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Quando sentì lo squillo sfibbiò le cinghie e si alzò, guardandosi intorno. La sua cabina! In vita sua, non aveva mai avuto una stanza tutta per sé. Il compartimento era angusto ma lui non l’avrebbe cambiato con il più lussuoso albergo della Terra. Quella era la cabina di uno spaziale, larga circa quattro passi e lunga tre, e i pochi mobili la riempivano tutta. Le pareti erano di un verde pallido e in una era infisso un gancio, mentre su quella a capo del letto qualcuno aveva laboriosamente inciso, forse con un punteruolo, il panorama di un mondo sconosciuto.

Kelly stava ancora confrontando quel suo piccolo regno con la promiscuità a cui era stato abituato all’orfanotrofio e nei dormitori pubblici, quando Torwald aprì la porta.

— Hai sistemato la tua roba?

— Mi sono alzato solo un minuto fa...

— Se sei così lento non diventerai mai un bravo spaziale, Kelly. Qua, metti la tua roba nell’armadietto. — Aprì uno sportello nella parete di fronte alla branda e aiutò il ragazzo a sistemare gli indumenti e quel poco che possedeva. Poco dopo fece capolino Finn, il navigatore.

— Venite in lavanderia a prendere le lenzuola, voi due. Torwald, tu sei addetto alla lavanderia fino a nuovo ordine.

— Me l’aspettavo. Al quartiermastro affibbiano sempre le incombenze più disparate che non sono di competenza specifica di qualcun altro.

Quando Kelly tornò con lenzuola e coperte, Torwald gli mostrò come ripiegare la branda in modo che restasse aderente a un incavo della parete, poi se ne andò. Kelly diede un’ultima, affettuosa occhiata alla cabina, e poi uscì a sua volta. In sala mensa trovò Ham e la comandante che esaminavano alcune carte.

— Kelly — disse la comandante, — perché non vai a dare una mano a Michelle e Tor in cambusa?

— Subito, comandante — rispose il ragazzo abbozzando un saluto militare.

Trovò Michelle e Torwald nell’angusta cambusa, permeata da un odore che non conosceva, ma che trovava delizioso.

— Cos’è questo odore, Torwald? — chiese.

— È il pane che sta cuocendo in forno, ci crederesti? Siamo finiti in una miniera d’oro, figliolo.

— Ma certo che faccio il pane — disse Michelle. — Almeno finché dura la farina. Kelly, prendi qualche piatto e prepara la tavola, e tu Tor, prendi tre cipolle da quel secchio e affettale. — Tor s’infilò un grembiule e si mise al lavoro, e Kelly, dopo una lunga ricerca, trovò i piatti e andò a preparare la tavola alla mensa. Al ritorno trovò Torwald che affettava le cipolle. Si era arrotolato le maniche e Michelle stava osservando interdetta le cicatrici che gli deturpavano i polsi.

— Santo cielo, dove te le sei fatte? — chiese.

— Mai visto cicatrici da manette, Michelle? Dovresti vedere le caviglie. Gli anelli di ferro alle gambe sono più pesanti delle manette.

— Avevo sentito dire che riservavano questo trattamento ai prigionieri di guerra, ma mi sono sempre rifiutata di crederci — disse lei rabbrividendo.

— Non bisogna credere a tutta la propaganda, però certe cose erano vere.

Kelly aveva visto a Terraporto altri spaziali reduci di guerra con quelle cicatrici, e aveva sentito raccontare storie orripilanti sul trattamento riservato ai prigionieri di guerra, perciò si rese conto che Torwald doveva essere dotato di un fisico e di un equilibrio eccezionali per essere sopravvissuto a un simile trattamento sano di corpo e di mente.

Torwald e Michelle lavoravano insieme con la disinvoltura di due persone abituate a preparare pasti per molti commensali in una cambusa angusta. Kelly fu incaricato di porgere utensili e suppellettili, mentre Torwald preparava i cibi e Michelle li cuoceva.

— Mi è appena venuta in mente una cosa — disse a un tratto Michelle. — Quanti posti hai preparato, Kelly?

— Dieci.

