«Sì, certo.» David strinse la mano a entrambi. Loro non si preoccuparono di alzarsi.
Kelley si sedette e David lo imitò, mentre intanto si guardava intorno. Si aspettava guai da parte di Kelley e pensava che fosse stata l’autopsia a Mary Ann a scatenarli. Sperava solo che Angela non ne rimanesse coinvolta.
«Voglio parlarle con franchezza», cominciò Kelley. «Lei si domanderà come mai siamo già al corrente del modo in cui si sta occupando di Jonathan Eakins.»
David rimase sbalordito: come facevano quei tre a sapere di Jonathan, quando lui aveva appena iniziato le indagini per i suoi sintomi?
«Ci ha telefonato la coordinatrice della sezione ottimizzazione risorse», spiegò Kelley. «Era stata avvertita dalle infermiere del piano, in base a istruzioni ricevute in precedenza. Il controllo di come si utilizzano le risorse è vitale e sentiamo la necessità d’intervenire. Come le ho già detto, lei usa troppi consulti, specialmente al di fuori del CMV.»
«E troppe analisi di laboratorio», aggiunse Helen Beaton.
«Anche troppi test diagnostici», infierì Caldwell.
David fissò incredulo gli amministratori e tutti e tre ricambiarono impunemente il suo sguardo. Erano un tribunale che lo stava giudicando, come l’Inquisizione. Lo stavano giudicando per eresia medica economica e nessuno dei suoi inquisitori era un medico.
«Vorremmo ricordarle che il paziente è stato curato per un cancro metastasico alla prostata», si premurò di ricordargli Kelley.
«Temiamo che lei sia stato troppo prodigo nell’ordinare analisi e consulti», lo accusò Helen Beaton.
«E anche con i tre pazienti precedenti, che erano chiaramente terminali, ha fatto un uso eccessivo delle risorse», le diede man forte Caldwell.
David stava lottando con le proprie emozioni. Poiché si stava già interrogando sulle proprie capacità di medico, in seguito alla morte di tre suoi pazienti, era estremamente vulnerabile alle critiche degli amministratori. «La mia fedeltà va ai pazienti», riuscì a dire con voce flebile, «non a un’istituzione.»
«Possiamo apprezzare la sua filosofia», ribatté Helen, «ma è stata proprio questa filosofia a portare alla crisi economica della sanità. Deve allargare i suoi orizzonti. La nostra fedeltà deve andare a un’intera comunità di pazienti, non si può fare tutto per tutti. Ci vuole discernimento per un uso razionale delle risorse.»
«David, la questione è che l’uso che lei fa dei servizi collaterali eccede di gran lunga la media dei suoi colleghi», gli ricordò Kelley.
David non era sicuro di quello che doveva dire. «La mia preoccupazione in questi casi particolari è che temo lo svilupparsi di una malattia infettiva per adesso a noi sconosciuta. Se fosse davvero così, sarebbe disastroso non diagnosticarla in tempo.»
I tre amministratori si guardarono senza parlare, poi Helen Beaton alzò le spalle e ruppe il silenzio. «Questo è fuori dalle mie competenze. Sono la prima ad ammetterlo.»
«Stessa cosa per me», aggiunse Caldwell.
«Ma in questo momento abbiamo a disposizione uno specialista delle malattie infettive. Visto che il CMV lo deve pagare comunque, chiediamogli un’opinione», suggerì Kelley e andò subito a cercarlo.
Ritornò non solo con il dottor Hasselbaum, ma anche con il dottor Mieslich. Al primo chiese subito se pensava che i tre pazienti deceduti in quei giorni potessero soffrire di una malattia infettiva sconosciuta.
«Sinceramente ne dubito», rispose lui. «Non ci sono prove evidenti in questo senso. Tutti e tre avevano la polmonite, che secondo me è stata causata da una debilitazione generale, e in tutti e tre i casi l’agente patogeno era conosciuto.»
Kelley domandò a entrambi gli specialisti che tipo di cura pensavano adatta a Jonathan Eakins.
«Puramente sintomatica», rispose l’oncologo e il dottor Hasselbaum si dichiarò d’accordo.
