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— Ma lei non pensa, Mrs. Silem, che…

— Deve ricordare, quando fa previsioni come questa…

— Mrs. Silem, secondo i miei dati statistici…

— Lei deve ricordare — la voce di Edna Silem si tese, si abbassò, finché il silenzio tra le parole risuonò espressivo e fondo quanto la voce era secca e metallica — che se si sapesse tutto, tutto, le stime statistiche sarebbero superflue. La scienza della probabilità dà un’espressione matematica alla nostra ignoranza, non alla nostra sapienza. — E io stavo pensando che quella era un’interessante, seconda puntata della conferenza di Maud, quando Edna alzò la testa ed esclamò: — Toh, Hawk!

Tutti si voltarono.

— Sono veramente felice di vederti. Lewis, Ann — chiamò lei; lì c’erano già altri due Cantori (lui scuro, lei pallida, entrambi snelli come alberi; i loro volti facevano pensare a laghetti senza affluenti né emissari incontrati nella foresta, limpidi e tranquilli; marito e moglie, erano stati nominati Cantori insieme, il giorno prima del matrimonio, sette anni prima). — Non ci ha abbandonati, dopotutto! — Edna si alzò, tese il braccio sopra le teste degli ascoltatori seduti, e abbaiò tra le nocche delle dita, come se la sua voce fosse una stecca da biliardo: — Hawk, qui c’è gente che discute con me e non ne sa neppure quanto te, sull’argomento. Tu saresti dalla mia parte, no…

— Mrs. Silem, non intendevo… — dal pubblico.

Poi le braccia di Edna si spostarono di sei gradi, le dita, gli occhi e la bocca si aprirono. — Tu! — Me. — Mio caro, sei proprio l’ultima persona al mondo che mi aspettavo di vedere qui! Ma sono quasi due anni, no? — Benedetta Edna: il posto dove io, lei e Hawk avevamo trascorso insieme una lunga serata piena di birra somigliava più a quel bar che al Tower Top. — Dove ti eri cacciato?

— Su Marte, soprattutto — ammisi. — Anzi, sono tornato proprio oggi. È così divertente poter dire cose simili in un posto come quello.

— Hawk… tutti e due… — (il che significava che lei aveva dimenticato il mio nome, o che mi ricordava troppo bene per abusarne). — Venite qui e aiutatemi a prosciugare gli ottimi liquori di Alexis. — Mi sforzai di non sogghignare mentre andavamo verso di lei. Se ricordava qualcosa, certamente rammentava la mia attività, e doveva essere divertita quanto me.

Un’espressione di sollievo si diffuse sul volto di Alexis: adesso sapeva che io ero qualcuno, anche se non sapeva che cos’ero.

Mentre passavamo davanti a Lewis e Ann, Hawk rivolse ai due cantori uno dei suoi sorrisi luminosi. Loro ricambiarono con sorrisi ombrati. Lewis fece un cenno del capo. Ann mosse una mano come per toccargli il braccio, ma non completò il gesto; e l’intera compagnia notò tutto quanto.

Poiché aveva scoperto quel che volevamo, Alex stava preparando grandi bicchieri con ghiaccio tritato, quando il gentiluomo dagli occhi gonfi si avvicinò per fare il bis. — Ma, Mrs. Silem, allora secondo lei che cosa si può opporre validamente a questi abusi politici?

Regina Abolafia portava un abito di seta bianca. Unghie, labbra e capelli erano tutti dello stesso colore; e sul seno aveva una spilla di rame lavorato. Mi ha sempre affascinato vedere spinti in disparte gli individui abituati a stare al centro dell’attenzione. Faceva roteare il liquido nel bicchiere e ascoltava.

— Io mi oppongo — disse Edna. — Hawk si oppone. Lewis e Ann si oppongono. In ultima analisi, noi siamo tutto ciò su cui potete contare. — E la sua voce aveva assunto quella risonanza autorevole che solo i Cantori sanno darsi.

Poi la risata di Hawk s’insinuò serpeggiando nel tessuto della conversazione.

Ci voltammo.

Si era seduto a gambe incrociate accanto alla siepe. — Guardate… — sussurrò.

Gli sguardi di tutti seguirono il suo. Stava fissando Lewis e Ann. Lei, alta e bionda, lui, bruno e più alto ancora, stavano ritti, in silenzio, un po’ nervosamente, a occhi chiusi. (Le labbra di Lewis erano socchiuse.)

— Oh — bisbigliò qualcuno che avrebbe fatto meglio a star zitto — stanno per…

Guardai Hawk, perché non avevo mai avuto occasione di osservare un Cantore mentre assisteva all’esibizione di un altro. Unì le piante dei piedi, si strinse le dita tra le mani e si sporse in avanti, mentre le vene formavano fiumi azzurri sul suo collo. Il primo bottone del giubbotto si era slacciato. Sulla clavicola si vedevano le estremità di due cicatrici. Forse fui il solo ad accorgermene.

Vide Edna posare il bicchiere con un’aria raggiante d’orgoglio e d’anticipazione. Alex, che aveva premuto il pulsante dell’autobar (strano come l’automazione sia diventata il mezzo con cui le classi più elevate ostentano il surplus di manodopera) per farsi fornire altro ghiaccio tritato, si accorse di quel che stava per avvenire, e spinse un altro pulsante per spegnerlo. L’autobar ronzò e tacque. Una brezza (artificiale o reale, non saprei) prese a spirare, e gli alberi ci intimarono un ultimo “sttt!”.

