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Fu soltanto dopo che si furono stretti la mano, quando Calhoun disse di essere un ex poliziotto, che Traynor si ricordò ed esclamò: «Lei era un amico del fratello di Harley Strombell!»

Calhoun annuì e si complimentò per la sua memoria.

«Non dimentico mai una faccia», si vantò Traynor.

«Vorrei farle alcune domande sul dottor Hodges», entrò subito in argomento l’investigatore.

Traynor giocherellò nervosamente con il martelletto che usava per le riunioni. Non gli piaceva rispondere alle domande su Hodges, ma temeva che sarebbe stato peggio non farlo.

«Si tratta di un suo interesse personale o professionale?»

«Tutti e due.»

«È stato ingaggiato da qualcuno?»

«Diciamo che è così.»

«Da chi?»

«Questo non posso dirlo. Come avvocato, sono sicuro che capirà.»

«Se si aspetta che io collabori, allora deve sbottonarsi un pochino anche lei.»

Calhoun tirò fuori la sua scatola di sigari e chiese se poteva fumare. Ottenuto il permesso di Traynor, estrasse un sigaro e ne offrì uno anche a lui, che però rifiutò. Accese senza fretta e tirò la prima boccata, facendo poi salire il fumo verso il soffitto, quindi parlò: «La famiglia vorrebbe scoprire chi è il responsabile del brutale omicidio del dottore».

«È comprensibile», commentò Traynor. «Mi dà la sua parola che, qualsiasi cosa dica, posso contare sulla sua discrezione?»

«Sicuramente.»

«Va bene. Che cosa mi vuole chiedere?»

«Sto facendo l’elenco delle persone che detestavano Dennis Hodges. Ce n’è qualcuna che mi consiglia di aggiungere?»

«Mezza città», rispose Traynor, con una risata. «Ma non mi sento a mio agio a fare dei nomi.»

«Ho saputo che lei ha visto Hodges la notte del suo omicidio.»

«Hodges aveva fatto irruzione in una riunione che tenevamo all’ospedale. Era una sgradevole abitudine a cui indulgeva troppo spesso.»

«Sembra che fosse molto in collera.»

«Come l’ha saputo?»

«Ho parlato con parecchie persone in città.»

«Hodges era sempre in collera. Era cronicamente insoddisfatto del modo in cui gestiamo l’ospedale. Aveva un modo di pensare antiquato, che non prendeva in considerazione i nuovi concetti di gestione manageriale dell’assistenza e di competizione controllata. Non capiva.»

«Credo anch’io di non capirne molto, di queste cose», ammise Calhoun.

«Farebbe bene a imparare», lo ammonì Traynor, «perché è la realtà del giorno d’oggi. Da quale ente mutualistico è assistito lei?»

«Dal CMV.»

«Ecco, vede? Gestione manageriale dell’assistenza. Ne fa già parte e non lo sa nemmeno.»

«Ho sentito che quando Hodges ha interrotto la vostra riunione, aveva con sé alcune cartelle cliniche dell’ospedale.»

«Parti di cartelle cliniche», precisò Traynor. «Ma non le ho guardate. Avevamo stabilito di fare colazione insieme il giorno dopo per discutere di qualsiasi cosa avesse in mente. Riguardava qualcuno dei suoi ex pazienti. Si lamentava sempre che non ottenevano il trattamento da vip e, francamente, era un gran rompiscatole.»

«Il dottor Hodges non importunava mai il nuovo amministratore dell’ospedale, Helen Beaton?»

«Oh sì! Non ci pensava due volte a piombarle in ufficio in qualsiasi momento. Anzi, Helen Beaton era probabilmente la persona che soffriva di più delle intemperanze di Hodges. Dopotutto, occupava la posizione che un tempo era del vecchio e chi sapeva fare le cose meglio di lui?»

«Ho saputo anche che si è imbattuto in Hodges una seconda volta, quella sera», continuò Calhoun.

«Purtroppo! All’Iron Horse. Di solito andiamo lì, dopo le nostre riunioni all’ospedale. Quella notte Hodges era lì, beveva come al solito ed era bellicoso come al solito.»

«E ha scambiato parole pesanti con Robertson?»

«Sì.»

«E con Sherwood?»

«Con chi ha parlato, lei?»

