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Nelle tenebre. Nello spazio. Lontano, fuori dalla Terra… una sfera nella notte, una sfera che si allontanava, stagliata contro il buio dello spazio eterno, un disco nero che occultava la vista delle stelle.

Infine si fermò, e anche il tempo si arrestò. E accanto a lui, dal vuoto, parlò la voce dello strumento del Risplendente.

— Contempla — disse — l’Essere della Terra.

Lui contemplò. Non si verificò alcuna trasformazione esteriore, ma avvertì un mutamento interno, come se i suoi sensi fossero stati alterati per dargli modo di percepire una realtà fino a quel momento invisibile.

La sfera della Terra cominciò a risplendere. A risplendere intensamente.

— Ora vedi l’intelligenza che governa la Terra — disse la voce. — La somma dei neri, dei bianchi e dei rossi che sono uno, divisi soltanto come sono divisi i lobi di un cervello, la triplice unità.

Poi la palla lucente e le stelle che le facevano da sfondo sbiadirono, e l’oscurità si fece sempre più profonda, finché si accese una debole luce che andò aumentando sempre più, e lui si ritrovò nella stanza, con l’uomo in piedi accanto alla scrivania.

— Adesso hai visto — disse l’uomo — ma non comprendi. Vuoi sapere che cos’hai visto? Che cos’è Il Risplendente? È un’intelligenza di gruppo, la vera intelligenza della Terra, una delle tre intelligenze esistenti nel Sistema solare, una tra le molte dell’universo.

«Che cosa sono gli uomini, dunque? Gli uomini sono pedine, in partite che a voi sembrano incredibilmente complesse, tra i rossi e i neri, i bianchi e i neri. Partite giocate da una parte contro l’altra dello stesso organismo, per distrarsi e trascorrere allegramente un istante dell’eternità. Ci sono anche partite più complesse, tra galassie. Ma lì gli uomini non c’entrano.

«L’uomo è un parassita caratteristico della Terra, che tollererà sua presenza per un poco. Non esiste in nessun’altra parte del cosmo, e anche qui non resterà per molto. Giusto per la durata di qualche partita sulla scacchiera, guerre che lui crede di combattere da sé… vedo che cominci a capire.

L’uomo presso la scrivania sorrise.

— Vorresti sapere di te. Non c’è niente di meno importante. Era stata fatta una mossa prima di Lodi. Toccava ancora ai rossi, e ci voleva una personalità più forte, più spietata; era una svolta decisiva nella storia, cioè nel gioco. Capisci ora? E qualcun altro diventò imperatore.

Lui riuscì a malapena a spiccicare due parole: — E poi?

— Il Risplendente non uccide. Tu devi essere sistemato da qualche altra parte, in un’epoca qualsiasi. Molto più tardi, un uomo di nome George Vine era rimasto ucciso in un incidente stradale; il suo corpo era ancora utilizzabile. George Vine non era pazzo ma aveva un’ammirazione fanatica per il personaggio di Napoleone. La sostituzione fu divertente.

— Non ne dubito. — Impossibile gettarsi sull’uomo ritto accanto alla scrivania. L’odio stesso li divideva come un muro. — Dunque George Vine è morto?

— Sì, e tu ora sai troppo; devi impazzire così non saprai più niente. La conoscenza della verità ti farà impazzire.

— No!

Lo strumento sorrise.

8

La stanza, quel cubetto di luce, si oscurò e sembrò inclinarsi. Sempre in piedi lui si sentì rovesciare all’indietro, e la sua posizione da verticale stava diventando orizzontale.

Il peso era tutto sul dorso e sotto c’era il morbido sostegno della sua cuccetta, il contatto ruvido della coperta grigia. E lui poteva muoversi. Si mise a sedere.

Aveva sognato? Era uscito veramente dall’ospedale psichiatrico? Alzò le mani, le unì e sentì che erano umide e appiccicose. E anche la stoffa della camicia, anche le ginocchia, le cosce e i pantaloni lo erano. E ai piedi aveva le scarpe.

Il sangue delle ferite che si era fatto salendo sul muro. E ora l’azione dell’anestetico andava scomparendo, tutto cominciava a fargli male, mani, torace, stomaco, gambe. Acuti morsi dolorosi.

