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Caricò il fucile e si voltò di scatto, tenendolo all’altezza della vita, ma non vide nessuno. Il parcheggio era completamente deserto. L’uomo non l’aveva inseguita e ciò che aveva udito era stato soltanto l’eco dei propri passi.

«Non può essere un po’ più precisa?» chiese Robertson. «’Un tipo alto’. Che razza di descrizione è? Come facciamo a trovare quel tizio, se voi donne non lo sapete descrivere meglio?»

«Era buio.» Angela faceva fatica a tenere a bada le sue emozioni. «Ed è successo molto in fretta. Aveva gli occhiali da sci.»

«Che cosa diavolo faceva lì in mezzo agli alberi a mezzanotte passata, comunque? Diavolo, tutte voi infermiere siete state avvertite!»

«Io non sono un’infermiera, sono un medico.»

«Oh, ragazzi!» Rise Robertson. «Crede che allo stupratore importi se lei è un’infermiera o una dottoressa?»

«Volevo dire che non sono stata avvertita. Le infermiere probabilmente lo sono state, ma a noi medici nessuno ha detto niente.»

«Be’ avrebbe dovuto starci attenta lo stesso.»

«Sta cercando di dirmi che questa aggressione è stata colpa mia?»

Robertson ignorò la sua domanda. «Che genere di bastone aveva?»

«Non ne ho idea. Le ho detto che era buio.»

Robertson scosse la testa e guardò il suo assistente. «Hai detto che Bill è appena stato là?»

«Sì», gli rispose lui. «Non più di dieci minuti prima che avvenisse l’aggressione aveva fatto un giro con la macchina in tutti e due i parcheggi.»

«Cristo, non so che cosa fare», disse Robertson. Guardò Angela e alzò le spalle. «Se almeno voi donne collaboraste un po’ di più, non avremmo questi problemi.»

«Posso usare il telefono?»

Angela chiamò David e dalla voce che aveva capì che si era addormentato. Gli disse che sarebbe stata a casa entro una decina di minuti.

«Ehi, ma è l’una! Che cosa stai facendo?»

«Te lo dirò quando arrivo a casa.»

Dopo avere riattaccato, Angela si rivolse a Robertson e gli chiese in tono stizzoso: «Me ne posso andare, adesso?»

«Naturalmente», le rispose lui. «Ma se le viene in mente qualche altra cosa, ce lo faccia sapere. Vuole che il mio assistente l’accompagni a casa?»

«Credo di potermela cavare da sola», rispose lei.

Dieci minuti dopo, si stringeva convulsamente al marito sulla porta di casa. Lui, già allarmato per l’ora tarda, era rimasto scioccato nel vederla scendere dalla macchina stringendo una valigetta in una mano e un fucile nell’altra, ma non le aveva detto niente, per il momento, l’aveva abbracciata e basta.

Quando finalmente Angela riuscì a staccarsi dal marito, si tolse il cappotto imbrattato di fango e portò valigetta e fucile nel salottino. David la seguì e gettò un’occhiata all’arma, ma ancora non disse nulla al riguardo. Angela si sedette sul divano, si strinse le ginocchia fra le braccia e sollevò lo sguardo su di lui.

«Vorrei riuscire a mantenermi calma», gli disse con voce smorta. «Mi porteresti un bicchiere di vino?»

Lui l’accontentò immediatamente e le domandò se voleva anche mangiare qualcosa, ma lei scosse la testa. Sorseggiò il vino tenendo il bicchiere con tutte e due le mani, come se temesse di lasciarlo cadere, poi cominciò a raccontare dell’aggressione. Ben presto, però, si lasciò sopraffare dall’emozione e scoppiò in lacrime. Per almeno cinque minuti non riuscì a parlare e David l’abbracciò, cercando di calmarla. Era affranto e dava a se stesso la colpa dell’accaduto: non avrebbe dovuto lasciarla lavorare fino a un’ora così tarda.

Alla fine, Angela riuscì a dominarsi e finì il suo racconto. Quando arrivò alla parte che riguardava Robertson, si sentì invadere dalla collera.

«Quell’uomo è incredibile!» esclamò. «Mi rende furibonda. Si è comportato come se la colpa fosse mia.»

«È un idiota», commentò David.

