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«Al Bartlet Sun sono d’accordo di non parlare del tentativo di stupro», comunicò Helen.

«Almeno loro sono dalla nostra parte», disse Traynor.

«Ci sono altre questioni da dibattere alla prossima riunione?» chiese Sherwood.

«Radiologi e neurologi si stanno facendo la guerra», annunciò Helen Beaton, «per decidere chi è ufficialmente incaricato di leggere i risultati della risonanza magnetica nucleare del cranio.»

«Sta scherzando!» esclamò Traynor.

«Dico sul serio. Se gli dessimo le armi, sarebbe una lotta mortale. Ci sono in palio dollari e prestigio, una combinazione micidiale.»

«Maledetti medici! Non sono neppure capaci di lavorare insieme gli uni con gli altri. Sono un branco di vagabondi solitari, se volete sapere la mia opinione.»

«E con questo arriviamo al medico numero 91», continuò Helen. «Sta pensando di fare causa all’ospedale.»

«Si accomodi», commentò Traynor. «Sono stanco anche dell’insistenza con cui il personale medico vuole che chiamiamo questi ‘medici compromessi’ con un numero in codice. E che diavolo! ‘Medici compromessi’ è già un bell’eufemismo!»

«Le novità sono queste», concluse Helen.

«Nient’altro?» domandò Traynor, girando lo sguardo intorno al tavolo.

«Ieri pomeriggio ho ricevuto una strana visita», lo informò Sherwood, «un investigatore privato, Phil Calhoun.»

«È venuto anche da me», disse Traynor.

«Mi ha reso nervoso», ammise Sherwood. «Mi ha fatto un sacco di domande su Hodges.»

«Anche a me.»

«Il problema è che sembrava sapere già un mucchio di cose. Io ero riluttante a parlare, ma non volevo nemmeno sembrare reticente.»

«Anch’io mi sono sentito esattamente allo stesso modo.»

«Da me non è venuto», intervenne Helen Beaton.

«Chi pensa che lo abbia ingaggiato?»

«Gliel’ho chiesto. Mi ha fatto capire che è stata la famiglia Hodges. Allora ho telefonato a Clara, ma lei non ne sapeva niente. Poi ho chiamato anche Wayne Robertson e Calhoun è già stato anche da lui. Wayne pensa che la candidata più probabile sia Angela Wilson, la nostra nuova patologa.»

«Potrebbe essere», osservo Sherwood. «È venuta da me e ha parlato di Hodges. Era sconvolta per il cadavere trovato nella sua cantina.»

«È una comcidenza curiosa», notò Helen Beaton. «Di certo ha i suoi problemi: prima un cadavere in casa e poi un tentativo di stupro!»

«Magari l’aggressione le farà scordare il suo interesse per Hodges», disse Traynor. «Sarebbe paradossale se da una cosa potenzialmente negativa ne sortisse fuori una positiva.»

«E se Phil Calhoun scoprisse chi ha ucciso Hodges?» domandò Caldwell.

«Questo potrebbe essere un problema», ammise Traynor. «Ma sono passati più di otto mesi. Che probabilità ci sono?»

Quando la riunione fu finita, Traynor accompagnò Helen alla macchina e le chiese se avesse cambiato idea riguardo alla loro relazione.

«No», disse lei. «E tu?»

«Non posso divorziare da Jacqueline proprio adesso. Il ragazzo è al college. Quando finirà…»

«Bene. Ne parleremo allora», tagliò corto Helen.

Mentre tornava verso l’ospedale, scosse la testa ed esclamò irritata: «Gli uomini!»

In ambulatorio, David visitò l’ultimo paziente e raggiunse il suo ufficio, dove Nikki era seduta alla scrivania e stava sfogliando una rivista medica. Compiaciuto nel vedere l’interesse che la figlia mostrava per la medicina, la salutò e le chiese se fosse pronta.

«Andiamo!» rispose lei.

Raggiunsero la parte dell’ospedale utilizzata per i ricoveri e trovarono subito la stanza di Caroline, che li accolse con gioia. La bimba era contenta che Nikki si fosse ricordata di portarle i libri di scuola.

