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Passarono quaranta minuti in un silenzio innaturale. Poi giù in strada delle voci sommesse.

«Ehi! Notizie? Che succede?»

Mio padre ha detto: «Scendiamo giù a vedere!».

C'erano quasi tutti i nostri vicini, si guardavano in giro imbambolati, non avevano ancora capito che vivevano il momento più straordinario del secolo.

C'era una panchina, mio padre ci è saltato sopra e ha urlato: «Ragazzi! Ragazzi! E finita la guerra!».

E tutti allora hanno cominciato a urlare buttando i berretti per aria, si abbracciavano e chiamavano tutti gli altri dalle case: «Tutti giù! Tutti giù! È finita la guerra!», e tutti quelli che scendevano si abbracciavano, anche quelli che non si conoscevano. Ho visto mio padre abbracciare con grande affetto degli sconosciuti. Altro che il carnevale di Rio, era come se fossero tutti impazziti. Poi, a mannaia, un silenzio totale. In fondo alla strada era comparso un gigantesco carro armato americano Sherman, che ha fatto due metri e si è fermato. Sembrava un dinosauro. Tutti abbiamo fatto intimoriti alcuni metri indietro, il dinosauro ha voltato lentamente la torretta e si è spalancato il portello. E come un pupazzo a molla di una scatola a sorpresa, ne è balzato fuori… un negro, vestito da soldato americano. Era nero, quasi viola, e ha salutato tutti con le mani. Io e mio fratello ci siamo guardati, eravamo quasi storditi: aveva i palmi delle mani rosa! Quella è la cosa che ci aveva più colpiti della fine della guerra: il colore di quelle mani!

Era il primo negro che vedevamo nella nostra vita.

Il negro ha sorriso a cento denti, si è chinato, è tornato su con una ventina di pacchetti di sigarette, e ha cominciato a buttarli verso di noi. Hanno perso tutti la testa e tutti chinati a raccogliere e a spintonarsi. L'ingegner Pisano, che era vecchio, non ne ha acchiappato neppure uno. E allora è andato fin sotto la torretta e ha detto: «Scusi… signor negro ma… io non ne ho beccato neppure uno!».

Il negro ha sorriso e ha detto una parola magica e del tutto sconosciuta: «Ok!».

Era la prima volta che sentivamo dire Ok.

Ha ributtato sigarette con la mano destra e nella sinistra aveva una strana boccetta panciuta, marrone. Mi ha visto e, indicandomi, mi ha detto: «Come on, boy!». E mi faceva segno di avvicinarmi offrendomi la bottiglietta. Mio padre ha detto: «No! Può essere pericoloso, magari

è un cannibale!».

Mi sono avvicinato lo stesso, ho preso la bottiglietta in mano e l'ho tracannata. Faceva schifo! Sapeva di petrolio: E stata la prima Coca-cola della mia vita!

Poi il carro armato lentamente è andato via, e allora è passata l'America!

Era la Quinta armata americana, e per cinque giorni e per cinque notti sono passati: carri armati, cannoni, cingolati, camion, cingolati, cannoni, e camion pieni di soldati che buttavano sigarette, tavolette di cioccolata, scatolette di carne ma, soprattutto, due cose che non avevamo mai visto: gomme da masticare e degli strumenti magici: le penne biro! Che scrivevano senza inchiostro, erano dorate e lampeggiavano al sole.

Cinque giorni e cinque notti… e cingolati, e carri armati e cannoni… e le donne soldato che buttavano delle buste con delle calze di nylon… e molti soldati, e ancora soldati… molti negri, altri con la faccia da cinesi e alcuni con i capelli neri che sembravano dei siciliani, altri biondi come svedesi… e carri armati… cannoni… cingolati. Notte e giorno.

Noi avevamo avuto il permesso, anche di notte, di assistere a quello spettacolo straordinario.

E tutti con le bandierine italiane con lo stemma Savoia: «Viva gli alleati! Viva l'America! Sigarette per favore!».

Una notte, verso le due, eravamo in strada con mio padre, che se ne stava un po' in disparte senza applaudire, con fare dignitoso.

Gli si è avvicinato Pisano e gli ha detto: «Scusi, ingegnere, ma… secondo lei, a quello lì di piazza Venezia, ma come cazzo gli è venuto in mente di dichiarare guerra a questi!».

E mio padre ha detto: «Ha ragione. Vede, secondo me c'è un'unica spiegazione: non aveva il De Agostini a casa! Perché bastava che avesse aperto a caso alla voce Usa, Stati Uniti d'America: Automobili prodotte in un anno a Detroit: 25 milioni. Uguale possibili carri armati».