Angela prese la valigetta e gliela porse, mentre si asciugava le lacrime. «Tutta questa fatica e i vetrini non hanno grandi cose da mostrare. Non c’era tumore al cervello, soltanto un po’ d’infiammazione dei tessuti perivascolari, ma non era specifica. Qualche neurone appariva danneggiato, ma potrebbe trattarsi di un mutamento post-mortem.»

«Nessun indizio di una malattia infettiva sistemica?»

Angela scosse la testa. «Ho portato a casa i vetrini, così puoi guardare tu stesso, se vuoi.»

«Vedo che hai un fucile», disse finalmente David.

«Ed è anche carico», lo avvertì Angela, «quindi stai attento e non preoccuparti. Domani ne parlerò con Nikki.»

Un botto e un fragore di vetri rotti li fecero sobbalzare tutti e due. Rusty si mise ad abbaiare dalla camera di Nikki, poi scese di corsa le scale. David prese il fucile.

«La sicura è proprio sopra il grilletto», gli disse Angela e lo seguì nel soggiorno, dove lui accese subito la luce.

Era stata sfondata una finestra e si erano rotti quattro vetri e i listelli che li reggevano. A terra c’era un mattone a cui era attaccato un biglietto identico a quello ricevuto la notte precedente.

«Chiamo la polizia», decise Angela. «Questo è troppo.»

Mentre aspettavano che arrivasse, David fece sedere la moglie e le chiese se quel giorno avesse fatto qualcosa che potesse collegarsi con il caso Hodges.

«No», disse Angela, sulla difensiva. «Be’, ho ricevuto una telefonata dal medico legale.»

«Hai parlato di Hodges con qualcuno?» insistette lui.

«Mentre parlavo con Robertson ho fatto il suo nome.»

«Stanotte?» chiese David, sorpreso.

«Oggi pomeriggio. Sono passata dalla stazione di polizia per parlare con lui, dopo aver comperato il fucile.»

«Ma perché? Dopo quello che è successo ieri davanti alla chiesa, mi sorprende che tu abbia ancora il coraggio di andarlo a trovare.»

«Mi volevo scusare, ma è stato un errore. Robertson non ha intenzione di fare niente per l’omicidio di Hodges.»

«Angela», implorò David, «dobbiamo smetterla di impicciarci di questa faccenda, non ne vale la pena. Un biglietto sulla porta è una cosa, un mattone tirato attraverso la finestra comincia a essere già un’altra cosa.»

Videro avvicinarsi i fari di un’automobile. «Per fortuna non è Robertson», commentò Angela quando ne vide scendere un agente.

Il poliziotto si chiamava Bill Morrison e fu subito evidente che non provava un grande interesse per l’incidente avvenuto a casa Wilson, infatti faceva soltanto le domande necessarie a riempire il verbale. Quando fu sul punto di andarsene, Angela gli chiese se pensava di prendere con sé il mattone.

«Non pensavo di prenderlo», rispose lui.

«Non provate a rilevare le impronte digitali?»

Lo sguardo del poliziotto si spostò da Angela a David, per poi tornare su Angela. La sua espressione denotava sorpresa e confusione. «Impronte?» chiese.

«Che cosa c’è di così sorprendente?» osservò Angela. «A volte è possibile rilevare le impronte anche da oggetti come mattoni e pietre.»

«Be’, non so se sia il caso di mandare una cosa come questa alla polizia di Stato.»

«Nel caso lo facciate, lasci che le dia un sacchetto», disse Angela e andò in cucina. Ritornò con un sacchetto di plastica rovesciato sulla mano raccolse il mattone, poi lo avvolse intorno e porse il tutto a Bill.

«Ecco qua», gli disse. «Adesso siete pronti, nel caso decidiate di provare a risolvere un delitto.»

Bill annuì e si avviò verso la macchina.

«Sto perdendo fiducia nella polizia locale», affermò David.

«Io non ne ho mai avuta», disse Angela.

«Se Robertson è l’unica persona alla quale oggi hai parlato di Hodges, mi domando chi ha tirato quel mattone.»

«Pensi che possa essere stata la polizia?»

«Non lo so. Non posso credere che si spingano così lontano, ma penso che sappiano più di quanto non vogliano dire. L’agente Bill non era certo eccitato per l’incidente.»