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— Vieni subito qui, piede scalzo! Non va bene sparare in casa, non lo sai?

I poliziotti se ne sono andati via, e un gruppo di criminali li ha seguiti scortandoli fino ai confini del quartiere, poi, quando la scorta è tornata, anche la macchina con i poliziotti tenuti in ostaggio è ripartita verso la città. Ma preceduta da una macchina degli amici di Trave che andava piano per non consentire ai poliziotti di aumentare la velocità, e permettere invece alla gente d’insultarli con tutta calma, di accompagnarli fuori dal quartiere con una specie di cerimonia per festeggiare la vittoria. Prima della partenza qualcuno aveva agganciato dietro la macchina una corda con varia biancheria appesa: mutande, reggiseni, piccoli asciugamani, stracci e anche una mia maglietta, contributo di mio padre all’opera denigratoria. Così un sacco di gente era uscita dalle case per guardare quello spettacolo di biancheria serpeggiante. I bambini correvano dietro la macchina, cercando di colpirla con i sassi.

— Guardate questi sbirri schifosi! Vengono a Fiume Basso per rubare le nostre mutande! — gridava qualcuno dalla folla, accompagnando i commenti con fischi e ingiurie.

— Ma a che gli servono? Si vede che i padroni del governo hanno smesso di dare l’osso ai loro cani! Sono rimasti pure senza mutande!

— E che male c’è, fratelli, a essere poveri e non potersi permettere neppure le mutande? Basta che vengono da noi con onestà e da uomini veri, con le facce scoperte, e noi regaleremo a ognuno un bel paio di mutande siberiane!

— Eccome se gliele regaliamo, solo devono avvisare un po’ prima, per darci il tempo di riempirgliele, ’ste mutande!

Così gridava la gente, una folla di persone che ridevano. Nonno Castagna aveva persino portato da casa una fisarmonica e aveva cominciato a suonare e cantare camminando dietro la macchina. Alcune donne si erano messe a ballare, lui urlava una vecchia canzone siberiana con tutta la sua forza, alzando la testa con il cappello a otto triangoli e chiudendo gli occhi come un cieco:

Parlami sorella Lena, parla anche tu, fratello Amur[1]! Ho attraversato la mia terra da una parte all’altra, fermando i treni e facendo cantare il mio fucile, e solo la vecchia Taiga sa quanti sbirri ho ammazzato! E adesso che sono nei guai, Gesù Cristo aiutami, aiutami a stringere la mia pistola! E adesso che gli sbirri sono dappertutto, mamma Siberia, mamma Siberia, risparmiami la vita!

Anch’io correvo e cantavo, sistemandomi in continuazione la visiera del cappello a otto triangoli, che era troppo grande e mi cadeva sempre sugli occhi.

Il giorno dopo, però, la voglia di cantare mi è andata via del tutto, quando mio padre mi ha dato una ripassata seria con la sua mano pesante. Avevo violato tre regole sacre: avevo preso in mano un’arma senza il permesso di un adulto; l’avevo presa dall’angolo rosso, togliendo la croce che ci aveva posato sopra mio nonno (solo colui che posa la croce su un’arma può rimuoverla); e infine, avevo tentato di sparare in casa.

Dopo la ripassata di mio padre avevo il sedere e la schiena che bruciavano, e quindi, come sempre, sono andato a farmi consolare dal nonno. Mio nonno era serio, però il leggero sorriso che ogni tanto passava sulla sua faccia aveva un significato: i miei problemi, forse, non erano cosi gravi come potevano sembrare. Mi ha fatto un lungo discorso, il cui succo era che avevo fatto una cosa molto stupida. E quando io gli ho chiesto perché la pistola magica non aveva sparato ai poliziotti da sola, mi ha detto che la magia funziona solo quando la pistola viene usata per una cosa intelligente, e con il permesso degli adulti. A quel punto ho cominciato a sospettare che mio nonno mi raccontava le cose un po’ diverse dalla realtà, perché non mi piaceva l’idea della magia che funziona solamente con il permesso degli adulti…

Da quella volta ho smesso di pensare alla magia e ho cominciato a seguire più attentamente i movimenti delle mani di mio zio e di mio nonno mentre manipolavano le pistole, e presto ho scoperto la funzione di quella parte importantissima del meccanismo di ogni arma che viene chiamata «sicura».

