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— Eh, no! — si azzardò a dire Torwald vedendo che nessun altro rispondeva.

— Quando la posta in gioco è molto grossa, è logico che si debbano correre grossi rischi.

— Ma come mai Strelnikov non partecipa alla spedizione? — chiese Finn.

— Purtroppo perdette la vista nella battaglia di Li Po, e ci vorranno anni prima che i suoi occhi artificiali possano permettergli di viaggiare nello spazio.

— Altre domande? — chiese la comandante. Nessuno parlò. — Bene. Allora, Lafayette e Kelly siete incaricati di lavare i piatti dopo ogni pasto, mentre Michelle si occuperà della cucina con l’aiuto di Torwald. D’accordo? Torwald non fece obiezioni.

— Tor — gli disse Ham, — domani occupati della dispensa e del magazzino, di cui d’ora in avanti sarai il responsabile. Sono in un disordine spaventoso. Troverai fra l’altro due coltelli a raggi che abbiamo comprato all’asta sulla Terra. Allora funzionavano. Controllali e bada che si conservino in perfetto stato.

— C’è altro? — chiese la comandante.

— Sì — disse Michelle. — Kelly, prendi questo — e gli gettò una scatoletta piatta di metallo unita a una catenella. — Mettitela al collo e non toglierla mai — gli disse. — Nella scatola ci sono circa trecento pastiglie che contengono tutte le sostanze necessarie alla sopravvivenza. Se ci trovassimo a corto di viveri ti saranno indispensabili.

Kelly aveva un’aria perplessa.

— Esistono migliaia di pianeti dove i nativi si cibano di sostanze dannose all’organismo umano — spiegò Sims. — E solo su una dozzina o poco più esistono tutti gli elementi indispensabili al corpo umano.

— Se terreno e atmosfera sono simili a quelli della Terra — continuò Michelle, — la flora e la fauna possono fornire proteine, carboidrati e vitamine, ma mancano nei cibi tracce di altri elementi, come il fosforo o il magnesio e altri che ci sono indispensabili, altrimenti moriremmo come se ci mancasse l’acqua. Perciò se ti troverai arenato su un pianeta di questo genere quella scatola sarà l’unica cosa in grado di farti sopravvivere. Bada che sia sempre piena.

— Grazie — rispose Kelly infilando la catenella. — E complimenti alla cuoca, non ho mai mangiato così bene in vita mia.

— Grazie, sei molto galante — rispose sorridendo Michelle. — Ma se sei anche sincero devi avere sempre mangiato molto male.

— All’orfanotrofio ci tenevano a stecchetto — spiegò serio Kelly.

— E allora goditi la vita finché dura — lo incoraggiò Achmed. — Fra poco le scorte di viveri freschi finiranno e passeremo ai surgelati; e quando anche questi saranno finiti dovremmo contentarci dei concentrati, a meno di non avere la fortuna di trovare cibi indigeni commestibili.

— Scusate... — cominciò Kelly, per subito interrompersi.

— Parla — lo incitò la comandante. — Siamo fra colleghi. — Ma forse è sciocco...

— Avanti — sogghignò Bert. — Durante il primo viaggio capita a tutti di dire delle sciocchezze. Ci sfamo abituati.

— Be’, è che... che sono nello spazio ma non l’ho ancora visto... cioè, non lo spazio, ma le stelle. Volevo chiedere se su questa nave c’è un oblò o un finestrino. Finora non riesco ancora a persuadermi di essere in viaggio. Forse, se vedessi le stelle...

— Ma certo intervenne Finn. — C’è la vecchia cupola del navigatore attigua al mio compartimento degli strumenti. All’epoca in cui venne costruita la Star Angel era indispensabile un posto dove il navigatore potesse seguire la rotta coi suoi occhi se gli strumenti si guastavano, sebbene non abbia mai sentito che sia successo un inconveniente del genere nello spazio. Quando avrai finito di rigovernare vieni da me che ti aprirò il compartimento. Per quanto mi riguarda sono anni che non guardo le stelle.

— Verrò anch’io, se non avete niente in contrario — disse Bert. — Sarà bello rivivere la vecchia emozione di trovarsi nello spazio. Alla mia età, una nostalgia del genere mi fa ringiovanire.

