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«Ed ora» dicevo con il megafono in mano, «butterò sul fondo di questa piscina cento cucchiai d'argento. Il passeggero che riuscirà, tuffandosi senza maschera, a recuperarne il maggior numero, sarà il vincitore e vincerà una bambolina!»

Butto i cucchiai. E la prima volta. Cade in acqua involontariamente Franco Guidi, ottantasette anni di Faenza. Comincio la radiocronaca: «Si è buttato spontaneamente il signor Guidi! Ha già raggiunto velocemente il fondo! Cerca di raccogliere il maggior numero… lo vediamo immobile sul fondo… è sempre immobile… ora non capiamo bene… sono passati sei minuti…». E poi ho urlato: «Stappare la piscina!».

Franco Guidi è stato sbarcato di nascosto a Malaga durante la notte.

Al pomeriggio, tiro al piattello. Megafono in mano: «E ora il signor Farinelli di Alessandria! Lei si è iscritto spontaneamente alla gara di tiro al piattello?».

E lui candidamente: «No! Mi ha iscritto mia moglie a mia insaputa».

E io, un po' preoccupato: «È pratico lei, no?».

«No. Sarebbe la prima volta nella mia vita.»

«Vabbe'! Prenda il fucile e quando io urlo „piatto“ lei lo vedrà volare in alto sul mare e cercherà di colpirlo!»

«Ci provo.»

«Eccole il fucile, guardi che è carico!»

Ho urlato «piatto!». Lui ha sparato con un po' di ritardo e su, in alto, sul ponte di prima classe, ho visto cadere in mare, lentamente, un francese di Nizza. Monsieur Pierre La Tour. Non se n'è accorto nessuno.

«Mancato!» ho urlato io biecamente.

Alla sera a cena, al ristorante di prima classe la moglie, madame La Tour, in lutto stretto rideva sgangheratamente. Si era ubriacata e festeggiava in piedi la scomparsa del marito con tutti i passeggeri.

Siamo nel salone di prima classe, Fabrizio e la sua chitarra suonano La ballata del Michè, la storia di un suicidio. Con una comitiva di francesi c'era un còrso con faccia da pugile, certo Subrini, un nano che a metà canzone ha detto in una poltiglia di còrso e francese: «E basta! Petit con!», che significa coglioncino.

Fabrizio ha smesso di suonare, ha buttato la chitarra sul parquet in legno della pista da ballo, si è piazzato davanti a lui e in un silenzio di marmo gli ha chiesto: «Dove scende?».

«A Cannes.»

«Va bene, io qui ci lavoro e non la posso toccare neppure con un dito, ma lei mi ripete questo a Cannes e allora saranno guai!»

Dieci giorni dopo avevamo dato fondo di fronte alla Croisette e allo scalandrone reale aspettavamo il nano. Fabrizio era nervoso, aveva una pantofola al posto della lingua, c'erano con noi i fratelli Rossi, due orchestrali, i quali hanno detto: «Non vi preoccupate! Siamo qui pronti a massacrarlo!».

È arrivato il nano, ci è passato davanti senza salutarci. Io l'ho fermato prendendolo per un braccio, cioè, non era un braccio, era un fascio di muscoli d'acciaio. Si è voltato e mi ha detto: «Oui, monsieur?».

E Fabrizio a fatica a causa della pantofola: «Lei è molto, molto…». Non ha potuto finire la frase, il nano gli ha dato una testata terribile sul naso. Io sono scappato ignominiosamente. Sono intervenuti i fratelli Rossi: «Guardi che…». Il nano non li ha lasciati finire e ha mollato due cannonate sui denti. Un sinistro e un gancio destro. I fratelli Rossi hanno sputato molti denti sul ponte e il nano li ha raccolti e li ha buttati con tono provocatorio in mare.

Abbiamo saputo dopo che era stato campione di Francia dei pesi topo! I fratelli Rossi hanno passato quasi quattro anni da un dentista di Milano, certo Forini. Un ladro!

* * *

Quando navigavo da ricco, ho fatto una crociera straordinaria con Gassman e sua moglie, Tognazzi e sua moglie, io e mia moglie e Adolfo Celi, che era solo.