— Aggiungine un altro. A bordo c’è un tizio che voi due non avete ancora conosciuto. E 1’agente, o che so io, della società che ha noleggiato la nave per questo viaggio.

— Già, che incarico abbiamo? — chiese Torwald. — Ho notato che la stiva è vuota.

— Si tratta di una cosa molto misteriosa. La comandante e Ham non ne hanno ancora fatto parola. Penso che lo sapremo dopo il pranzo.

Durante il pasto nessuno parlò molto, ma tutti continuavano a guardare l’uomo, seduto alla sinistra della comandante. Era un tipo piccolo e atticciato, calvo e con un accenno di pancetta. Non era certo uno spaziale.

Sebbene non avesse mai mangiato così bene in vita sua, Kelly sospirò di sollievo quando la cena ebbe termine perché trovava snervanti le abitudini e le manie degli spaziali durante i pasti. Prima, Lafayette lo aveva rimproverato perché porgeva la saliera con la sinistra: molti spaziali provenivano da civiltà in cui era proibito maneggiare gli oggetti con la sinistra, per cui tutti si attenevano a quella norma. Poi, quando Kelly aveva passato — con la destra! — un piatto di prosciutto ad Achmed scoprì con sua grande sorpresa che tanto il tecnico quanto la comandante appartenevano a religioni che proibivano di cibarsi di carne suina. Kelly ne era rimasto tanto mortificato che fu contento quando il pasto terminò e la comandante presentò loro lo sconosciuto.

— Questo è Sergei Popov, agente della Minsk Mineral, incaricato di dirigere i lavori di cui ci ha incaricato la sua società. Volete spiegare voi all’equipaggio di cosa si tratta, Sergei?

— La Minsk Mineral è una società piccola e di recente creazione — cominciò Popov. — È stata fondata da un geologo, Alexander Strelnikov che, durante la guerra, si occupò della costruzione di prefabbricati in previsione di un futuro incremento della Flotta. Come geologo compì numerosi viaggi su diversi pianeti per studiare le caratteristiche del suolo. Su Alfa Tau Pi Rho Quattro, un pianeta singolare sotto l’aspetto geologico, scoprì una vena di cristalli diamantiferi così larga da poter essere tagliata a strati. Non occorre dire che non ne fece parola coi suoi superiori.

— Adesso capisco! — esclamò Torwald.

— Come? — chiese Popov perplesso.

— Capisco perché prima di assumermi la comandante mi ha chiesto se sapevo usare un coltello a breve raggio.

— Infatti, perché quando arriveremo a destinazione la vostra esperienza in scavi minerari ci sarà utile. Ma dove ero rimasto? Ah, sì. Quando Strelnikov tornò a casa alla fine della guerra, trovò alcuni finanziatori e così venne fondata la Minsk Mineral. Per non dare nell’occhio, abbiamo lavorato qualche anno svolgendo piccoli incarichi per terzi, arrotondando il capitale coi profitti. Ma adesso ci aspetta il vero lavoro. Abbiamo chiesto e ottenuto la concessione per fare sondaggi in quella località, con il pretesto di saggiare il terreno alla ricerca di minerali. Poi, coi proventi di questa prima spedizione, chiederemo un’opzione per tutto il pianeta. Abbiamo deciso di noleggiare una carretta per non attirare l’attenzione dei concorrenti.

L’equipaggio pendeva dalle sue labbra. Il cristallo diamantifero era uno dei più preziosi minerali naturali, richiesto da centinaia d’industrie. La voce che esisteva una grossa vena di cristallo purissimo su un mondo ancora libero avrebbe attirato su quel mondo le maggiori società minerarie come un branco di piranha. Se riuscivano a riportare indietro la nave a pieno carico senza che nessuno venisse a sapere niente, sarebbero diventati ricchi e non avrebbero avuto noie di alcun tipo per tutta la vita.

— La Minsk — spiegò la comandante, — assicura all’Angel una buona percentuale sugli utili che ricaverà da questa spedizione, più una generosa gratifica a tutti i membri dell’equipaggio. — Tutti capirono immediatamente che il noleggio della nave non era legale e che se la spedizione falliva non sarebbero stati pagati e avrebbero dovuto cercare subito un altro ingaggio. — Qualche obiezione?