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Poi, arriva il momento di guadare quel fiume infernale. I vecchi, con molta prudenza, compiono il primo passo appoggiando il piede un po' barcollanti.

Il traffico continua all'impazzata, senza dare segno di tregua. A questo punto i vecchi, imbizzarriti come cavalli andalusi, urlano: «Fermatevi, mascalzoni! Giovani maledetti. Stronzi! Andate tutti a fare in culo!», e cercano di abbattere il nemico a bastonate.

Quando raggiungono la sponda opposta si ricompongono, riassumono lo sguardo da bravi nonnini e ricominciano a elargire carezze e sorrisi.

«Che brava persona deve essere questo signore. Un signore veramente buono.»

Non vi fidate, giovani lettori! I vecchi, che io ben conosco perché vivo dall'interno questa condizione, sono delle autentiche carogne. Risentiti come nani, cattivi come tutti i gobbi della terra, parlano male di tutti, disprezzano tutti e odiano, soprattutto, gli altri vecchi.

E pensate che io, quand'ero giovane, dico «quand'ero» con una certa incredulità perché arriva una stagione della vita in cui ti sembra impossibile essere stato giovane, non ricordo d'aver mai provato risentimento per nessuno, o di essere stato invidioso.

A proposito: i vecchi hanno un odore sgradevole, aliti come fogne di Calcutta nella stagione monsonica, sono quasi ciechi, sordi, e dormono poche ore per notte respirando con delle macchine infernali per non morire soffocati.

I più stupidi poi, sono sicuri che il passato sia sempre l'epoca più felice, e vedono il presente come una specie di babilonia triste.

Sono invidiosi come rettili, ma se domandate a uno di questi fetidi vecchi se è mai stato invidioso, ecco che lo vedete fare una lenta panoramica con la testa, da sinistra a destra. E fare una ricerca attenta, quasi per ricordare un segmento della sua vita nel quale, per caso, ha provato invidia per qualcuno. Per poi dire: «Sinceramente no. È strano sa? Ma l'invidia, io proprio non so cosa sia».

Però, a ben guardare, un sottile filo di bava verde gli cola dall'angolo destro della bocca.

D'accordo! Forse esagero raccontandovi la condizione di questi disgraziati, ma come sempre lo faccio per ben figurare. Del resto, mi è sempre piaciuto stupire, apparire, essere considerato un animale diverso.

L'invidia, purtroppo, viene accuratamente nascosta nel più profondo della nostra coscienza. Ma state attenti a nasconderla! L'invidia non è un sentimento ignobile, è sicuramente più intenso dell'odio che si può spegnere prendendo a mannaiate il vostro nemico, e sicuramente più forte dell'amore che si può urlacchiare, dichiarare scrivendo «ti amo» sulle pareti delle case. Diffidate comunque, giovani donne, delle grandi dichiarazioni d'amore dei poeti, quelli che parlano di luna e di stelle e di batticuorismo alla vostra presenza. Vi usano ignominiosamente per abbellirsi. In realtà sono loro stessi l'unico vero oggetto del loro amore.

La verità è che in una cultura competitiva e feroce come la nostra, dove l'unica cosa che conta è apparire, non è possibile non essere invidiosi.

Oggi, purtroppo, crediamo solo nell'Aldiqua. Nell'Aldilà, ormai, credono soltanto quei poveri kamikaze che si fanno saltare in aria sulla striscia di Gaza, pensando che disintegrarsi in mezzo a un gruppo di coloni israeliani sia la strada più breve per raggiungere il paradiso islamico. Ma noi, invece, con la presunzione di avere in mano la verità, viviamo le nostre fedi, certi che la felicità sia il denaro, il successo, gli amici di successo, le donne di successo e le barche di successo. Tutti valori, lo capite, vero? che sono surrogati della vera felicità, quello stato di grazia che io non so indicarvi, perché colpevole, a mia volta, d'aver vissuto tutta la vita alla caccia di quei valori.

L'invidia, allora, che, ripeto, è un sentimento nobile e non ignobile, vi consiglio di curarla e accudirla.

Sapete come? Accettando l'idea di essere, giustamente, invidiosi. Lo suggerisco per il vostro bene, perché l'invidia nascosta e repressa può ^ essere pericolosa.

