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— No, no. Su queste schede ufficiali a ciascuno viene assegnato un ruolo, come se fossimo giocatori di baseball o i pezzi di una scacchiera. In realtà noi facciamo ciò che ci riesce meglio, e definendo in tal modo la nostra personalità, anche gli altri finiscono per accettarla. Forse, più avanti, qualcuno ti metterà un’etichetta. Ma non sarà certo un Phoenix a farlo.

— Mr. Leland?

— Può darsi. Qui stanno svolgendo delle ricerche, anche se ce ne dimentichiamo quasi sempre, e le ricerche richiedono statistiche e definizioni. È una legge cosmica come la gravitazione, il magnetismo e così via.

— Be’, anche una mela, se fosse stata dispensata per anzianità, forse non sarebbe caduta.

Gli occhi vitrei di Helen si chiusero. — Un’osservazione acuta. Ma noi dobbiamo avere la possibilità di crearci dei termini. Il nome Phoenix, come sai, è stato una nostra scelta. Altre famiglie della Torre si chiamano Cherokee, Piedmont, O’Possum e Sweetheart.

— Oh, sono bei nomi anche questi — e lo erano veramente; avevano ciò che Helen probabilmente definirebbe stile.

— Sì — commentò Helen, compiaciuta. — Lo sono.

4. Salendo la scala di Giacobbe

Zoe li incontrò quella sera, durante la cena. Mangiavano in una sala addobbata con uno stendardo trapuntato sulla parete, e parecchie piante in vaso che Joyce Malins (Toodles) diceva di aver acquistato da un fiorista dei quartieri bassi, in un negozio chiamato Kudzu.

I Phoenix disponevano di un intero appartamento, comprendente anche la cucina, al quarto piano del Ricovero Geriatrico, e quella sera erano stati Luther, Toodles e Paul ad occuparsi della cena: focaccia di granoturco, verdure surgelate e pasta con salsa di surrogato di carne. Meglio di quanto Lannie riuscisse a fare dopo due ore di passerella, sfilando coi nuovi modelli per quegli sporcaccioni della Consolidated Rich’s; meglio di quanto Zoe di solito preparava per sé, se è per questo. Il tavolo era rotondo, di legno, sufficientemente grande per sette persone, e su di esso era posato un bricco di metallo con tè freddo e zuccherato, nonché diversi piatti di porcellana. Zoe notò che non c’era nessuno addetto al servizio, nessuna infermiera, nessun giovanotto in camice bianco e dalle labbra serrate. Un biomonitor, collegato a ciascuno di loro mediante braccialetti d’argento sensibili alle pulsazioni era l’unica presenza estranea nella sala da pranzo, e per il momento se ne stava tranquillo. (Comunque era sicura che qualcuno, ai piani inferiori, lo tenesse sotto controllo.) Zoe, un po’ impacciata, rigirò il suo braccialetto, un oggetto carino benché fosse una sorta di apparecchiatura medica. Lei era già collegata: una neo-Phoenix.

Helen fece le presentazioni. Zoe sedeva tra lei e Jerry. Partendo da Helen, in senso orario, c’erano Parthena, Paul, Luther e Toodles. Jerry sedeva su una sedia a rotelle, con un plaid sulle ginocchia. Gli altri, come Helen, sembravano in grado di muoversi senza problemi, compreso l’ottantenne Paul, i cui occhi assomigliavano a quelli di un weimaraner e la cui bocca sapeva ancora atteggiarsi maliziosamente.

— Quanti anni hai, Zoe? — domandò lui, dopo che la breve presentazione si era conclusa tra mormorii e il tintinnio dei cucchiai.

— Paul! — esclamò Helen. Esattamente come Lannie era solita zittire lei, Zoe; ma solo con più garbo.

— Scommetto che non è vecchia quanto me. Lo dò a tre a uno: fate le vostre puntate. — Fece schioccare le labbra.

— Nessuno è più vecchio di lui — disse Jerry. La sua chioma sembrava un soffione: la stessa forma, lo stesso grigio, la stessa fragilità. Era rosso in volto.

— Ho sessantasette anni — rispose Zoe, per la seconda volta in quel giorno. Ma dire la propria età non fa invecchiare: infastidisce solamente.

