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«È una Sala molto fortunata,» disse amabilmente F’lar, quando raggiunsero Fax. Poi, accorgendosi che il suo ospite era impaziente di proseguire, si voltò deliberatamente a guardare la Sala ornata di bandiere. Indicò a F’nor le finestre a feritoia dalle forti strombature, le pesanti imposte di bronzo aperte sul luminoso cielo meridiano.

«Rivolta a oriente, come è giusto. La nuova sala, a Forte Telgar, invece, è rivolta a meridione, a quanto mi hanno riferito. Dimmi, Nobile Fax, qui vi attenete ancora alle antiche tradizioni, e fate montare la guardia all’alba?»

Fax aggrottò la fronte, cercando di intuire il significato delle parole dell’altro.

«C’è sempre una guardia alla Torre.»

«Una guardia ad Est?»

Lo sguardo di Fax sfrecciò verso le finestre, poi sfiorò il volto di F’lar, si posò su quello di F’nor, e infine tornò a puntare verso le finestre.

«Vi sono sempre guardie,» rispose, in tono tagliente, «a tutte le vie di accesso.»

«Oh, solo le vie d’accesso.» F’lar si rivolse a F’nor e annuì con aria grave.

«E dove, se no?» domandò Fax, preoccupato, guardando in faccia, alternativamente, i due dragonieri.

«Questo devo chiederlo al tuo arpista. Nella tua Fortezza c’è un arpista esperto?»

«Certamente. Io ho parecchi arpisti esperti.» Fax raddrizzò le spalle, di scatto.

F’lar finse di non aver capito.

«Il Nobile Fax è signore di altre sei Fortezze,» gli rammentò F’nor.

«Certamente,» assentì F’lar, con la stessa inflessione usata da Fax un attimo prima.

Quella scimmiottatura non sfuggì all’ospite: ma poiché non poteva proclamare che un’affermazione innocente fosse un insulto deliberato, si avviò lungo i corridoi illuminati, seguito dai dragonieri.

«Fa piacere vedere il Signore di una Fortezza che osserva tante antiche tradizioni,» disse F’lar a F’nor, in tono di approvazione, perché Fax lo sentisse, mentre entravano nella parte interna del Forte. «Molti hanno abbandonato purtroppo la sicurezza della roccia compatta e hanno ampliato in misura pericolosa le Fortezze esterne. È un rischio che non posso perdonare.»

«Il rischio è tutto loro, Nobile F’lar. E qualcun altro ci guadagna.» Fax sbuffò con fare sarcastico, rallentando il passo.

«Ci guadagna? E come?»

«È facile penetrare in una Fortezza esterna, cavaliere bronzeo… con forze addestrate, un comandante esperto, ed una strategia adeguatamente studiata.»

Quell’uomo non era uno spaccone, pensò F’lar. E anche in quei tempi di pace non trascurava di tenere guardie sulla Torre. Tuttavia restava nella sua Fortezza per prudenza, non già per obbedienza alle antiche Leggi. Teneva gli arpisti per ostentazione, non perché l’imponeva la tradizione. E lasciava che le fosse andassero in rovina; lasciava che crescesse l’erba. Da una parte accordava ai cavalieri dei draghi un trattamento appena appena civile, e dall’altra si rivolgeva a loro con insulti velati. Era un uomo da tenere d’occhio.

Nella Fortezza di Fax, gli alloggi delle donne non erano nei corridoi più interni, come voleva la tradizione; erano stati spostati vicino alla parete esterna del precipizio. La luce del Sole filtrava dalle finestre strombate e a doppie imposte. F’lar notò che i cardini di bronzo erano bene oliati. I davanzali erano dell’ampiezza regolamentare, la lunghezza d’una lancia. Fax non seguiva la recente abitudine di assottigliare le pareti protettive.

La sala era riccamente addobbata di arazzi che rappresentavano donne occupate in ogni genere di mansioni femminili. Ai lati, si aprivano porte che davano nelle piccole alcove; all’ordine di Fax, le sue donne cominciarono ad uscirne, un po’ esitanti. Fax rivolse un gesto autoritario ad una donna vestita d’azzurro, con i capelli striati di ciocche bianche, il volto segnato dalle rughe della delusione e dell’amarezza, il corpo gonfio per la gravidanza avanzata. La donna procedette, impacciata, e si fermò a una certa distanza dal suo signore. Giudicando dal suo atteggiamento, F’lar dedusse che non si avvicinava a Fax più di quanto fosse assolutamente necessario.

