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Era una stanza piccola, austera, buia e cupa, sovrastata da una volta a crociera di stile gotico. Le due pareti laterali erano tappezzate di libri. La scrivania era una lastra di ebano lucido sulla quale splendeva una lucina azzurra, simbolo miniaturizzato della Confraternita. Ma Mondschien vide subito anche un’altra cosa sul tavolo: la lettera che aveva scritto al Supervisore Distrettuale chiedendo di essere trasferito al centro di studi genetici della Confraternita a Santa Fe.

Mondschein arrossì. Arrossiva facilmente; aveva le guance paffute, con una spiccata tendenza a imporporarsi. Era un uomo leggermente più alto della media, piuttosto in carne, con i capelli grossi e scuri, i tratti marcati e lo sguardo serio. Mondschein si sentiva terribilmente immaturo rispetto al confratello macilento e di aspetto ascetico che gli stava dando quella lavata di capo.

— Immagino che tu l’abbia riconosciuta — disse Langholt indicando il foglio. — È la lettera che hai scritto al Supervisore Kirby.

— Ma, signore, era una lettera personale. Io…

— Nel nostro ordine non esistono cose personali, Mondschein! Comunque è stato il Supervisore Kirby in persona a farmela pervenire e, come puoi vedere, ha aggiunto un appunto in margine.

Mondschein prese il foglio. Nell’angolo in alto a sinistra era stato scarabocchiato un breve messaggio. — Ha parecchia fretta il nostro giovane accolito, eh? Gli dia una bella lezione. R.K.

Mondschein posò il foglio e attese le sferzanti parole di sdegno del suo superiore. Ma anziché corrucciarsi, l’anziano uomo gli sorrise.

— Perché volevi andare a Santa Fe, Mondschein?

— Per partecipare alle ricerche che vengono condotte al centro. E… anche al programma di riproduzione.

— Ma tu non sei un esperiano.

— Magari possiedo qualche gene nascosto. O forse potrebbero sottoporre i miei geni a qualche manipolazione, per poi poterli sfruttare. Signore, deve capire che le mie intenzioni non erano soltanto egoistiche. Io volevo dare il mio contributo alla ricerca scientifica.

— Tu puoi contribuire con il tuo lavoro, con la preghiera e con l’assidua ricerca di anime da convertire. Se è destino che un giorno tu venga chiamato a Santa Fe, accadrà a tempo debito. Non pensi che possano esserci altri confratelli più anziani che, come te, desiderano potervi accedere? Io per esempio, Oppure Fratello Ashton? O lo stesso Supervisore Kirby? Tu entri qui, per così dire dalla strada, e dopo pochi mesi vorresti già il biglietto per Utopia. Mi dispiace, ma non è così semplice, accolito Mondschein.

— Che cosa posso fare adesso?

— Devi purificarti. Liberare il tuo cuore dall’orgoglio e dall’ambizione. Devi inginocchiarti e pregare. Devi svolgere umilmente il tuo lavoro quotidiano e non cercare rapide promozioni. Quello è senz’altro il sistema migliore per non ottenere quello che desideri.

— Forse, se mi proponessi per il servizio missionario — azzardò Mondschein. — C’è un gruppo che sta per partire per Venere…

Langholt sospirò. — Ci risiamo! Devi imparare a frenare la tua ambizione, Mondschein!

— Veramente io la consideravo una penitenza…

— Naturalmente. Tu immagini che quei missionari rischiano di venire martirizzati e pensi: se, per un colpo di fortuna, mi inviano su Venere e non vengo scuoiato vivo, una volta ritornato sulla Terra godrò di grande stima e mi manderanno a Santa Fe, come i guerrieri vanno al Valhalla. Oh Mondschein, Mondschein, sei così trasparente! Ma rifiutando di accettare il tuo destino tu rasenti l’eresia!

— Signore, le assicuro che non ho mai avuto niente a che fare con gli eretici. Io…

— Non ti sto accusando di niente — lo interruppe Langholt, con tono grave. — Sto semplicemente cercando di farti capire che ti stai incamminando su una strada pericolosa. Sono preoccupato per te, Mondschein. Ma guarda… — Così dicendo gettò la lettera incriminata in un distruggi-rifiuti e, con una fiammata, il foglio si disintegrò. — Sono disposto a dimenticare l’intero episodio, come se non fosse successo nulla. Ma tu non dimenticartelo e impara a essere più umile. Te lo ripeto, Mondschein, impara a essere più umile. Adesso va nel tempio a pregare. Puoi andare.

