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Calhoun era stupito dalla lunghezza della lista, ma non dispiaciuto: essendo pagato a ore, avrebbe guadagnato di più.

In Main Street c’era una farmacia, dove entrò a fare quattro chiacchiere con il farmacista, Harley Strombell, fratello di un suo ex collega. Anche Harley, come Jane, capì subito che le sue domande avevano uno scopo professionale, ma promise di essere discreto. Aggiunse qualche altro nome alla lista che Calhoun aveva già in mano, fra cui il proprio, quello di Ned Banks, proprietario della fabbrica di stampelle, quelli di Harold Traynor e di Helen Beaton.

«Perché Hodges non le piaceva?» domandò Calhoun.

«Una questione personale», rispose il farmacista e raccontò di quando Hodges, senza il minimo preavviso e senza una spiegazione, gli aveva fatto chiudere la piccola succursale della farmacia che gestiva all’ interno dell’ ospedale.

«Capisco che fosse necessario per l’espansione dell’ospedale avere la propria farmacia», aggiunse. «Ma Hodges ha gestito la cosa proprio male.»

Nel lasciare la farmacia, Calhoun si domandò di quanto si sarebbe ancora allungata quella lista, prima che potesse cominciare a circoscrivere le sue indagini su poche persone veramente sospette. Era arrivato a venticinque nomi e doveva ancora attivare altri contatti utili.

Dal momento che i negozi stavano chiudendo, si diresse all’Iron Horse Inn, il ristorante preferito di sua moglie, dove aveva festeggiato con lei anniversari di matrimonio e compleanni. Appena vi mise piede, si sentì sommergere da piacevoli ricordi.

Carleton Harris, il barista, lo riconobbe subito e gli versò un bicchierino di whisky, poi si riempì un boccale di birra per brindare insieme.

«Stai lavorando a qualcosa d’interessante in questo periodo?» gli domandò dopo avere bevuto.

«Penso di sì», rispose Calhoun, chinandosi sul bancone. Carleton fece istintivamente la stessa cosa.

Mentre si preparavano per andare a letto, Angela non disse una sola parola a David ed evitò persino di guardarlo. Lui, però, non sopportava i musi lunghi e cercò di chiarire le cose.

«L’ho capito che sei ancora arrabbiata con me per lo scherzo delle maschere», le disse. «Non potremmo parlarne?»

«Che cosa ti fa pensare che sia arrabbiata?»

«Dai, Angela. Mi stai rifilando la punizione del silenzio da quando Nikki è andata a letto.»

«Sono stata male nel vederti fare una cosa simile, quando sapevi benissimo come sono rimasta sconvolta per quel cadavere. Pensavo che fossi più sensibile.»

«Ti ho detto che mi dispiace. Non avrei mai pensato che ti saresti spaventata così tanto e poi non era solo uno scherzo per divertirsi. L’ho fatto per Nikki.»

«Che cosa vuoi dire?»

«Con gli incubi che aveva, ho pensato di aiutarla a superare questo momento con un po’ di humour. Era un trucco per farla scendere di nuovo in cantina senza che avesse paura e ha funzionato: era talmente eccitata all’idea di farti una sorpresa che non ha avuto paura.»

«Potevi almeno avvertirmi.»

«Ripeto: non pensavo che ti saresti spaventata così e poi, era la cospirazione alle tue spalle a divertire Nikki.»

Angela capì che David era colto dai rimorsi e la sua collera svanì del tutto. Appoggiò lo spazzolino e gli andò vicino, abbracciandolo. «Mi dispiace di avere reagito in quel modo», mormorò. «Devo essere stressata. Ti amo.»

«Anch’io ti amo. Avrei potuto dirtelo e tu avresti potuto far finta di non saperlo, ma non ci ho pensato. Ultimamente sono distratto e stressato, anch’io. Mary Ann Schiller sta per morire, lo so.»

«Suvvia, non si può mai esserne sicuri.»

«Non so che cosa fare», ammise David, e poi raccontò alla moglie del suo ex professore che era venuto espressamente da Boston e che non aveva scoperto niente.

«Sei ancora depresso?»

