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«Mio Dio, stanno trovando macchie di sangue per tutta la mia cucina!» sussurrò Angela.

Degli uomini al lavoro si potevano distinguere soltanto le sagome e udire i loro movimenti nell’oscurità. Quando si avvicinarono al tavolo che i Wilson avevano comprato da Clara Hodges e che usavano per mangiare in cucina, le sue gambe cominciarono a emanare una luminescenza spettrale.

«Suppongo sia questo il luogo del delitto», disse uno dei tecnici. «Proprio qui, vicino al tavolo.»

Dopo che la polizia se ne fu andata, i Wilson ritornarono davanti al camino, ma erano ancora più depressi di prima e nessuno tentò di rendere l’atmosfera meno pesante.

Angela si sedette sulle pietre del camino, dando le spalle al fuoco, e fissò David e Nikki che si erano accasciati sul divano. Non le piaceva ciò che aveva appena scoperto: la sua cucina conservava le tracce di un orrendo delitto. Quella era la stanza che considerava come il cuore della casa e adesso veniva a sapere che era stata profanata dalla violenza. Era come se sulla sua famiglia gravasse una minaccia diretta.

Condensò il succo dei suoi pensieri in una frase con la quale ruppe improvvisamente il silenzio: «Forse dovremmo traslocare».

«Aspetta un momento», reagì David. «Lo so che sei sconvolta, lo siamo tutti, ma non dobbiamo lasciarci andare all’isterismo.»

«Non sono affatto isterica!»

«Suggerire che dovremmo andarcene a causa di un evento disgraziato che non ci riguarda e che è accaduto quasi un anno fa non è certo una cosa razionale», precisò David.

«È successo nella nostra casa», insistette lei.

«Che è ipotecata dal tetto alle fondamenta. Non possiamo andarcene solo perché ora siamo sconvolti emotivamente.»

«Allora voglio che siano cambiate le serrature, c’è stato un assassino qua dentro.»

«Non abbiamo mai nemmeno chiuso a chiave la porta.»

«D’ora in avanti la chiuderemo e voglio che le serrature siano cambiate.»

«Va bene», acconsentì David. «Cambieremo le serrature.»

Quando Traynor fermò la macchina davanti all’Iron Horse Inn, il suo umor nero era in perfetta sintonia con il tempo: la pioggia aveva riacquistato un’intensità tropicale. Vedendo che l’ombrello non serviva a niente, lo gettò sul sedile posteriore e fece una corsa fino all’ingresso.

Helen, Caldwell e Sherwood erano già seduti in un séparé e Cantor arrivò un attimo dopo di lui. Il barista, Carleton Harris, venne subito a prendere le ordinazioni.

«Grazie per essere venuti tutti, nonostante il tempo inclemente», esordì Traynor. «Purtroppo i recenti eventi richiedono una riunione d’emergenza.»

«Questa non è una riunione formale del comitato esecutivo», sbuffò Cantor. «Non sia così formale.»

Traynor aggrottò la fronte, irritato, e lo fissò sibilando: «Posso continuare?»

«E su, Harold, per la miseria!»

«Come tutti sapete, il cadavere di Hodges è stato ritrovato in circostanze poco piacevoli.»

«Questa storia ha attratto l’attenzione dei media», aggiunse Helen. «È finito in prima pagina sul Boston Globe.»

«Non vorrei che tutta questa pubblicità negativa nuocesse all’ospedale», disse Traynor. «Gli aspetti macabri della morte di Hodges potrebbero attirare ancora di più giornali e reti televisive e l’ultima cosa al mondo che desidero è avere un branco di reporter venuti da fuori a ficcare il naso dappertutto. Grazie soprattutto a Helen Beaton, siamo riusciti a non far trapelare la storia dello stupratore, ma giornalisti di grosse testate potrebbero fiutare lo scandalo, se si fermassero in città. Per noi, sarebbe solo un danno.»

«Ho sentito che la morte di Hodges è stata definitivamente considerata un omicidio», osservò Cantor.

«Certo», sbottò Traynor, «come poteva essere considerata? Il cadavere era murato dietro una parete di cemento. Ma per noi il problema non è se sia stato o non un omicidio, ma se riusciremo a diminuire l’impatto negativo che può avere sulla reputazione dell’ospedale, in particolare per quanto riguarda i rapporti con il CMV.»