«La Dama di Crom, madre dei miei eredi,» disse Fax, senza fierezza né cordialità.

«Dama…» F’lar esitò, in attesa che gli venisse detto il nome della donna.

Questa lanciò un’occhiata timorosa al suo signore.

«Gemma,» fece secco Fax.

F’lar si inchinò profondamente.

«Dama Gemma, il Weyr è in Cerca, e chiede l’ospitalità della Fortezza.»

«Nobile F’lar,» rispose Dama Gemma a voce bassa, «sei il benvenuto.»

A F’lar non sfuggì la lieve esitazione sull’aggettivo, né il fatto che Gemma non aveva avuto difficoltà nel riconoscerlo. Le rispose con un sorriso più cordiale di quanto imponesse la semplice cortesia, un sorriso caldo di gratitudine e di comprensione. A giudicare dal numero delle donne presenti in quell’alloggio, Fax aveva parecchie concubine di bell’aspetto. Forse Dama Gemma avrebbe detto addio senza rimpianti ad una o due di loro.

Fax procedette alle presentazioni, borbottando i nomi, fino a quando si rese conto dell’inutilità di quella strategia, perché F’lar, educatamente, chiedeva di nuovo il nome della dama. F’nor, il cui sorriso si accentuava nel prendere nota delle dame che Fax preferiva tenere nell’anonimato, oziava con aria indolente accanto all’ingresso. Più tardi, F’lar avrebbe potuto scambiare con lui le sue impressioni, anche se, ad un esame superficiale, lì non c’era nessuna che potesse giustificare la Cerca. Fax preferiva le donne piccolette e grassottelle; e in tutto il mazzo, non ce n’era una dotata di vivacità. E se mai un tempo qualcuna di loro era stata vivace ed energica, ormai ogni vitalità si era spenta. Fax, senza alcun dubbio, era più uno stallone che un amante. Alcune di quelle dame non dovevano aver fatto grande uso d’acqua, almeno per l’inverno trascorso, a giudicare dalla quantità di olio dolce irrancidito sui loro capelli. Tra tutte, ammesso che quelle fossero tutte le donne di Fax, Dama Gemma era l’unica dotata di energia, e purtroppo era vecchia.

Conclusi i convenevoli, Fax condusse fuori i suoi ospiti scarsamente graditi. F’nor si congedò dal suo comandante e andò a raggiungere gli altri dragonieri. Fax, con aria perentoria, condusse il cavaliere bronzeo all’alloggio destinatogli.

La stanza si trovava ad un livello inferiore a quello dell’alloggio delle donne, ed era certamente adeguata alla dignità del suo occupante. Gli arazzi multicolori mostravano battaglie sanguinose, duelli, draghi in volo dalle tinte smaglianti, pietre focaie che bruciavano sulle vette dei monti, e tutto ciò che poteva offrire la storia cruenta di Pern.

«Una stanza bellissima,» commentò F’lar, togliendosi i guanti e la tunica di pelle di wher e gettandoli disinvoltamente sulla tavola. «Andrò a provvedere ai miei uomini e agli animali. I draghi hanno mangiato tutti da poco,» continuò, per porre in risalto il fatto che Fax non l’aveva chiesto. «Ti chiedo l’autorizzazione a girare per i quartieri degli artigiani.»

Fax rispose, acido, che secondo la tradizione quello era un privilegio dei dragonieri.

«Non voglio trattenerti oltre, Nobile Fax, perché devi avere molto da fare, con sette Fortezze da governare.» F’lar s’inchinò leggermente verso l’ospite, poi si voltò, quasi in atto di congedo. Non faticava a immaginare l’espressione infuriata di Fax, mentre ascoltava il suo passo irritato che si allontanava. Attese quanto bastava per assicurarsi che l’altro fosse uscito dal corridoio, poi ritornò verso la Grande Sala.

Gli sguatteri indaffarati che stavano montando altre tavole a cavalletto interruppero il loro lavoro per sbirciare il dragoniere. Lui rispose con un gentile cenno del capo, cercando di scoprire se qualcuna delle donne era fatta, per caso, della stoffa delle Dame del Weyr. Ma sfinite dalle fatiche, sottoalimentate, segnate dalle cicatrici della sferza e delle malattie, erano soltanto ciò che erano: sguattere, adatte solo al duro lavoro manuale.