— Non sono pazzo!!! Non sono pazzo!!! — disse forte. Gridava?

Una voce disse: — No, non ancora. — Era la voce che aveva sentito prima, nella corsia? O quella dell’uomo che stava in piedi accanto alla scrivania? Oppure entrambi avevano la stessa voce?

— Domanda: «Che cos’è l’uomo?» — ordinò la voce.

Lui obbedì meccanicamente.

— L’uomo è un prodotto dell’evoluzione che non ha vie d’uscita, che è arrivato troppo tardi per competere; è sempre stato dominato dal Risplendente a cui serviva da passatempo, che era già vecchio e saggio prima ancora che lui camminasse eretto.

«L’uomo è un parassita su un pianeta già occupato prima del suo arrivo, popolato da un Essere che è uno e molti, un miliardo di cellule ma un’unica mente, un’unica intelligenza, un’unica volontà… come su ogni altro pianeta popolato dell’universo.

«L’uomo è uno scherzo, un pagliaccio, un parassita. Non è niente. E sarà ancora meno.

«Vieni e impazzisci.»

Lui scese di nuovo dal letto. Oltrepassò la soglia dello stanzino, camminò lungo la corsia, fino alla porta che dava sul corridoio. Un po’ di luce trapelava da una fessura in basso. Ma questa volta la sua mano non si alzò per afferrare la maniglia. Lui rimase lì, davanti all’uscio chiuso, e questo cominciò a risplendere. Lentamente divenne luminoso e i suoi contorni divennero visibili.

Come se un riflettore nascosto chissà dove le fosse stato puntato contro, la porta diventò un rettangolo di luce nelle tenebre circostanti.

— Ecco davanti a te una cellula del tuo dominatore — disse la voce. — Una cellula non intelligente in se stessa, ma che è una parte (sia pur minuscola) di un’unità intelligente, una fra i milioni di unità che costituiscono l’intelligenza che domina la Terra… e te stesso. E questa intelligenza, vasta quanto la Terra, è solamente una di milioni di intelligenze che dominano l’universo.

— La porta? Io non…

La voce tacque; si era spenta ma in fondo alla mente di lui rimase l’eco di una risata silenziosa.

Si appoggiò con forza e vide quello che doveva vedere. Una formica che si arrampicava su per la porta.

La seguì con lo sguardo e un orrore senza nome si impadronì di lui. Cento cose che gli erano state dette e mostrate si fusero in un mosaico di puro orrore. I neri, i bianchi, i rossi; le formiche nere, le formiche bianche, le formiche rosse, i giocatori di uomini, lobi separati di un solo cervello di gruppo, l’intelligenza che era una. L’uomo, un evento passeggero un parassita una pedina; un milione di pianeti nell’universo, ciascuno abitato da una razza d’insetti che costituiva un’una intelligenza per quel pianeta… e tutte le intelligenze riunite costituivano la singola intelligenza cosmica… Dio!

Quella parola brevissima non volle uscirgli di bocca. Diventò pazzo, invece. Si gettò contro la porta, nuovamente buia, picchiando con le mani insanguinate, con le ginocchia, con la testa, con tutto se stesso, anche se ormai aveva già dimenticato perché e che cosa volesse schiantare.

Quando obbligarono il suo corpo a calmarsi, infilandolo in una camicia di forza, era pazzo furioso: demenza precoce, non paranoia.

Quando lo rimisero in libertà guarito, undici mesi dopo, era un pazzo tranquillo: paranoia, non demenza precoce.

La paranoia, si sa, è una strana malattia: un delirio lucido, coerente, logico nella sua illogicità, che lascia integre tutte le altre funzioni fisiche e psichiche. Una serie di shock da metrazolo aveva dissipato la demenza precoce e gli aveva lasciato soltanto la convinzione di essere George Vine, il reporter.

Siccome anche i medici dell’istituto psichiatrico erano convinti della stessa cosa, quella non fu riconosciuta come un’idea fissa, e il paziente venne dimesso, con tanto di certificato che lo dichiarava sano di mente.