Genova, Cannes, Barcellona, Maiorca, Malaga, Tangeri, Cadice, Lisbona, Edimburgo, Reykjavik in Islanda, Capo Nord e poi a scendere tutti i Fiordi della Norvegia. Londra, Amburgo, Rotterdam e in aereo ritorno a Roma. Quarantacinque giorni fantastici. Appartamenti di primissima classe, in ogni appartamento una cameriera e un cameriere a disposizione. All'imbarco a Genova Tognazzi si è subito perso nei meandri della nave. L'hanno cercato con gli altoparlanti e i cani, ma nulla. Dopo tre giorni è risalito a riveder le stelle. Ha detto che l'aveva fatto apposta per farci ridere. Quando l'ho rincontrato era bianchissimo, mi ha abbracciato e ha singhiozzato per venti secondi. Solo due anni dopo in un viaggio in macchina mi ha detto improvvisamente: «Ti voglio dire una cosa. Quella volta, ti ricordi? Quando mi sono perso nelle stive della nave durante la crociera a Capo Nord? Non volevo far ridere, ma ho avuto veramente paura. Le navi sono un autentico labirinto. Ho incontrato passeggeri di altre crociere che erano rimasti intrappolati e le famiglie li avevano biecamente abbandonati. Ho conosciuto due tedeschi anziani che parlavano una neo-lingua: un po' di napoletano, un po' di tedesco e qualche parola spagnola. Erano ormai lì da quindici anni e si erano adattati. Erano diventati quasi ciechi, pupille biancastre da pipistrelli, avevano sviluppato anche loro una specie di sesto senso per evitare gli ostacoli».

Durante la sua assenza c'è stato il party del benvenuto del comandante, un famoso lupo di mare: il capitano Gino Fonelli. Fonelli aspettava i passeggeri in smoking bianco e spadino.

Gassman ha detto: «Io vado a stringergli la mano e mi scuso per l'assenza di Tognazzi. Ti confesso» ha aggiunto con qualche timore, «che ho paura di soffrire il mal di mare». Era tutto vestito di bianco e sembrava, ovviamente, un principe danese.

Fonelli ci aspettava al centro della pista e il primo commissario, con una lista in mano, leggeva i nomi dei passeggeri che gli presentava. Quando è arrivato a Gassman il primo commissario ha detto: «Di questo signore non è necessario che le legga il nome».

Fonelli, stranamente, non riusciva a parlare, era verdognolo, ha fatto un lungo respiro e ha bofonchiato: «Sono feli…». Ha cercato di tapparsi la bocca e poi ha fatto una vomitata di quasi sei metri. Gassman, agilissimo, ha schivato il getto e io, al primo commissario: «Ma che succede?».

E quello: «Speriamo che non se ne accorga nessuno, ma le devo confessare che il comandante soffre il mare come una capra sarda».

Abbiamo cenato senza Tognazzi, e Adolfo Celi, che era ipocondriaco come una vergine armena, mi ha sussurrato: «Sono un po' preoccupato. Andando in bagno ho perso qualche goccia di sangue».

L'ho subito rassicurato: «Non ti preoccupare, è certamente un tumore al retto! Domani a Barcellona, mentre gli altri vanno a visitare la città, ti porto alla famosa clinica del professor Barraquena».

La nave ha attraccato a Barcellona alle cinque del mattino. Alle sette ero con Celi in un taxi nero con una striscia rossa che correva a gran velocità verso il centro tumori. Avevo fatto telefonare dalla nave; sulla porta dell'ospedale era già pronto il famoso chirurgo oncologo spagnolo, Clementino Fraga, già vestito da operazione. Ha abbracciato Celi e gli ha detto solo: «Coraggio!».

Celi è rimasto a Barcellona in cura da Clementino Fraga quasi tre settimane. Erano semplici emorroidi. È ritornato a Roma in autobus, seduto su un salvagente sgonfio, era inferocito, perché aveva paura dell'aereo.

Il capo commissario, durante l'avvicinamento all'Islanda, mi ha detto con un giro di parole molto elegante: «Senta, Villaggio, voi siete ospiti assoluti, ma se non fate qualcosa vi sbarco a Capo Nord».

Ho fatto un summit e ho detto: «Ragazzi, siamo stati pregati di sdebitarci con una piccola e semplice esibizione. Celi non c'era, gli stavano facendo un'umiliante rettoscopia pubblica nell'aula magna dell'università di Barraquena di fronte a milleseicento studenti».

Tognazzi ha detto: «Io preparo i fusilli alla carbonara per tutti»; e Gassman: «Io potrei fare il salto mortale sopra sei passeggeri sdraiati per terra, ricadere in piedi e succhiare da un tavolo sei budini di crème caramel!».