«Sì. Stamattina mi sono svegliato alle quattro e un quarto e non sono più riuscito a dormire. Continuo a pensare che ci sia qualcosa che mi sfugge nei miei pazienti; forse sono colpiti da un virus sconosciuto, ma è come se avessi le mani legate. È frustrante dover pensare a Kelley e al CMV ogni volta che ordino un’analisi di laboratorio o un consulto e dover fare in fretta quando visito i pazienti in ambulatorio.»

«Sei costretto a visitare più pazienti?» domandò Angela, mentre dal bagno passavano in camera da letto.

David annuì. «Il CMV fa forti pressioni su di me tramite Kelley e così devo smettere di parlare con i miei pazienti e rispondere alle loro domande. Non è difficile farlo, perché per noi medici è facile trattarli dall’alto in basso, ma a me non piace. Molti indizi per arrivare alla diagnosi giusta vengono proprio dai commenti spontanei che i pazienti fanno quando passiamo un po’ di tempo con loro.»

«Devo confessarti una cosa», disse Angela all’improvviso.

«Di che cosa stai parlando?»

«Anch’io oggi ho fatto qualcosa di cui avrei dovuto parlarti, prima di farla.»

«Che cosa?»

Scivolando sotto le coperte, Angela rivelò a David di avere ingaggiato Calhoun per indagare sull’omicidio di Hodges.

David la fissò, poi distolse lo sguardo senza dire niente e lei capì che era in collera.

«Ho seguito il tuo suggerimento; mi hai detto che era pericoloso indagare per conto mio», gli disse. «Ora ci pensa un professionista.»

«Che cosa lo rende un professionista?»

«È un poliziotto in pensione.»

«Speravo che avresti smesso con gli isterismi, riguardo all’affare Hodges. Assoldare un investigatore! È buttare soldi al vento.»

«No, se per me è importante», ribatté Angela. «E dovrebbe essere importante anche per te, se vuoi che io continui a vivere in questa casa.»

David sospirò, spense la luce sul proprio comodino e si tenne il più lontano possibile dalla moglie.

Lei sapeva che avrebbe dovuto avvertirlo prima di fare un passo simile. Sospirò anche lei e spense la luce. Forse non aveva agito nel modo giusto, ma restava convinta che ingaggiare Calhoun era stata una buona idea.

Si era appena spenta la luce, quando sentirono diversi colpi piuttosto forti, seguiti dall’abbaiare furioso di Rusty.

Entrambi riaccesero le lampade e si alzarono, poi corsero in corridoio, dove David accese la luce. Rusty era in cima alle scale e guardava verso il piano terreno immerso nell’ombra, ringhiando con tutta la ferocia di cui era capace.

«Hai controllato che tutte le porte fossero chiuse a chiave?» domandò Angela al marito.

«Sì», rispose lui e si avvicinò a Rusty. Lo accarezzò sulla testa e gli chiese: «Che cosa c’è, cucciolone?»

Rusty scese le scale e si mise ad abbaiare verso la porta d’ingresso. Mentre Angela rimaneva affacciata alla ringhiera, al piano di sopra, David scese e aprì la porta.

«Sta’ attento», lo ammonì lei.

«Perché non metti una di quelle maschere di Halloween?» le disse David. «Chiunque sia, si spaventerà a morte.»

«Smettila di scherzare, non c’è niente di divertente.»

David uscì sulla veranda, tenendo Rusty per il collare. Il cielo era punteggiato di stelle e il quarto di luna era sufficiente a illuminare lo spazio intorno alla casa, almeno fino alla strada. Non c’era niente di strano.

David si voltò per rientrare in casa e notò che sulla porta era stato inchiodato un biglietto scritto a macchina: PENSATE AI FATTI VOSTRI. DIMENTICATE HODGES.

Quando ritornò di sopra, lo mostrò ad Angela che disse: «Lo porterò alla polizia».

«Nemmeno per sogno! Magari viene proprio da lì», replicò lui. Tornò a letto e spense la luce, mentre Rusty si diresse verso la camera di Nikki, che per fortuna non si era svegliata.