E Pisano: «Sì. E stato un errore imperdonabile».

Una mattina, alle undici, di nuovo un silenzio imbarazzante; erano passati tutti.

Non sapevamo che fare. Era finita la guerra, era finito l'oscuramento, erano finiti i bombardamenti ma, soprattutto, avevamo a disposizione un bene supremo che non conoscevamo: la libertà.

E allora tutti, lentamente, hanno capito che da quel momento potevano accendere le luci sul lungomare, sentire musica di notte, andare dove volevano e dire, liberamente e ad alta voce, tutto quello che si pensava.

È stato difficile, per una settimana, amministrare la libertà. Poi è esplosa una gioia incontenibile. Tutti a costruire delle pedane di legno illuminate, come nelle feste delle chiese, da lampadine colorate, gialle, rosse, verdi… una balera ogni cinquecento metri, bastavano un violino e una fisarmonica; avevano portato in strada le sedie impagliate delle chiese e tutti a ballare dal pomeriggio fino a notte fonda. Le canzoni erano Vento, vento portami via con te! La più richiesta era Maramao perché sei morto. E ballavano… ballavano… ballavano tutti notte e giorno fino alla fine di agosto.

Mio padre e mia madre uscivano prima del tramonto, e mia nonna: «Ma dove andate? Non cenate?».

«No! No!» era incredibilmente mia madre, «Semmai dopo. Ora dobbiamo andare a ballare! Ceniamo poi.»

Una sera, verso le nove, mia nonna si era addormentata ascoltando la radio di legno. Io e mio fratello, come topi, siamo scappati di casa! Siamo andati a vedere la balera dove c'erano i miei genitori.

Gli altri erano tutti seduti. Loro due erano soli in mezzo alla pista. Il violino suonava dolcemente: Vieni, c'è una strada nel bosco… Loro erano abbracciati, guancia a guancia. Lui la teneva stretta con tutte e due le braccia. Erano vestiti di bianco, avevano anche le scarpe da ginnastica bianche. Avevano circa una trentina d'anni.

Ecco! Io me li voglio ricordare così! Fissare quell'immagine. Loro due abbracciati, vestiti di bianco, il mare sullo sfondo e il violino.

Mio padre ha detto a un tratto: «Basta con questa lagna! Voglio ballare Maramao!».

Lei si è andata a sedere e lui ha detto: «Allora lo ballo da solo!», e facendo il pagliaccio ha cominciato a saltellare. Poi si è andato a sedere anche lui e tutti hanno applaudito. Era su una sedia e sotto ero nascosto io. Lui non se n'è accorto. Nascosto un po' più in là, mio fratello.

Alle nostre spalle è sbucato Pisano: «Contento, eh, ingegnere? È finita la guerra!».

E lui, con molto distacco e poco convinto: «Sì, sì… Sono contento». Sembrava volesse tagliar corto.

«Ma scusi, ma… non mi sembra molto convinto…»

«Vede, Pisano» e qui abbassando la voce gli ha quasi sussurrato, «le devo confessare che io sono stato molto felice anche durante la guerra.»

Poi ha visto mio fratello e si è interrotto.

«Ehi! Che ci fate qui voi due?» E mi ha tirato su da sotto la sua sedia.

«Venite, venite qui», e ci ha portati un po' lontano dalla balera.

«Non vorrei che aveste equivocato. Io volevo dire… che io sono stato felice, nonostante tutto, anche durante la guerra.» Ci teneva per le spalle, era vestito di bianco, era un bell'uomo e sorrideva. «Vedete, bambini, vi voglio dire una cosa: nella vita la cosa più importante è cercare disperatamente di essere il più felici possibile. Anche nei momenti brutti. Anzi, è lì che bisogna sforzarsi il più possibile, e trovare in ogni momento della vostra vita un qualunque motivo di felicità. E poi, vi do un consiglio. Cercate di accettare, quando sarete grandi, tutto quello che la vita vi ha regalato. Vedete, solo una persona ogni duecentomila riesce a centrare gli obiettivi che magari ora voi state sognando.» E qui ci ha abbracciati molto intensamente, ha sorriso e ha detto: «C'è un segreto in tutta questa storia: sapere che la vita è comunque una cosa meravigliosa!». Ora qui alle Bocche di Bonifacio è spuntata anche una magnifica luna, che illumina il viso di mia moglie che dorme.