«Continuerò a intervistare la mia lista di sospetti», rispose lui. «Contemporaneamente ci sono altri due obiettivi fondamentali: primo, ricostruire l’ultimo giorno di vita del dottor Hodges, presupponendo che sia morto il giorno in cui è scomparso; per fare questo sentirò la segretaria-infermiera che ha lavorato con lui per trentacinque anni. Secondo, procurarsi le copie dei referti medici che sono stati ritrovati insieme al suo cadavere.»
«Li ha in custodia la polizia di Stato», lo informò Angela. «Come ex poliziotto, non li può ottenere facilmente?»
«Purtroppo no. La polizia di Stato è molto rigida, quando ha in custodia delle prove. Lo so perché ho lavorato per un certo periodo nella scientìfica, a Burlington. Siamo in un vicolo cieco: la polizia di Stato, che detiene le prove e i risultati delle perizie, non è motivata a dedicare molto tempo a questo caso, perché riceve gli spunti dalla polizia locale. Se alla polizia locale non importa niente, loro lasciano perdere e uno dei motivi per cui la polizia locale non si dà da fare è perché non ha le prove.»
«Un altro motivo è che potrebbero essere coinvolti», disse Angela e raccontò a Calhoun del mattone, dei biglietti anonimi e di come aveva reagito la polizia.
«Ciò non mi stupisce», commentò lui. «Robertson è sulla mia lista. Non poteva sopportare Hodges.»
«Lo sapevo», disse Angela. «Mi hanno detto che attribuisce a Hodges la colpa della morte di sua moglie.»
«Io non darei tanta importanza a questa storia», obiettò Phil Calhoun. «Quell’uomo non è uno stupido. Penso che il disgraziato episodio di sua moglie sia soltanto una scusa. Probabilmente la sua collera nei confronti di Hodges derivava più dal comportamento di quest’ultimo, che come sappiamo era tutt’altro che diplomatico. Scommetterei il mio ultimo dollaro che Hodges sapeva che Robertson era uno sbruffone e che non l’ha mai rispettato. Dubito sinceramente che Robertson abbia ucciso Hodges, ma mentre parlavo con lui ho avuto la sensazione che sapesse qualcosa e non volesse dirmela.»
«Dal modo in cui la polizia se la sta prendendo comoda, direi che sono coinvolti», fu il parere di Angela.
«Mi ricorda un caso di quando ero ancora in servizio», si mise a raccontare Calhoun, dopo una lunga tirata al sigaro. «C’era stato un omicidio in una piccola città. Eravamo sicuri che tutti, polizia compresa, sapessero chi era stato, ma nessuno si faceva avanti. Abbiamo lasciato cadere il caso ed è ancora irrisolto.»
«Che cosa le fa pensare che il caso Hodges sia diverso?» gli domandò David. «Non potrebbe accadere la stessa cosa, a Bartlet?»
«No. Allora l’uomo assassinato era un ladro e un assassino. Con Hodges è diverso. C’erano sì tantissime persone che lo odiavano, ma ce ne sono anche molte che lo ritengono un eroe cittadino. Diavolo, questo è l’unico policlinico in tutto il New England, se si escludono quelli delle grandi città, e Hodges ha avuto il merito personale di averlo fatto costruire e prosperare. Molte persone si guadagnano da vivere grazie a ciò che Hodges ha creato. Non preoccupatevi, questo caso verrà risolto. Non ne dubito.»
«Come farà a procurarsi le copie di quei documenti?» gli chiese Angela.
«Dovrà farlo lei.»
«Io?»
David già scalpitava. «Non fa parte dell’accordo», obiettò. «Lei deve starsene fuori da questa indagine. Non voglio che parli con nessuno, non dopo quel mattone che è entrato dalla nostra finestra!»
«Non ci sarà alcun pericolo», lo rassicurò Calhoun.
«Perché io?» volle sapere la diretta interessata.