«Guardate che cosa so fare», annunciò, poi si attaccò a una sbarra che le correva sopra la testa, sollevandosi completamente dal letto.

David applaudì, stupendosi che una bimba esile e gracilina come lei avesse tutta quella forza. Le avevano assegnato un grande letto ortopedico e lui pensò che lo avessero fatto per permetterle di divertirsi un po’.

«Vado a visitare i miei pazienti», disse a Nikki. «Non starò via molto. Non terrorizzate le infermiere, promesso?»

«Promesso.» Nikki e Caroline ridacchiarono.

Prima di tutto, David passò da Donald Anderson. Non era preoccupato per lui, perché per tutta la giornata si era tenuto informato sulle sue condizioni e sapeva che non erano peggiorate.

«Come sta?» gli chiese avvicinandosi.

Il suo letto era piegato ad angolo retto e Donald vi era seduto immobile. Nel sentire la voce del suo medico, girò lentamente la testa verso di lui, ma non rispose.

«Come sta?» ripeté David, a voce più alta.

Non riuscì ad afferrare il sordo borbottio con cui il suo paziente gli rispose e si rese conto ben presto che era completamente disorientato.

Lo esaminò con attenzione e, quando lo auscultò, non scoprì rumori sospetti al torace.

Per il momento, si limitò a ordinare un esame della glicemia e, mentre aspettava i risultati, visitò gli altri pazienti. Stavano tutti bene, compresa Sandra. Il dolore alla mandibola andava meglio, anche se il gonfiore non era diminuito e David non cambiò la terapia. Ad altri due ricoverati disse addirittura che potevano andare a casa il giorno successivo.

Quando ricevette il risultato delle analisi di Donald, vide che il livello dello zucchero era normale. Ma non poteva essere normale, per spiegare lo stato mentale del suo paziente.

David cercò una spiegazione e l’unica che poteva possibile era che ci fosse stato un forte calo o un aumento della glicemia che poi si era corretta da sola. Ma in quel caso anche le condizioni mentali avrebbero dovuto tornare alla normalità.

Era ancora preso da quei pensieri quando, entrando nella camera di Donald, lo trovò con il viso bluastro e la testa piegata all’indietro, a formare un angolo quasi impossibile, mentre dalla bocca semiaperta usciva un rivolo di sangue scuro. Le coperte erano tutte scompigliate e lo ricoprivano solo parzialmente.

Dopo un primo attimo d’incredulità, David reagì e chiamò le infermiere, che fecero subito accorrere la squadra di rianimazione. Arrivò anche il chirurgo di Donald, il dottor Albert Hillson, che stava effettuando il suo giro in corsia.

Fu subito chiaro a tutti che ogni tentativo di rianimare il paziente sarebbe stato inutile: Donald aveva subito una crisi epilettica con arresto respiratorio almeno venti minuti prima che David ritornasse da lui e in tutto quel tempo passato senza che il cervello fosse raggiunto dall’ossigeno, non c’erano speranze. David lo dichiarò morto.

Il dottor Hillson, anche se rattristato, disse che se Donald era vissuto così a lungo era stato grazie a una buona assistenza medica e anche la moglie, quando arrivò, espresse la stessa opinione. «Grazie per essere stato così gentile con lui», disse a David. «Lei era diventato il suo medico preferito.»

Lui, però, era a pezzi all’idea di aver perduto un altro paziente.

«Almeno sai perché è morto», affermò Angela, dopo che David le ebbe descritto ciò che era accaduto al suo paziente. Avevano finito di cenare e, mentre Nikki era salita in camera sua a fare i compiti, loro si erano seduti nel salottino.

«Ma non è vero», obiettò David. «È accaduto tutto così in fretta.»

«Ascolta, posso capire la tua confusione con gli altri pazienti, ma Donald Anderson non aveva più buona parte dei suoi organi addominali. Faceva avanti e indietro fra l’ambulatorio e l’ospedale. Non si può certo attribuire a te la colpa della sua morte!»