Finì che si ritrovarono in otto nella cupola-osservatorio, un compartimento di otto metri di diametro a cui erano state tolte da tempo tutte le attrezzature e che sapeva di chiuso e di stantio. Ham portò una scatola di sigari Taurus, Bert qualche bottiglia di vino e alcuni bicchieri. Nancy arrivò col suo violino, e mentre lo accordava Torwald fece scattare il coltello, ne fece uscire un cavatappi e cominciò a stappare le bottiglie.

— Ricordati di avere sempre a portata di mano un cavatappi — raccomandò a Kelly. — E un utensile indispensabile nelle zone civilizzate della Galassia.

Kelly sedette sul ponte coperto da una moquette e alzò gli occhi alla cupola di glassite al di là della quale si vedevano le stelle e i pianeti con un nitore negato a chi li osservasse dalla Terra. Finn gli indicò le principali stelle e gli disse il nome dei pianeti.

Bert colse l’occasione per sfoderare un po’ della sua filosofia. — Ragazzo mio, là fuori tu vedi l’Universo con l’U maiuscola. Naturalmente hai sempre visto il cielo e le stelle, ma qui le vedi con una chiarezza impossibile attraverso qualsiasi atmosfera. E lasciami dire che è strano ed enigmatico.

— Misterioso è la parola giusta — disse Ham.

— Lì fuori succedono cose che sulla Terra ti sembrerebbero incredibili... salvo forse che in Irlanda — disse Bert.

— Oh, no — sussurrò Michelle a Torwald, — adesso imbottirà la testa di quel povero ragazzo con storie sul folclore spaziale.

Il breve silenzio che seguì fu rotto da una voce sepolcrale, che disse: — Figliolo, hai mai sentito parlare delle Luci Blu?

— Mi pare di averne letto qualcosa, Ham.

— Be’, sono piccole sfere di luce blu che infestano le navi prima di una catastrofe. Conosco spaziali che le hanno viste.

— E poi ci sono i Vascelli Fantasma — aggiunse Finn, mescolando al vino il contenuto di una fiaschetta da tasca. — Vecchi scafi che portano il nome di navi che non fecero mai ritorno e che appaiono alle navi condannate. Io ne ho visto uno; una volta.

— Credevo che non fossi mai salito qui.

— Devo confessare una cosa, Kelly. Vengo spesso qui a guardare stelle e a meditare, senza che nessuno lo sappia. Una volta, durante la guerra, ero arruolato su una nave da carico al seguito delle truppe che parteciparono all’invasione di Li Po. La notte prima dell’ora H stavo meditando in una cupola uguale a questa, quando all’improvviso comparve davanti ai miei occhi lo spettro di una nave: uno di quegli antichi vascelli tutti tubi e sfere. Aveva le fiancate sfondate e all’interno si vedevano degli scheletri. Sul ponte c’era la luce rossa in uso durante gli allarme su quelle antiche navi. Riuscii anche a leggerne il nome, Nevsky, e più tardi venni a sapere che quella nave era scomparsa durante una spedizione su Titano nel duemilaventidue con molti scienziati a bordo. Il giorno dopo... be’ tutti sanno quello che accadde a Li Po.

— Finn — sbottò Ben, — se io non fossi un vecchio spaziale che conosce bene quali cose strane si possano incontrare fra le stelle, direi che sei l’irlandese più bugiardo dell’Universo. Ma stando così le cose ti concedo il beneficio del dubbio.

— Non devi credere a tutto quel che dicono Finn o Ham, Kelly — disse Torwald, — ma dopo essere stato per un po’ nello spazio, vedrai anche tu delle cose strane. — Gli altri annuirono. — Prima di tutto devi aprire la tua mente a qualunque possibilità, perché qui tutto è possibile. La parola impossibile è rimasta sulla pista da dove siamo partiti.

Nessuno lo contraddisse.

Nancy, che finalmente era riuscita ad accordare il violino come voleva, cominciò a suonare una rapsodia di Kalliò, l’unico grande compositore che fosse stato anche astronauta. Dopo Kalliò suonò alcuni brani di Debussy, Ravel, Respighi e Holst, i compositori terrestri che gli spaziali preferivano perché le loro melodie impressionistiche evocavano il sapore della vita fra le stelle meglio degli altri, anche di quelli che non erano vissuti solo sulla Terra.