«Perché lei è medico e dipendente dell’ospedale. Se fa la sua apparizione a Burlington, alla sezione della polizia scientifica, con l’appropriato documento d’identificazione e dice che le copie di quei referti le sono necessarie per la cura dei pazienti, gliele faranno in un battibaleno. Le richieste dei giudici e dei medici vengono sempre accontentate. Come le ho detto, ho lavorato lì per un periodo.»
«Penso che fare una visita al quartier generale della polizia non sia pericoloso», osservò Angela. «Non è come andare in giro a fare indagini.»
«D’accordo», acconsentì David. «Purché non ci siano possibilità di avere grane con la polizia.»
«Nessuna possibilità», lo rassicurò Calhoun. «La cosa peggiore che può accadere è che non le diano le copie.»
«Quando ci devo andare?» chiese Angela.
«Che ne dice di domani?»
«Ci dovrò andare durante la pausa del pranzo.»
«Verrò a prenderla io a mezzogiorno in punto, al parcheggio dell’ospedale.»
Angela accompagnò Calhoun al camioncino, mentre David rientrava in casa.
«Spero di non creare problemi fra lei e suo marito», le disse l’investigatore. «Non mi è sembrato per niente contento delle mie indagini.»
«Non c’è problema, se staremo ai patti», lo rassicurò lei.
«Una settimana dovrebbe essere più che sufficiente.»
Angela riferì a Calhoun la propria teoria sull’aggressione subita e lui ne fu colpito. «Uhm! La faccenda si sta facendo più interessante del previsto», commentò. «Farà meglio a stare davvero attenta e a lasciar fare a me.»
«Certo.»
«Io mi sono ben guardato dal fare sapere chi mi ha ingaggiato.»
«La ringrazio della discrezione.»
«Magari domani troviamoci al parcheggio della biblioteca, anziché a quello dell’ospedale», propose Calhoun. «Non ha senso correre rischi.»
20
Mercoledì 27 ottobre
Nikki si svegliò congestionata e con una tosse profonda e catarrosa e i suoi genitori si preoccuparono che fosse affetta dalla stessa malattia che aveva colpito Caroline.
Nonostante gli esercizi respiratori, la bimba non migliorò e, con suo grande disappunto, dovette rimanere a casa, in compagnia di Alice che fu disponibile a passare tutta la giornata in casa Wilson.
David era già teso per le condizioni di salute della figlia e, quando arrivò all’ospedale, il suo nervosismo raggiunse il massimo perché temeva brutte sorprese. I suoi pazienti ricoverati, però, stavano tutti bene, compresa Sandra, il cui gonfiore era sparito quasi del tutto e la cui temperatura era scesa sotto i trentasette gradi.
«Grazie per quello che ha fatto, dottore», disse contenta a David. «Non insisterò nemmeno per essere dimessa subito.»
«E fa bene: dovremo tenerla qui finché non saremo sicuri al cento per cento che l’infezione è sotto controllo.»
«Se devo restare, però, potrebbe farmi un piacere?»
«Certo.»
«I comandi del mio letto non funzionano. L’ho detto alle infermiere e loro mi hanno risposto che non ci possono fare niente.»
«Ci penserò io», promise David. «È un problema cronico, qua dentro. Vado subito a vedere che cosa si può fare. Voglio che stia comoda il più possibile.»
Alle sue lamentele, Janet Colburn gli disse che aveva riferito del guasto al capo dell’ufficio tecnico, ma le era stato risposto che non si poteva fare niente. «Non mi sono messa a discutere con lui, è già difficile anche soltanto parlarci, e poi, francamente, non abbiamo un altro letto a disposizione, al momento.»
A David sembrò assurdo doversi rivolgere nuovamente a Van Slyke per un semplice letto da riparare, ma se l’alternativa doveva essere quella di andare direttamente da Helen Beaton, preferiva tentare con lui.
«A una mia paziente è stato detto che non si può riparare il suo letto», disse entrando subito in argomento, dopo avere bussato alla porta del suo ufficio. «Che cos’è questa storia?»
«L’ospedale ha acquistato dei letti sbagliati», gli rispose Van Slyke. «Sono un incubo, per noi dell’ufficio tecnico.»
«Non si può ripararlo?»