Uno alla volta, poi in duetto, poi di nuovo uno alla volta, Lewis e Ann cantarono.

I Cantori sono individui che guardano le cose, poi vanno a dire alla gente che cos’hanno visto. A farli Cantori è la loro capacità di indurre la gente ad ascoltare. Questa è la miglior spiegazione semplificata che io sia in grado di darvi. L’ottantaseienne El Posado, a Rio de Janeiro, vide crollare un intero isolato di caseggiati, corse all’Avenida del Sol e cominciò a improvvisare, in metro e in rima (non molto difficile, dato che il portoghese è ricco di rime), con le lacrime che gli scorrevano sulle guance impolverate, con la voce che echeggiava tra le palme nella strada assolata. Centinaia di persone si fermarono ad ascoltare; e poi altre cento; e altre cento. E poi dissero ad altre centinaia di persone quello che avevano udito. Tre ore dopo, centinaia di loro erano arrivate sulla scena del disastro portando coperte, viveri, danaro, badili, e cosa anche più incredibile, la disponibilità e la capacità di organizzarsi e di lavorare nell’ambito dell’organizzazione. Nessun servizio tridivisivo di un disastro aveva mai prodotto una reazione simile. Storicamente, El Posado è considerato il primo Cantore. La seconda fu Miriamne, nella città di Lux, racchiusa nella cupola: per trent’anni si aggirò per le strade di metallo cantando gli splendori degli anelli di Saturno: i coloni non possono guardarli, senza ricorrere a mezzi artificiali, perché irradiano troppa luce ultravioletta. Ma Miriamne, con le sue cataratte anomale, a ogni alba andava al limitare della città, guardava, vedeva e tornava per cantare quello che aveva veduto. E tutto questo non avrebbe significato nulla: ma i giorni in cui non cantava — perché era malata o perché si era recata a visitare un’altra città dove era giunta la sua fama — la Borsa di Lux scendeva, e saliva il numero dei reati di violenza. Nessuno sapeva spiegarlo. Tutto quel che potevano fare era proclamarla Cantatrice. Perché era nata l’istituzione dei Cantori, scaturita spontaneamente in quasi tutti i centri urbani del sistema? Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che fosse una reazione spontanea ai mass-media che soffocano le nostre esistenze. Sebbene la Tri-D e la radio e i newstape spargano le informazioni in tutti i mondi, diffondono anche un senso di alienazione dall’esperienza diretta. (Quanti vanno ancora alle manifestazioni sportive o ai comizi politici con le loro piccole riceventi infilate nell’orecchio, per capire che quel che vedono sta accadendo davvero?) I primi Cantori furono proclamati tali dalla gente che stava loro attorno. Poi vi fu un periodo in cui chiunque poteva proclamare di essere quel che preferiva, e la gente rispondeva, oppure rideva e si dimenticava di lui. Ma al tempo in cui io ero stato abbandonato davanti alla porta di qualcuno che non mi voleva, quasi tutte le città, ormai, avevano più o meno stabilito una quota ufficiosa. Oggi, quando un posto rimane vacante, gli altri Cantori scelgono chi deve occuparlo. Le doti richieste sono poetiche e teatrali, e occorre anche un certo carisma, generato dalle tensioni tra la personalità e la rete di pubblicità in cui un Cantore si trova immediatamente impigliato. Prima di diventare Cantore, Hawk aveva acquisito una reputazione prodigiosa con un libro di poesie pubblicate a quindici anni. Faceva il giro delle università e teneva letture, ma la sua fama era ancora abbastanza modesta perché si stupisse nell’apprendere che avevo sentito parlare di lui, la sera in cui ci incontrammo in Central Park (avevo appena terminato di trascorrere trenta giorni piacevoli come ospite della città, e c’è da stupirsi di quel che si trova nella Biblioteca del carcere). Aveva compiuto i sedici anni da poche settimane. Solo tra quattro giorni sarebbe stata annunciata la sua elezione a Cantore, sebbene lui ne fosse stato già informato. Restammo seduti in riva al lago fino all’alba, mentre lui soppesava e ponderava l’imminente responsabilità, e se ne tormentava. Due anni dopo, era ancora il Cantore più giovane di sei mondi: gli altri avevano almeno sei anni più di lui. Per diventare un Cantore, non è necessario essere stato un poeta: ma quasi tutti sono stati poeti o attori. Comunque l’elenco generale, in tutto il sistema, include uno scaricatore di porto, due professori universitari, l’ereditiera dei milioni della Silitax (produttrice delle famose puntine da disegno) e almeno due persone dai precedenti così dubbi che persino la Macchina Pubblicitaria, sempre avida di notizie sensazionali, aveva riconosciuto che non era il caso di renderli pubblici. Ma qualunque fossero le loro origini, questi variegati e fiammeggianti miti viventi cantavano l’amore, la morte, il mutare delle stagioni, le classi sociali, i governi e la guardia di palazzo. Cantavano davanti a folle immense, a piccoli gruppi, a un manovale che tornava a casa dal porto, agli angoli delle strade dei quartieri più miserabili, sui treni dei pendolari, negli eleganti giardini pensili delle Twelve Towers, alla serata esclusiva di Alex Spinnel. Tuttavia, è vietato riprodurre i «Canti» dei Cantori con mezzi meccanici (è proibito persino stampare le liriche) fin da quando l’istituzione è sorta, e io rispetto la legge, sicuro, per quanto può farlo un uomo della mia professione. Perciò offro questa spiegazione al posto del canto di Lewis e Ann.