È causa di emicranie, insonnie, ulcere gastriche e infarti miocardici.

Forse ho esagerato nel raccontarvi la vecchiaia.

Comunque sia, una cosa che adesso, miseramente, voglio, è sentirmi dire: «Ma lei sembra più giovane della sua età! Guardi, veramente, lei ha un animo giovanile e dimostra… cinque… anzi no, dieci anni in meno».

Da un po' di tempo, allora, ho messo in atto una tecnica banalissima: io sono nato il 30 dicembre del 1932 e, da circa un annetto, quando mi si domanda l'età, magari mentre faccio una lastra o una tomografia in ospedale, baro ignobilmente aumentandomi gli anni.

Poco tempo fa, per esempio, mi trovavo all'aeroporto di Fiumicino per prendere il volo diretto a Zurigo; al banco della Swissair c'era una hostess molto giovane e carina che mi ha detto: «Scusi, ma viste le nuove regole antiterrorismo mi dovrebbe favorire un documento».

Non lo avevo, neppure la patente, finita assieme al passaporto in una valigia già spedita. Allora, con tono sinceramente desolato ho risposto: «Ma… mi dispiace… sono in grave difficoltà. Ho già spedito tutto con le valigie».

La ragazza mi ha fatto un magnifico sorriso: «Vabbe'! Va bene così, tanto io la conosco. Però mi scusi, mi dichi la sua data di nascita».

Dietro di me c'erano una decina di stronzi in coda e io, che sono nato il 30/12/32, per il solito, inutile gusto di stupire e di essere paradossale, ho risposto: «30/12/1912».

Novant'anni!

La ragazza non ha fatto una piega, rispondendo soltanto: «La ringrazio». Poi ha chinato la testa e ha scritto la data su un foglio. Io avevo la carta d'imbarco in mano, ma sono rimasto lì, in attesa che quella, rialzando la testa, mi guardasse con stupore e dicesse: «Ma andiamo! Ma è incredibile! Ma lei… veramente sembra ancora un giovanotto!». E speravo che lo dicesse non solo la ragazza, ma anche qualcuno di quegli imbecilli che avevo intorno.

Invece, non uno che mi abbia detto: «Complimenti, lei dimostra meno sa?». Anzi, si è creato subito… non dico un clima di cordoglio, ma di grande pietà per un povero vecchio.

La ragazza si è poi voltata verso una collega e le ha detto una frase tecnica, però urlacchiata: «Arriva un vecchio!».

E allora intorno a me c'è stata una gara di solidarietà: «Venghi! Si appoggi qua, l'aiutiamo noi… le portiamo la borsa!».

Ero imbizzarrito, però mi sono controllato, e ho cercato di scrollarmeli di torno: «Faccio da me!» ruggivo in silenzio. «Grazie, faccio da me!»

Baravo. In realtà avrei avuto voglia di pugnalarli e di urlare: «Non ho bisogno di nulla, farabutti! Lasciatemi in pace!».

Anche sulla scaletta del DC9 della Swissair c'è stata una penosa gara di bontà.

«C'è un vecchio! Arriva un vecchio!»

«Venghi, venghi!» mi hanno detto due giovani hostess in cima alla scaletta.

A questo punto io ho fatto il vecchio, perché fare il vecchio, vi confesso, è una condizione di grande privilegio. Sulla porta dell'aereo, con voce da vecchio, ho domandato: «Dove mi sedio?».

Una hostess, un autentico cesso con naso da rapace, mi ha preso per mano, e mi ha detto: «Si sedia qua in prima fila», sottintendendo: «data la sua condizione». Ho preso posto e, dopo neppure due minuti, il cesso mi ha fulminato: «Si cinturi!».

Ora, io ho un diametro vita di centottanta centimetri e, con tono da fare pena, ho fatto vedere che le cinture non si allacciavano.

«Mi scusi… è troppo corta…»

E il cesso: «Non si preoccupi, ci penso io».

È andata dietro la tenda verde (sapete quelle tende degli aerei che le hostess aprono, chiudono e sbattono sempre con violenza, quasi per nascondere gli orrori in quella specie di antro di Aladino che è l'anticabina dei piloti?), e con voce forte, in modo che sentisse tutto l'aereo, ha urlato: «Prolunga per deforme!».

C'è stata un'agghiacciante risata.