«Non vedo come la morte di Hodges possa costituire un problema per l’ospedale», obiettò Sherwood. «Mica lo abbiamo ammazzato noi.»

«Hodges ha gestito l’ospedale per più di vent’anni», gli spiegò Traynor. «Il suo nome è intimamente legato a Bartlet e per di più molte persone sanno che non era contento di come noi stavamo gestendo le cose.»

«Credo che meno l’ospedale si fa sentire su questa storia e meglio è», fu l’opinione di Sherwood.

«Io non sono d’accordo», intervenne Helen. «Secondo me l’ospedale dovrebbe rilasciare una dichiarazione di cordoglio per la sua morte, sottolineando il rilevante debito che ha verso di lui, senza dimenticare le condoglianze per la famiglia.»

«È vero», affermò Cantor. «Ignorare la sua morte sembrerebbe strano.»

«Sono d’accordo anch’io», si unì Caldwell.

Sherwood capitolò. «Se tutti la pensano così, mi associo.»

«Nessuno ha parlato con Robertson?» chiese Traynor.

«Io», rispose Helen. «Non ha individuato nessun sospetto. Spaccone com’è, lo farebbe sapere.»

«Per come ce l’aveva con Hodges, anche lui potrebbe essere un sospetto», affermò Sherwood ridendo.

«Anche lei», gli disse Cantor.

«E anche lei, Cantor», replicò Sherwood.

«Non è una gara, questa», cercò di placarli Traynor.

«Se fosse una gara, lei sarebbe il favorito», gli fece notare Cantor. «Lo sanno tutti che cosa provava nei confronti di Hodges dopo che sua sorella si è suicidata.»

«Smettetela», intervenne Caldwell. «Tanto non importa a nessuno sapere chi è stato.»

«Questo potrebbe non essere del tutto vero», obiettò Traynor. «Al CMV potrebbe importare. Dopotutto, questo sordido affare ha ancora qualche riflesso sull’ospedale e sulla città. Allora, siamo tutti d’accordo per la dichiarazione?»

Gli altri annuirono e Traynor domandò a Helen se poteva pensarci lei.

«Sarò felice di farlo», rispose il direttore generale.

15

Venerdì 22 ottobre

I Wilson passarono una nottataccia. Poco dopo le due, Nikki si mise a gridare, in preda a un altro incubo. David e Angela dovettero svegliarla e rimanere con lei a lungo per calmarla, pentendosi di averla lasciata assistere al lavoro degli investigatori. Per lo meno, quando albeggiò, la giornata si annunciò serena. Dopo cinque giorni di pioggia ininterrotta, il cielo era azzurro, senza nemmeno una nube, e la temperatura era scesa notevolmente, con il risultato che i campi erano ammantati di brina.

La colazione fu consumata quasi in silenzio e Angela si rifiutò di sedersi al tavolo di cucina, preferendo mangiare in piedi accanto all’acquaio.

Lei e David si misero d’accordo d’incontrarsi alle dodici e mezzo per mangiare insieme, poi Angela uscì con Nikki. Nel portarla a scuola, cercò di convincerla a dare al signor Hart un’altra possibilità. «È difficile per un insegnante prendere in mano la classe di un altro, specialmente di una persona speciale come Marjorie.»

«Perché papà non è riuscito a salvarla?» domandò Nikki.

«Ha fatto di tutto, ma non è stato possibile. I medici non sono onnipotenti.»

Nel lasciare la figlia a scuola, Angela le affidò una lettera da consegnare al signor Hart, dov’erano spiegati i suoi problemi di salute e le raccomandò: «Ricordagli che, se deve chiedere qualcosa, deve telefonare a me o al dottor Pilsner».

Arrivata al laboratorio, fu sollevata nel vedere che Wadley non c’era e si immerse nel lavoro, ma fu subito interrotta da una telefonata del medico legale.

«Ho novità interessanti», le comunicò Watt. «Il materiale che abbiamo prelevato da sotto le unghie del dottor Hodges era davvero pelle.»