«Tutti e due avete visto la lunga lista di analisi diagnostiche richieste dal dottor Wilson», li interpellò ancora Kelley. «Pensate che qualcuna di quelle analisi sia fondamentale, a questo punto?»
I due specialisti si scambiarono uno sguardo. Hasselbaum fu il primo a parlare: «Io aspetterei e vedrei che cosa succede. Magari domani il paziente potrebbe stare bene».
«Sono d’accordo», si associò il dottor Mieslich.
«Bene, penso proprio che siamo d’accordo anche noi», affermò Kelley. «Lei, dottor Wilson, che cosa ne dice?»
La riunione terminò fra strette di mano, sorrisi e apparente cordialità, ma David si sentiva confuso, umiliato e anche depresso. Tornò nella stanza delle infermiere e cancellò quasi tutte le prescrizioni che aveva ordinato per Jonathan, poi passò a dargli un’occhiata.
«Grazie per avere fatto venire così tanta gente a visitarmi», lo accolse lui.
«Come si sente?»
«Non so, forse un pochino meglio.»
David ritornò nella stanza dell’ autopsia proprio mentre sua moglie stava pulendo il tavolo. L’aiutò a riportare il corpo di Mary Ann nell’obitorio e capì che Angela non era desiderosa di parlare delle sue scoperte. Le dovette tirare fuori le risposte con le tenaglie.
«Non ho scoperto un granché.»
«Niente al cervello?»
«Pulito. Però dobbiamo aspettare che cosa dice il microscopio.»
«Tumori?»
«Mi pare che ce ne fosse uno piccolo all’addome, ma anche per quello occorre aspettare la risposta del microscopio.»
«Così, non c’è nulla che ti è balzato agli occhi come possibile causa di morte?» insistette David.
«Aveva la polmonite.»
Lui annuì. Quello lo sapeva già.
«Mi spiace di non avere trovato altro», mormorò Angela.
«Ti sono grato per avere provato.»
Mentre tornavano a casa, Angela si accorse che il marito era depresso e cercò di capire se c’erano altri motivi, oltre gli scarsi risultati dell’autopsia. Quando lui le riferì dell’incontro con gli amministratori dell’ospedale, divenne livida. «Gli amministratori non dovrebbero immischiarsi nel trattamento dei malati!» esclamò.
«Non so», mormorò David con un sospiro. «Per un verso hanno ragione. Il costo dell’assistenza sanitaria è davvero un problema, ma quando ti trovi davanti un paziente in carne e ossa, ti senti confuso. Gli specialisti che avevo chiamato si sono schierati con loro.»
A cena, David non toccò cibo e, a peggiorare le cose, Nikki si lamentò di non stare bene. Si sentiva congestionata e Angela le fece fare gli esercizi respiratori e la mise a letto.
Quando ritornò al piano di sotto, vide che David era davanti al televisore, ma non lo guardava, fissava il fuoco.
«Sarà meglio tenere Nikki a casa, domani», gli disse e lui non rispose. Angela lo fissò a lungo. Al momento, non sapeva se doveva preoccuparsi di più per Nikki o per lui.
18
Lunedì 25 ottobre
Angela aprì gli occhi al suono della sveglia e si accorse che David non era accanto a lei. Lo trovò seduto nel salottino.
«È tanto che sei alzato?» gli domandò, cercando di avere un tono allegro.
«Dalle quattro, ma non allarmarti. Penso di sentirmi un po’ meglio oggi.» David le rivolse un mezzo sorriso.
Per fortuna non c’era da preoccuparsi per Nikki: aveva dormito bene, senza congestione e senza incubi. Angela dovette ammettere con se stessa che lo scherzo delle maschere ideato da David era servito.
Era stata lei, però, ad avere avuto un incubo. Aveva sognato di rientrare in casa con i sacchetti della spesa e di trovare la cucina inondata di sangue. Non era sangue secco, ma fresco e colava giù dalle pareti, formando delle pozze sul pavimento.
Dopo gli esercizi respiratori, Angela auscultò il petto di Nikki. Era tutto a posto, allora le disse che poteva andare a scuola. Anche se il cielo coperto prometteva pioggia, David insistette per recarsi al lavoro in bicicletta e Angela non cercò di dissuaderlo, contenta che lui mostrasse entusiasmo almeno per quell’attività fisica.