— Grazie, Fratello — borbottò Mondschein.

Gli tremavano le ginocchia mentre attraversava la stanza, diretto allo scivolopozzo a spirale che conduceva al tempio vero e proprio. Tutto considerato, sapeva di essersela cavata con poco. Langholt avrebbe potuto punirlo con una pubblica reprimenda, o, peggio ancora, spedirlo in qualche luogo non molto desiderabile, come la Patagonia o le Isole Aleutine. Avrebbero addirittura potuto sospenderlo dall’ordine.

Aveva commesso un errore enorme scavalcando Langholt, di questo Mondschein si rendeva conto. Ma che cos’altro poteva fare un uomo? Il pensiero che, giorno dopo giorno il tuo corpo muore un po’, mentre a Santa Fe selezionano le persone destinate a vivere per sempre… Era insopportabile l’idea di restare fra gli esclusi. Quando si rese conto che, scrivendo quella lettera, si era sicuramente giocato tutte le possibilità di venire accolto al Centro, il suo morale scese sotto i tacchi delle scarpe.

Mondschein scivolò in uno degli ultimi banchi e fissò cupamente il cubo di cobalto 60 collocato sull’altare.

Oh Fuoco Azzurro avvolgimi nella tua luce santa e purificami dalle mie colpe, implorò.

A volte, mentre pregava inginocchiato di fronte all’altare, Mondschein aveva avvertito il brivido spettrale dell’esperienza spirituale. Ma quello rappresentava il massimo grado della sua partecipazione, perché, nonostante fosse un Accolito della Confraternita della Radianza Immanente, e un vorsteriano della seconda generazione, Mondschein non era un uomo religioso. Che cadessero gli altri in estasi davanti all’altare, pensava. Perché lui sapeva bene quale fosse l’essenza di quel culto: il credo di Vorst non era che un paravento dietro il quale si celava un complesso programma di ricerca genetica. O quella, almeno, era la sua convinzione, anche se, talvolta, veniva assalito dai dubbi, e non riusciva più a capire quale fosse il pretesto e quale la realtà. Erano così tante le persone che sembravano trarre grandi benefici spirituali da quella religione, mentre non aveva nessuna prova che i ricercatori dei laboratori di Santa Fe avessero ottenuto qualche risultato concreto.

Mondschein chiuse gli occhi. La testa gli crollò sul petto. Immaginò gli elettroni che roteavano vorticosamente attorno alla loro orbita e recitò mentalmente la Litania Elettromagnetica, snocciolando le stazioni dello spettro.

Immaginò un Christopher Mondschein imperituro e, mentre invocava le frequenze medie, uno struggimento quasi incontenibile gli trafisse il petto. E, molto prima di giungere a supplicare i raggi X, fu sopraffatto da un così terribile senso di frustrazione e da una così grande paura di morire, che temette di sentirsi male. Ancora sessanta, al massimo settant’anni e la sua vita sarebbe finita, mentre a Santa Fe…

Aiuto! Aiuto! Aiuto!

Qualcuno mi aiuti. Non voglio morire!

Mondschein sollevò lo sguardo sull’altare. Il Fuoco Azzurro guizzò come se volesse beffarlo spegnendosi del tutto. Oppresso dalla tetraggine gotica del tempio, l’accolito balzò in piedi e si precipitò fuori all’aria aperta.

due

Con la veste color indaco e il cappuccio da monaco, Mondschein dava molto nell’occhio. Le persone lo fissavano come se possedesse poteri soprannaturali e, poiché non osavano avvicinarsi, nessuno sapeva che era un semplice accolito. Il fatto sconcertante era che, benché fossero anche loro seguaci di Vorst, non riuscivano a capire che i membri della Confraternita non avevano alcun rapporto con il soprannaturale. Mondschein non teneva in grande considerazione l’intelligenza dei laici.