«Allora non dovresti essere così severo con te stesso.»
«Ma io ne sono responsabile, sono il suo medico.»
«Vorrei poterti aiutare.»
«Grazie.» David allungò una mano attraverso la tavola e strinse quella di Angela. «So che mi sei davvero vicina, ma purtroppo non c’è niente che tu possa fare direttamente, tranne capire perché non mi sento particolarmente coinvolto nel caso Hodges.»
«Ma io non posso lasciarlo perdere.»
«Potrebbe anche essere pericoloso, non sai contro chi ti stai mettendo. Chiunque ha ucciso Hodges non sarà certo entusiasta nel vedere che tu ficchi il naso nella faccenda. Chi lo sa come potrebbe reagire una persona simile? Guarda che cosa ha fatto a Hodges.»
Angela fissò lo sguardo sulle braci incandescenti del caminetto, come ipnotizzata. Era stato il pericolo potenziale che correva la sua famiglia a spingerla ad agire e non aveva pensato che le sue indagini avrebbero potuto aumentare quel pericolo. Eppure, le bastava ripensare alla luminescenza delle tracce di sangue nella sua cucina o alla frattura del cranio di Hodges per sapere che David aveva ragione: era meglio non provocare una persona capace di quel tipo di violenza.
16
Sabato 23 ottobre
Preoccupato com’era per Mary Ann Schiller, David si alzò all’alba e sgattaiolò fuori senza svegliare nessuno. Attraversò il ponte sul Roaring proprio mentre il sole faceva capolino a oriente e si godette la pedalata nell’aria frizzantina, abbracciando con lo sguardo i campi e i rami ricoperti di brina.
Le condizioni di Mary Ann erano stazionarie, ed era comparsa una forte diarrea, curata tempestivamente dal personale dell’unità di terapia intensiva. David riesaminò fin dall’inizio quel caso e non gli vennero nuove idee, allora si decise a telefonare a un suo ex professore, sicuro di non disturbarlo perché sapeva che abitualmente si alzava di buon’ora. Incuriosito dal caso di Mary Ann, il professore si offrì di partire immediatamente per Bartlet e David ne fu commosso.
Mentre lo aspettava, passò in rassegna i pazienti ricoverati e li trovò tutti bene, compreso Jonathan Eakins. Avrebbe potuto dimetterlo, ma volle essere prudente, considerata la sua cardiopatia, e decise di tenerlo un altro giorno in ospedale.
Quando il professore arrivò, ascoltò attentamente le spiegazioni dettagliate di David, come se fosse ancora un suo allievo durante il tirocinio, poi visitò Mary Ann, ma non scoprì nulla di nuovo.
David lo accompagnò all’auto e tornò a casa. Quel sabato non avrebbe giocato a pallacanestro, non aveva voglia di confrontarsi con l’aggressività e la competitività di Kevin.
Trovò Angela e Nikki che stavano facendo colazione e decise di dedicarsi alla casa. Scese in cantina, tirò via i nastri di plastica messi dalla polizia e portò di sopra i doppi vetri, passando dalla scala che dava direttamente sul cortile posteriore.
Quando Nikki ebbe terminato i suoi esercizi respiratori, lo raggiunse e, con aria complice, gli domandò: «Quand’è che facciamo…»
Lui si portò l’indice alle labbra, accennando con la testa verso la finestra della cucina, da cui Angela avrebbe potuto sentire e disse: «Appena abbiamo finito». Aveva terminato di applicare i doppi vetri a tutto il primo piano e disse a Nikki che doveva mettere via i telai vuoti.
Lei lo aiutò volentieri e, dopo pochi minuti, i telai erano tutti accatastati di fianco alle scale della cantina, nello stesso punto dove stavano prima i doppi vetri. Poi padre e figlia annunciarono ad Angela che sarebbero andati a fare compere in città e balzarono ognuno sulla propria bicicletta.
Angela li guardò allontanarsi, contenta di vederli così allegri, ma già dopo qualche minuto cominciò a sentirsi a disagio, da sola in quella grande casa. Ogni scricchiolio la faceva sobbalzare e non riusciva a concentrarsi sul libro che stava leggendo. Si alzò, chiuse a chiave tutte le porte e, nell’entrare in cucina, non poté fare a meno di immaginare le pareti coperte di sangue.
