completando le presentazioni.

I due vestiti di verde sorrisero e Grocid disse: «Sei fra amici. Vogliamo assicurarci che tu lo comprenda bene».

Mielwis, quello più alto, che gli altri parevano circondare di un'intangibile aura di rispetto, disse: «Sì, ti prego di crederlo. Fidati di noi. E… se c'è qualcosa che vuoi, chiedi».

Armoniosamente gli altri fecero coro, ratificando quella dichiarazione.

Charlie, che cominciava a provare una sensazione di calore verso di loro, si inumidì le labbra e rise, incerto.

«Credo che… credo di desiderare soprattutto qualche informazione.»

«Qualsiasi cosa» disse Seace. «Qualsiasi cosa tu voglia sapere.»

«Ecco, allora, per prima cosa… dove sono

Mielwis attese che gli altri lasciassero a lui il compito di rispondere, poi disse: «Nel Centro Medico».

«Questo edificio è chiamato il Centro Medico» gli spiegò Seace. «L'altro, quello da cui siamo venuti, è il Centro Scientifico.»

Grocid disse, in tono reverente: «Mielwis è il capo (la parola significava “organizzatore” e “comandante” e qualcosa di più sottile e di più profondo come “ispiratore”) del Centro Medico».

Mielwis sorrise come se accettasse un complimento e, tutto compiaciuto disse: «Seace è il capo del Centro Scientifico».

Seace accennò che anche quello era un complimento e, tutto compiaciuto, disse: «Grocid e Nasive sono i capi del Centro dei Bambini. Immagino che vorrai vederlo».

I due che portavano il paniere accettarono l'investitura e Grocid tubò: «Spero che verrai presto».

Charlie guardò prima uno poi l'altro, sbalordito.

«Quindi vedi» disse Seace (e quel “vedi” significava “comprendi”; era come “adesso sai tutto”) «noi siamo tutti qui con te.»

L'esatto significato di quella frase sfuggì a Charlie, sebbene avesse l'impressione che fosse qualcosa di molto grande, come se qualcuno gli avesse presentato, nello stesso tempo, la regina, il presidente e il papa. Quindi, lui disse la sola cosa che riuscì a pensare, cioè: «Be' grazie…» e questo sembrò soddisfarli; poi guardò alla sola persona rimasta senza identificazione… Philos, quello coi pantaloni. Sorprendentemente, Philos gli strizzò l'occhio, e Mielwis disse distrattamente: «Philos è qui per te da studiare».

Il che non è precisamente ciò che disse. La frase era formata con una peculiare torsione grammaticale, qualcosa come quando qualcuno dice: “Io non mi piace le cipolle”, quando intende dire “Le cipolle non mi piacciono” (o almeno, quando dovrebbe dire così). In ogni caso, Philos non pareva meritare speciali onori o congratulazioni per il suo incarico, a differenza dei capi del Centro Medico, del Centro Scientifico, del Centro dei Bambini. Forse era soltanto un tale che lavorava lì.

Charlie accantonò il pensiero per ritornarvi più tardi e poi si guardò intorno. Gli altri gli restituirono lo sguardo, attentamente.

Charlie tornò a chiedere: «Sì, ma dove sono?»

Gli altri si guardarono l'un l'altro, poi fissarono lui. Seace chiese: «In che senso intendi, dove sei?»

«Oh» disse Seace agli altri «vuole sapere dov'è.»

«A Ledom» disse Nasive.

«E dov'è Ledom?»

Ancora quell'incrociarsi di sguardi. Poi Seace, con un'espressione che denotava l'inizio della comprensione, disse: «Vuole sapere dove si trova Ledom!».

«Sentite» disse Charlie, con quella che gli pareva una ragionevole dose di pazienza «cominciamo dal principio. Che pianeta è questo?»

«La Terra.»

«Bene, e adesso… La Terra

«Sì, la Terra.»

Charlie scrollò il capo. «Non la Terra che conosco io.»

Tutti guardarono Philos, che alzò le spalle e disse: «Probabilmente è così».