— Sangue giovane — commentò l’uomo di colore dal volto massiccio: Luther. I suoi capelli (adesso Zoe cominciava a fare dei confronti) erano dello stesso bianco che si vede nei negativi delle foto, un colore scuro rovesciato. Le mani, ai lati del piatto, parevano la testa di un maglio. — Hooooi! Miei cari, ci hanno fatto una trasfusione; abbiamo sangue giovane.

— Toodles non è più la piccolina — disse Parthena, il volto affilato e severo come quello di una maschera Zulu. Zoe riconobbe l’accento della piantagione; ma quello di Luther si avvicinava più a quello di Paul o di Toodles che a quello di Parthena; ad eccezione di quell’Hooooi! Solo di quello.

— Che ne dici, Toodles? — chiese Paul. — Alla fine hai messo il piede sul primo gradino della scala di Giacobbe. Io sono sul più alto, ma anche tu, alla fine, ci sei salita. — Toodles, la cui bocca era un cuoricino rosso brillante (anche se nessuno più usava rossetto o mascara), abbassò la forchetta per rispondere, ma quel vecchio eccentrico di Paul si rivolse ancora a Zoe: — Sono sul gradino più alto, ma non morirò mai. Sono nato in California.

— Un tipico nonsense Ferrand-Phoenix — fece Jerry.

— Non mi sono mai posta il problema di essere la più giovane, qui — s’intromise Toodles. — E neppure mi dispiace perdere questo primato. — Il volto dalla mascella prominente si girò in direzione di Zoe. — Zoe — disse. — Oggi ho comprato quella fucsia e i coleus proprio per il tuo arrivo. Parthena ed io ci siamo avventurate in quella giungla oltre New Peachtree ed abbiamo mercanteggiato con quel piccolo negoziante eurasiatico dai prezzi esagerati. Poi siamo tornate portando da sole i nostri acquisti, vasi e tutto il resto, senza alcun aiuto da parte di questi bravi gentiluomini.

— Ovviamente — disse Parthena, — prima che sapesse la tua età. — La maschera Zulu sorrise: una dentatura perfetta. Parthena, più alta di chiunque altro nella stanza, sovrastava tutti anche rimanendo seduta.

— Parthena, maledetta la tua pelle nera, lo sai che non avrebbe fatto differenza! Proprio nessuna! — Toodles lasciò cadere la forchetta, la bocca che si piegava in una serie di «O» irregolari.

— È uno scherzo — si scusò Parthena. — Davvero.

— Che c’è di tanto divertente se io sono più giovane i tutti voi, vecchi cadaveri? — Il mascara, inumidito dalle lacrime, trasformava i suoi occhi in profondi crateri. — Che c’è di tanto divertente?

— Perché se la prende tanto? — chiese Luther, rivolto agli altri.

— Assecondala — fece Jerry, ammiccando a Zoe da sotto la folta capigliatura. — Crede di avere le mestruazioni.

Paul e Luther scoppiarono a ridere, prendendosi beffe degli altri. Sobbalzando come se fosse stata punta da un’ape, Toodles colpì la sedia con la mano e fissò ad uno ad uno i membri della famiglia. Ad esclusione di Zoe.

— Stupidi! — azzardò. E poi, con maggiore veemenza: — Stupidi vecchi rimbecilliti! — La sua bocca pareva una specie di oscilloscopio. Infatti Zoe vide che uno degli schermi in miniatura del biomonitor emetteva delle linee tenui, delicate e luminose, che attraversavano il riquadro del video: Toodles stava per avere una crisi isterica. Gettando un’occhiataccia e senza voltarsi, si trascinò pesantemente fuori dalla sala da pranzo. Dopo pochi minuti, le pallide linee smisero di agitarsi. No, Toodles non era morta, era solamente uscita dalla sfera di ricezione. Un altro apparecchio l’avrebbe subito rilevata.

— Stupida donna — fece Paul, masticando.

— L’ultimo commento di Jerry è stato villano — disse Helen. — Un genere di indelicatezza che Jerry solitamente non si concede.

— Ti prego di crederle — aggiunse l’uomo dal volto cremisi. Negli ultimi tempi non è stata molto bene. Non immaginavo che i suoi nervi fossero al limite. Mi spiace, mi spiace veramente. — Jerry guidò la sua sedia a rotelle oltre la porta della sala.

— Per la miseria — intervenne Zoe. — Cominciamo bene.

— Tu non hai colpa — disse Parthena. — Era un po’ su di giri. Due settimane fa ha saputo che stavamo per trovare un sostituto di Yuichan, tutto qui.