«Non posso continuare a vivere così», disse ad alta voce. «Ma che cosa devo fare?»
Sfiorò il piano del tavolo, chiedendosi se le gambe avrebbero ancora reagito al Luminol, adesso che le aveva strofinate vigorosamente con il disinfettante più potente che aveva trovato dal signor Staley. No, non le piaceva l’idea di un assassino in libertà, però sapeva anche che David aveva ragione nel dire che era pericoloso ficcare il naso in quell’omicidio. Si mise a sfogliare l’elenco telefonico alla voce «investigatori privati». Trovò parecchie ditte di vigilanza, ma anche qualche investigatore, fra cui un certo Phil Calhoun, a Rutland, cittadina che si trovava poco lontano da Bartlet.
Senza pensarci due volte, Angela compose il numero e le rispose una voce d’uomo rauca e decisa. Quasi balbettando, disse che voleva che si indagasse su un caso di omicidio.
«Interessante», commentò Calhoun.
Angela cercò d’immaginarsi come fosse la persona che stava all’altra estremità del filo. A giudicare dalla voce, doveva essere un uomo robusto, dalla spalle larghe, con i capelli scuri e magari anche i baffi.
«Ci potremmo incontrare», gli propose.
«Vuole che venga io lì o preferisce venire lei?»
Angela ci pensò per un attimo. Non voleva che David scoprisse che cosa stava combinando, non ancora.
«Verrò io.»
«Allora l’aspetto», disse Calhoun, dopo averle spiegato come arrivare da lui.
Angela scrisse un biglietto per David e Nikki, in cui annunciava di essere andata a fare la spesa, e corse via.
Trovò facilmente la casa di Calhoun, che fungeva da studio e da abitazione. Nel vialetto d’ingresso era parcheggiato un camioncino semicabinato con la rastrelliera per il fucile dietro la cabina. Sul paraurti posteriore c’era un adesivo: QUESTO VEICOLO È SALITO SUL MONTE WASHINGTON.
Calhoun non corrispondeva affatto all’immagine romantica dell’investigatore privato che si era fatta Angela. Era sì alto e robusto, ma eccessivamente sovrappeso e inoltre era più anziano di quanto la voce rivelasse. Il viso aveva un colorito terreo, ma gli occhi erano vivaci. Una camicia scozzese, un paio di pantaloni da lavoro retti da bretelle e un berretto da baseball con il nome di una ditta scritto sulla visiera, costituivano il suo semplice abbigliamento.
«Le dà fastidio se fumo?» chiese ad Angela, dopo averla fatta accomodare su un divano piuttosto liso e avere preso in mano una scatola di sigari.
«Siamo a casa sua», rispose lei.
«Allora, questo omicidio?»
Angela riassunse i fatti di cui era a conoscenza.
«Mi pare un caso interessante», commentò Calhoun. «Sarei felice di occuparmene, con compenso orario. Se vuole sapere qualcosa di me, sono un poliziotto statale in pensione, vedovo. Ha domande da farmi?»
Angela lo soppesò. Era un tipo laconico, come quasi tutti gli abitanti del New England, e pareva schietto, cosa che lei apprezzò. Oltre a questo, non aveva modo di giudicarlo o di valutare la sua competenza.
«Come mai ha lasciato la polizia?» gli chiese.
«Pensionamento obbligatorio.»
«Ha mai seguito un caso di omicidio?»
«Non da civile.»
«Che genere di casi segue, di solito?»
«Problemi matrimoniali, furti nei negozi… quel genere di cose.»
«Pensa che saprebbe cavarsela con questo caso?»
«Non c’è dubbio», affermò Calhoun. «Io sono cresciuto in una cittadina del Vermont molto simile a Bartlet. Ho familiarità con l’ambiente, conosco persino alcune delle persone che ci vivono. So come sono le rivalità che covano per anni sotto la cenere e com’è la mentalità della gente. Sono l’uomo adatto per questo lavoro, perché posso porre domande senza farmi notare.»