«Comincio a pensare che questa città non sia il posto idilliaco che credevamo.»
David andò nella rimessa e tornò con un pezzo di compensato per coprire il buco nella finestra. Angela lo guardò mentre cercava di aprire la scaletta a libro e gli chiese com’era andata la sua giornata e in particolare come stava Jonathan Eakins.
«Non lo so, non sono più il suo medico», rispose David.
«Come mai?»
«Kelley gliene ha assegnato un altro.»
«Può farlo?»
«Lo ha fatto.» In cima alla scaletta, David appoggiò il compensato al telaio della finestra e cercò di tirare fuori un chiodo dalla tasca. «All’inizio ero furibondo, ma adesso mi sono rassegnato. Il lato positivo è che non mi devo più sentire responsabile per lui.»
«Ma ti sentirai ancora responsabile, ti conosco.»
David si fece passare il martello, ma al primo colpo che diede andò in frantumi un altro vetro. Rusty uscì dalla camera di Nikki e si mise ad abbaiare in cima alle scale.
David imprecò.
«Forse dovremmo pensare ad andarcene da Bartlet», suggerì Angela.
«Non possiamo fare fagotto e andarcene. Abbiamo il mutuo e i contratti da rispettare. Non siamo più liberi come prima, a Boston.»
«Ma niente si è svolto come ci aspettavamo. Tutti e due abbiamo problemi sul lavoro. Io sono stata aggredita e questa faccenda di Hodges mi fa diventare pazza.»
«Devi lasciar perdere Hodges. Ti prego.»
«Non posso!» Angela era prossima alle lacrime. «Ho persino cominciato ad avere incubi in cui vedo la cucina piena di sangue. Tutte le volte che ci entro, ci ripenso e non riesco a scacciarmi di mente che l’assassino se ne va in giro libero e potrebbe ritornare qui quando gli pare. Che vita è, doversi tenere un fucile in casa?»
«Non dovremmo avere un fucile.»
«Io non ci sto qui in casa di notte, quando tu vai in ospedale. Non senza un fucile!»
«Farai meglio a spiegare a Nikki che non lo deve nemmeno sfiorare!»
«Gliene parlerò domani.»
«A proposito», disse David, cambiando tono. «Ho visto per caso Caroline al pronto soccorso, è ricoverata con la febbre alta e problemi respiratori.»
«Oh, no! Nikki lo sa?»
«Gliel’ho detto stasera.»
«Ha qualcosa di contagioso? Erano insieme, ieri.»
«Ancora non lo so, ho detto a Nikki che non può andare a trovarla fino a che non sappiamo di sicuro che cos’ha.»
«Povera Caroline, ieri sembrava stare bene. Spero che a Nikki non venga la stessa cosa.»
«Anch’io», disse David, poi aggiunse: «Angela, abbiamo cose ben più importanti a cui pensare che a queste sciocchezze sul cadavere di Hodges. Ti prego, lascia perdere, fallo per Nikki, se non per te stessa o per me».
«Va bene», disse lei riluttante. «Ci proverò.»
«Grazie a Dio!» esclamò David, poi osservò la finestra rotta. «E adesso che cosa faccio con questo casino?»
«Che ne diresti di un po’ di nastro adesivo e di un sacchetto di plastica?» propose sua moglie.
Lui la fissò. «Come mai non ci avevo pensato?»
19
Martedì 26 ottobre
David e Angela dormirono male quella notte, a causa dell’eccitazione, ma ognuno di loro reagì in maniera diversa. Angela fece fatica ad addormentarsi, mentre David, invece, si svegliò alle quattro e capì che non sarebbe più riuscito a riprendere sonno.
Sgusciò fuori dal letto e stava per scendere di sotto, quando sentì un rumore provenire dalla camera di Nikki e vide la bimba comparire sulla soglia.
«Che cosa fai già alzata?» le sussurrò.
«Mi sono svegliata. Pensavo a Caroline.»
David entrò in camera sua e rimase a parlare con lei. Le assicurò che, appena fosse arrivato in ospedale, sarebbe passato dalla sua amica per vedere come stava e le avrebbe telefonato per tenerla informata.
Nikki tossì e David le suggerì di fare subito gli esercizi di drenaggio bronchiale. Quando ebbero finito, la bimba disse di sentirsi molto meglio.