Nella comunità siberiana s’impara a uccidere da piccoli. La nostra filosofia di vita ha un rapporto stretto con la morte, ai bambini viene insegnato che il rischio e la morte sono cose legate all’esistenza, e quindi togliere la vita a qualcuno

0 morire è una cosa normale, se c’è un motivo valido. Insegnare a morire è impossibile, perché una volta fatto l’affare non c’è ritorno, e dall’aldilà non ha ancora telefonato nessuno per raccontare come si sta. Però insegnare a convivere con la minaccia della morte, a «tentare» il destino, non è difficile. Molte fiabe siberiane parlano dello scontro mortale tra criminali e rappresentanti del governo, dei rischi che si corrono ogni giorno con dignità e onestà, della fortuna di quelli che alla fine hanno preso il bottino e sono rimasti vivi, e della «buona memoria» per quelli che sono morti senza mollare gli amici in difficoltà. Attraverso queste fiabe i bambini percepiscono i valori che danno senso alla vita dei criminali siberiani: rispetto, coraggio, amicizia, dedizione. Verso i cinque-sei anni i bambini siberiani dimostrano una determinazione e una serietà invidiabili anche per gli adulti di altre comunità. E su basi così solide che si costruisce l’educazione a uccidere, ad agire fisicamente contro un essere vivente.

Di solito il padre si porta dietro il bambino fin da picco lo per fargli vedere come si uccidono gli animali da cortile: galline, oche, maiali. Così il bambino si abitua al sangue, ai particolari dell’uccisione. Dopo, verso i sei-sette anni, al bambino viene offerta la possibilità di ammazzare da solo un piccolo animale. In questo processo educativo non c’è spazio per

1 sentimenti sbagliati, come il sadismo о la vigliaccheria. Il bambino va educato e gestito in maniera tale da fargli raggiungere una piena consapevolezza delle proprie azioni, e soprattutto dei motivi e dei significati profondi che stanno dietro quelle azioni.

Quando si uccide un animale più grande, come un maiale, un bue о una mucca, di solito al bambino viene permesso di esercitarsi sulla carcassa, per trovare la maniera giusta di colpire con il coltello. Mio padre spesso portava me e mio fratello in una grande macelleria, ci insegnava come agire con il coltello usando i corpi dei maiali appesi sui ganci. Una mano diventa decisa ed esperta, dopo tanti esercizi.

Verso i dieci anni il bambino è a tutti gli effetti inserito nel clan dei minori, che collabora attivamente con i criminali della comunità siberiana. Li ha la possibilità di affrontare per la prima volta tante diverse situazioni della vita criminale. I più grandi insegnano ai più piccoli come comportarsi; tra le risse e i conflitti e la gestione dei rapporti con i minori delle altre comunità, ogni ragazzo si fa le ossa.

Spesso a tredici-quattordici anni i minori siberiani hanno già precedenti penali e quindi esperienza del carcere minorile: un’esperienza che è molto importante, anzi fondamentale, per la formazione del carattere e della visione del mondo individuale. A quest’età molti siberiani hanno già alle spalle traffici criminali, un omicidio о almeno un tentato omicidio. E tutti sono capaci di comunicare all’ interno della comunità criminale, di seguire, trasmettere e salvaguardare le basi e i principi della legge criminale siberiana.

Una volta, mio padre mi ha chiamato in giardino:

— Vieni qua, piede scalzo! E porta con te un coltello!

Ho preso un coltello da cucina, quello che di solito usavo per ammazzare le oche e le galline, e sono corso in giardino. Sotto un grande e vecchio albero di noce erano seduti mio padre, il suo amico zio Aleksandr, che tutti chiamavano «Osso», e mio zio Vitalij. Stavano parlando di colombi, la passione di ogni criminale siberiano. Zio Vitalij stringeva fra le mani un colombo, gli apriva l’ala e la mostrava a mio padre e a Osso, spiegando qualcosa.

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Lena e Amur sono i nomi di due grandi fiumi siberiani. La tradizione vuole che a questi fiumi sia legata la fortuna criminale: vengono adorati come divinità, a cui fare offerte e chiedere aiuto nell’esercizio delle attività criminali. Sono ricordati in numerosi detti, fiabe, canzoni e poesie. Di un criminale fortunato si usa dire che «il suo destino viene portato sulla corrente di Lena».