«Con un certo numero di persone. Ho saputo che anche il dottor Cantor ha detto cose spiacevoli su di lui.»

«Questo non me lo ricordo, ma erano anni che Cantor non poteva soffrire il vecchio.»

«Come mai?»

«Hodges aveva rilevato i servizi radiologia e patologia in modo che li gestisse direttamente l’ospedale, per accrescere le entrate.»

«E lei? Anche lei non stravedeva per il dottor Hodges.»

«Gliel’ho già detto, era un rompiscatole. Era già difficile gestire l’ospedale senza le sue continue interferenze.»

«Ho sentito che c’era anche qualcosa di personale», insistette Calhoun. «Qualcosa che riguarda sua sorella.»

«Accidenti, le sue fonti sono buone.»

«Solo pettegolezzi cittadini.»

«Ha ragione», ammise Traynor. «Non è un segreto. Mia sorella Sunny si è suicidata dopo che Hodges ritirò a suo marito la convenzione con l’ospedale.»

«E ne dà la colpa a Hodges?»

«Più allora che adesso. Il marito di Sunny era un ubriacone. Hodges avrebbe dovuto mandarlo via prima che avesse la possibilità di fare danni.»

«Un’ultima domanda. Sa chi ha ucciso il dottor Hodges?»

Traynor rise, poi scosse la testa. «Non ne ho la più pallida idea e non me ne importa. L’unica cosa che m’interessa è l’effetto che la sua morte potrebbe avere sull’ospedale.»

Calhoun si alzò e spense il sigaro nel portacenere che si trovava sulla scrivania.

«Mi faccia un favore», gli disse Traynor. «Io le ho reso le cose facili. Tutto ciò che le chiedo è di non creare un pandemonio intorno al caso Hodges. Se scopre chi è stato e decide di rivelarlo, me lo faccia sapere, in maniera che l’ospedale possa prendere qualche precauzione per quel che riguarda la pubblicità che ne può derivare, soprattutto se l’assassino ha qualcosa a che fare con l’ospedale. Dobbiamo già risolvere un altro problema che potrebbe danneggiarci e non abbiamo bisogno di essere presi alla sprovvista da qualche altra cosa.»

«Mi sembra ragionevole», concordò Calhoun.

Traynor lo accompagnò alla porta, poi tornò alla scrivania e telefonò a Clara Hodges. Dopo i convenevoli di rito arrivò alla questione che lo interessava.

«Volevo chiederti se conosci un certo Phil Calhoun.»

«No, direi di no. Perché me lo domandi?»

«È un investigatore privato che è venuto a farmi qualche domanda su Dennis. Mi ha fatto capire che è stato ingaggiato dalla famiglia.»

«Io di certo non ho assunto nessun investigatore privato e non credo neppure che lo abbia fatto qualcun altro della famiglia, senza che io lo venissi a sapere.»

«Ciò che temevo. Se vieni a sapere qualcosa su di lui, fammelo sapere, per favore.»

«Ci puoi contare.»

Traynor riattaccò e sospirò. Aveva la sgradevole sensazione che i suoi guai non fossero finiti. Persino dalla tomba, Hodges era una maledizione.

«Ha un’altra paziente», annunciò Susan, mentre porgeva la cartella clinica a David. «Le ho detto che poteva passare. È un’infermiera del secondo piano.»

David prese la cartella ed entrò nella saletta delle visite. L’infermiera era Beverly Hopkins e la conosceva solo di vista, essendo del turno di notte.

«Qual è il problema?» le domandò.

Beverly era una donna alta e snella con i capelli castano chiari. Era seduta sul lettino e reggeva una vaschetta di acciaio che Susan le aveva dato nel caso le venisse da vomitare. Era molto pallida.

«Mi spiace disturbarla, dottor Wilson, penso sia influenza. Me ne sarei rimasta semplicemente a letto, ma sa che dobbiamo venire a farci visitare, se rimaniamo a casa per malattia.»

«Ma si figuri, nessun disturbo, sono qui per questo. Quali sono i suoi sintomi?»

I sintomi erano simili a quelli delle altre quattro infermiere: malessere generale, lievi disturbi gastrointestinali, febbricola. David concordò sul fatto che probabilmente si trattava di influenza e la mandò a casa perché si mettesse a letto, raccomandandole di bere molto e di prendere l’aspirina, se era necessario.