Scesero insieme in cucina, dove David cucinò uova e pancetta e Nikki scaldò i panini nel forno. Con il camino acceso c’era un’aria di festa, che era un ottimo antidoto per esorcizzare i pensieri cupi. Alle sei David era già in ospedale e non volle disturbare i pazienti che ancora dormivano. Sbirciando nella stanza di Donald, vide che era sveglio, così entrò.
«Mi sento davvero male», gli disse. «Non ho chiuso occhio per tutta la notte.»
«Che cosa c’è che non va?» gli chiese David, allarmato, scoprendo i sintomi che gli erano fin troppo familiari: crampi addominali, nausea e diarrea e inoltre, come per Jonathan, un’eccessiva salivazione.
David cercò di rimanere calmo, dicendosi che Donald non era mai stato sottoposto a chemioterapia. Aveva sì subito un difficile intervento chirurgico a causa di un sospetto cancro al pancreas: gli erano stati asportati il pancreas, parte dello stomaco e dell’intestino e buona parte del tessuto linfatico, ma l’esame istologico aveva rivelato successivamente che il tumore era benigno. David sperava che, non essendo stato sottoposto a chemioterapia, Donald avesse abbastanza difese immunitarie per contrastare la misteriosa malattia.
Terminato il giro in corsia, chiese in quale stanza si trovasse Caroline e scoprì che per arrivarci doveva passare dall’unità di terapia intensiva. Ne approfittò così per chiedere notizie di Jonathan e, anche se era preparato al peggio, fu un colpo per lui sapere che era morto alle tre di quella mattina.
«Tutto quello che abbiamo fatto non è servito», gli disse la caposala, «è stato un decorso fulminante. Che peccato: un uomo così giovane! È proprio vero che non si sa mai quando ci tocca andarcene.»
David annuì, sentendosi la bocca arida. Il conto era rapido da fare: in una settimana aveva perduto quattro pazienti.
Si rallegrò nello scoprire che Caroline aveva reagito benissimo agli antibiotici e alla terapia respiratoria: la febbre era sparita, il colorito era roseo e gli occhi azzurri luccicavano vispi. Quando lo vide comparire sulla soglia, gli rivolse uno smagliante sorriso.
«Nikki vuole venirti a trovare», le disse David.
«Bene. Quando?»
«Probabilmente questo pomeriggio.»
«Le dica di portarmi il libro di lettura e anche il sussidiario, per favore.»
David promise che lo avrebbe fatto, poi andò in ambulatorio, dove la prima cosa che fece fu telefonare a casa. Rispose Nikki e lui la rassicurò dicendole che Caroline stava molto meglio e che poteva andare a trovarla. Le riferì della sua richiesta dei libri e poi le domandò di passargli Angela.
«È sotto la doccia. Ti faccio richiamare?»
«No, non occorre, ma voglio che le ricordi una cosa. Ieri ha portato a casa un fucile, che è appoggiato alla ringhiera, in fondo alle scale. Deve fartelo vedere e spiegarti che non lo devi toccare. Puoi ricordarle di farlo?»
«Sì, papà.»
David s’immaginò la figlia che alzava gli occhi al cielo.
«Parlo sul serio, non dimenticartene.»
Riagganciò, pensando al fucile. Non gli piaceva averlo in casa e non gli piaceva quell’ossessione di Angela per il caso Hodges.
Visto che aveva un po’ di tempo a disposizione prima che l’ambulatorio aprisse al pubblico, decise di mettersi a compilare un po’ di scartoffie, ma aveva appena iniziato quando sentì squillare il telefono. Era Sandra Hascher, una sua paziente affetta da melanoma che sì era esteso ai linfonodi.
«Non mi aspettavo che rispondesse direttamente lei», si stupì Sandra.
«In questo momento ci sono soltanto io.»
Sandra spiegò di avere un ascesso a un dente. Dopo l’estrazione, l’infezione si era aggravata. «Mi spiace disturbarla, ma ho quaranta di febbre. Andrei al pronto soccorso, ma l’ultima volta che l’ho fatto mi è toccato pagare, perché il CMV si è rifiutato di riconoscere l’urgenza.»